AMALTEO, Giovanni Battista
Figlio dell'umanista Francesco e fratello di Girolamo e Cornelio, poeti anch'essi di una certa fama, nacque a Oderzo nel 1525. Si avviò giovanissimo agli studi letterari, prima in patria, poi a Venezia e a Padova, dove entrò in contatto con i circoli letterari di T. Gabriele, F. Badoer, D. Venier, e conobbe uomini di cultura come P. Aretino, S. Speroni, P. Manuzio, G. Fracastoro. Cominciava già anche a comporre versi, ma decise nel 1548 di intraprendere studi di carattere più pratico e si iscrisse a Padova ai corsi di giurisprudenza. Non perdette, tuttavia, anche negli anni degli studi legali, la familiarità con le lettere classiche, con la poesia italiana e con la filosofia, coltivando amicizie nel mondo della cultura letteraria. In questo periodo fu invitato da Cosimo de' Medici a tenere la cattedra di eloquenza a Pisa, ma rifiutò, accettando, invece, l'incarico di istitutore in casa Lippomani a Padova, procuratogli da F. Badoer. Intanto, grazie appunto alle conoscenze che si era fatto, gli vennero affidati alcuni occasionali incarichi a carattere ufficiale ed ebbe prima la possibilità di seguire l'ambasceria di F. Badoer alla corte di Urbino, e poi quella inviata a incontrare a Genova il principe Filippo di Spagna diretto a Milano, dove giunse il 19 dic. 1547. Laureatosi il 26 ott. 1552, trascorse ancora alcuni anni tra Venezia e il Friuli, ma nella primavera del 1556 intraprese un lungo viaggio attraverso l'Europa, toccando Bruxelles, Londra, Edimburgo, accolto con grande cordialità dagli ambasciatori veneti che lì si trovavano. A Londra presentò alla regina Maria una sua egloga, Doris, scritta per le sue nozze con Filippo di Spagna.
Circa il 1558 ebbe l'ufficio di segretario presso la Repubblica di Ragusa e lo seguì il fratello Cornelio con la carica di cancelliere. Dalle lettere scritte da Ragusa sappiamo che vi fece chiamare N. Nascimbeni come pubblico lettore di belle lettere e che non trascurò di ricercare libri greci per l'amico P. Manuzio. Alla fine del 1561 o al principio del 1562 rientrò in Italia e si diresse a Roma. Qui partecipò, fin dalla fondazione, avvenuta il 20 apr. 1562, all'Accademia delle Notti Vaticane voluta da Carlo Borromeo.
Col nome di "Sollecito", l'A. portò all'Accademia un largo contributo, componendo discorsi ed esposizioni di retorica, carmi di vario genere ed anche due opere drammatiche, una commedia ad intreccio ispirata ai modelli plautini, Le gemelle, e una tragedia incompiuta, Atamante e Ino. E quando, nel maggio del 1563, con l'ingresso nell'Accademia di A. Pellegrino, questa si orientò verso interessi religiosi che prima le erano estranei, l'A. seguì la nuova tendenza trattando dell'ottava beatitudine, dell'invidia e dell'avarizia e di altri temi teologico-morali.
Entrato in familiarità con Carlo Borromeo, alla metà del 1562 l'A. fu da lui assunto come segretario e nominato anche segretario della commissione degli otto cardinali preposti da Pio IV alla Inquisizione. Quando il Borromeo lasciò Roma per la sua diocesi di Milano nel settembre 1565, l'A. lo segui; da Milano, fu inviato nel corso del 1566 a Trento, a Parma e in altre località, con brevi incarichi. Ottenne anche vari benefici ecclesiastici, tra cui il canonicato di Padova, cui dovette rinunciare nel 1568 per la mancata residenza. Allora, per ottenere sicure rendite più che per profonda vocazione religiosa, entrò tra i cisterciensi di San Salvatore in Lauro a Roma, dedicandosi poi più intensamente agli studi, e ricoprendo, dal 20 ott. 1568, la carica di cameriere segreto pontificio.
Nel nuovo clima creatosi con la Controriforma, l'A. si rivolse, nei suoi componimenti letterari, verso temi nuovi, di carattere spirituale: cantò la vittoria di Lepanto e rimaneggiò per ordine di S. Carlo l'inno di Paolino d'Aquileia Miraculum laudabile nel Nostrum parentem maximurn, entrato a far parte del breviario Ambrosiano. In questi anni fu nominato cavaliere gerosolimitano e cavaliere di Gesù Cristo.
Morì in Roma, il 23 febbr. 1573. Molto tempo dopo il nipote Aurelio fece porre una lapide in San Salvatore in Lauro.
La produzione poetica dell'A. comprende, nella maggior parte, versi latini, un certo numero di componimenti in volgare ed alcuni in greco. Sono composizioni giovanili le Egloghe, dedicate a vari personaggi del tempo e ispiriate ad occasioni autobiografiche o di storia contemporanea, spesso legate ai modi virgiliani o a quelli più vicini del Flaminio, del Navagero, del Sannazzaro; vive, comunque, solo per i momenti di lirismo idillico che appaiono a tratti fra l'esercizio scolastico e il proposito encomiastico. Le Epistole accompagnano i vari avvenimenti della vita dell'A.; hanno un tono oraziano, ma accolgono, oltre a temi di derivazione classica seppure ispirati ad avvenimenti reali, come l'amicizia, l'elogio della campagna, l'episodio mitologico, anche temi di carattere cristiano, come quella Ad Ioannem Mallaram Hispanum o la citata De victoria naupactea. Tra i carmi di vario metro e gli epigrammi numerosissimi, appaiono più spontanei quelli giovanili e quelli legati al genere dell'idillio campestre; in altri si sente l'intento letterario e pesa la frequente esemplificazione mitologica. Molti epigrammi sono amorosi, ma non sappiamo se siano autobiografici; certo è presente l'influsso letterario del Navagero e del Flaminio. Va ricordata ancora un'ode In obiturn Hieronimi Fracastorij, che ha una parte sincera di carattere biografico e che è significativa anche per l'ispirazione cristiana del finale.
La lirica volgare si muove intorno ai due nuclei della poesia d'amore, che risente della scuola petrarchista sia nella forma di studiata eleganza sia nei motivi e temi principali, e della poesia spirituale nello stile di B. Tasso e della lirica latina del Flaminio. Non è estranea, tuttavia, a questa produzione una vena di sincerità, sia nei versi per la donna amata intorno al 1548e troppo presto infedele, sia negli slanci di devozione nel timore della morte vicina. Più retorici sono i sonetti e le canzoni dedicatorie, per la morte di Irene Spilimbergo o per M.A. Colonna vincitore di Lepanto.
La prima raccolta di versi dell'A., non voluta e non approvata da lui, fu stampata in Benedicti Lampridii… nec non Ioannis Baptistae Amalthei carmina, Venetiis 1550; dopo la morte dell'A., G. Aleandro il giovane compilò la famosa raccolta Trium fratrum Amaltheorum... carmina, Venetiis 1627, in cui sono i versi di G. Battista insieme con quelli dei fratelli Girolamo e Cornelio e con quelli dell'Aleandro stesso. Su questa si fondano le altre principali edizioni, tra cui quella con Acti Sinceri Sannazzarii... opera..., Amstelaedami 1718; e ibid. 1728, e le traduzioni, come Versi editi ed inediti di Girolamo Giambattista e Cornelio Amalteo tradotti da vari, Venezia 1817.
Ma carmi singoli o gruppi di carmi si trovano poi in varie raccolte del tempo e successive, come in Carmina quinque illustrium poetarum..., Bergomi 1753, e in Antologia della lirica latina, a cura di E. Costa, Città di Castello 1888, o nella traduzione di L. Grilli, in Versioni poetiche dei lirici latini dei secc. XV e XVI, Città di Castello 1898. Per la lirica volgare sono da ricordare, tra le tante, la raccolta dell'Arrivabene, Delle rime di diversi eccellentissimi autori..., Venezia 1550 e, tra quelle più recenti, i Componimenti poetici italiani di Giambattista Amalteo, Sanvito 1838.
Il fratello Girolamo, nato a Oderzo il 7 marzo 1507, si laureò a Padova e vi ebbe l'incarico della lettura e commento del III libro di Avicenna e poi la cattedra di filosofia morale. Fu dal 1536medico a Ceneda e a Serravalle e morì ad Oderzo il 19 ott. 1574. Tra i suoi componimenti poetici, quasi tutti latini, va segnalata la Gigantomachia haeretica (trad. da G. M. Monico, Treviso 1817), diretta a Paolo IV, che accoglie in forme classicheggianti un contenuto apertamente controriformistico. Il fratello Cornelio, nato a Oderzo verso il 1530, studiò a Padova e divenne, pare, medico come Girolamo. Fu cancelliere a Ragusa e più tardi forse entrò nella carriera ecclesiastica.
Morì nel 1603. Fu poeta latino come i fratelli, anche se meno famoso; tra i contemporanei ebbe una certa risonanza il suo carme eroico Proteus, in cui la rappresentazione di Proteo in atto di incoronare Giovanni d'Austria sembrò una prefigurazione della vittoria di Lepanto.
La produzione poetica di Girolamo e di Cornelio è pubblicata ingran parte insieme con quella di Giovanni Battista; solo si può aggiungere una edizione di circostanza (Girolamo e Cornelio A., Carmi, Bassano 1817) con traduzione e testo a fronte
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