GAMBARANA, Giovanni Arcangelo
- L'anno di nascita del G. può essere fissato con sufficiente sicurezza al 1768, in base alla data di morte, avvenuta all'età di 63 anni nel 1831, secondo quanto è riportato nei registri della cattedrale di Casale Monferrato. Luogo di nascita fu Fubine (tra Casale Monferrato e Alessandria), stando alla testimonianza di un suo pronipote raccolta da L. Sorrento. Scarse notizie sul G. - che risulta ignorato da tutti i lessici musicali - si rinvengono nel Carteggio di A. Manzoni. Da tale fonte risulta solo che il G., dopo alcuni viaggi compiuti nell'Italia settentrionale, si stabilì a Casale, dove nel 1828 gli fu offerta la carica di maestro di cappella della cattedrale, offerta da lui rifiutata per ragioni di salute.
Elementi utili alla ricostruzione della biografia del G. sono contenuti in alcune sue opere (per lo più manoscritte, a eccezione della Pentecoste e del Cinque Maggio, e custodite soprattutto nella Biblioteca del Conservatorio di Milano, ove forse le destinò la vedova) che recano sporadiche, ma significative, date di composizione e quindi indicazioni biografiche, peraltro non sempre sicure. Così, sul frontespizio dei Quattro duetti, composti a Genova nel 18n, il G. si qualifica «Accademico filarmonico del Real Conservatorio di Napoli», notizia che però non trova conferma né negli schedari, né in archivi napoletani, ove il suo nome non compare mai.
Un’inesattezza che viene a pregiudicare l'attendibilità di postille autografe (alcune delle quali risultano cancellate) in altre opere del G., che pure potrebbe essersi recato a Napoli senza aver compiuto studi regolari, come attestano stilisticamente sue pagine sacre e profane, nonché l'opera teatrale il Marsia, rappresentata al teatro Re di Milano nel 1819.
Dopo il duetto con orchestra (non elencato dal Sorrento) «Fra perigli onor mi chiama», che reca in calce l'annotazione «Scritto espressamente per l'opera il Conolano da rappresentarsi in Genova nel 1812» (il Coriolano di G. Nicolini fu rappresentato al teatro S. Agostino il 26 dic. 1811, apparentemente senza successo) e che indica il G. come «allievo del Conservatorio di Napoli», appare la sua prima opera teatrale, Angelica in Scio, rappresentata nello stesso teatro S. Agostino il 20 genn. 1812. Il libretto fu scritto dall'abate olivetano Luigi Serra, genovese, già noto per le sue idee democratiche e allora professore dell'Imperiale Accademia genovese. L'Angelica in Scio riportò, come si legge nella Gazzetta di Genova del 22 genn. 1812, un «successo molto lusinghiero», non esente tuttavia da alcune riserve sulla lunghezza di certe parti e sulla ripetizione di alcune arie più adatte ad un'opera buffa. In seguito la sua cantata La pace (per due voci e pianoforte) venne eseguita al teatro Comunale di Bologna nel 1814 durante un'«accademia» vocale e strumentale, che comprendeva musiche di G. Farinelli, L. Palmerini e F.A. Caligari. Con Genova il G. dovette riprendere i rapporti se, composto a Tortona uno Stabat Mater a 3 voci con strumenti nel 1816, l'anno successivo scriveva una cantata per basso e orchestra su poesia del «padre Serra genovese 1.. A Milano, ove risiedette dalla fine del 1818, il G. compose l'oratorio il Giuseppe riconosciuto, scritto su poesia « rimodernata » dal signor cavaliere G. Rossi, e datata primavera 1819.
Non risulta che questo lavoro venisse eseguito; ma che il G. godesse a Milano di una certa considerazione si attesta con quell'opera Marsia, che fu programmata al teatro Re nell'autunno del 1819, dal l° al 7 dicembre.
Con quest'opera, di cui esistono nella Biblioteca del Conservatorio milanese libretto e partitura manoscritta, il G. fu coinvolto in una delle fasi più accese della polemica tra classicisti e romantici. La fase più acuta della polemica si ebbe quando comparve nel 1818 l'Almanacco antiromantico, redatto da alcuni «astronomi» che nascondevano i loro cognomi dietro le sigle X Y Z e che scrissero il libretto dell'opera Marsia, dal G. musicata. L'opera, cui si accenna nell'Aligemeine musikalische Zeitung del febbraio 1820, fu fischiata, e venne sostituita con la rappresentazione della Cenerentola di G. Rossini, sempre al teatro Re; il G., definito «maestro somarino» dal Corriere delle dame (4 dic. 1819), lasciò Milano. Nel 1821 risultava residente e operante a Casale, ove nel dicembre dedicava la cantata Invito alla campagna (per 2 voci e pianoforte) alla contessa Leardi, e ove doveva essere assai stimato come compositore, tanto da venire incaricato nel 1822 di scrivere sette composizioni sacre (Magnificat, Laudate, Nisi Dominus, Tantum ergo, Chine, Gloria e Credo) per voci e orchestra per la festa dell'Immacolata Concezione.
I primi sicuri contatti del G. con Alessandro Manzoni risalgono agli anni 1821-22, se la prima lettera dello scrittore (9 giugno 1823) si esprime in termini già confidenziali, ricordando al G. la visita fattagli poco prima a Brusuglio e ringraziandolo di una sonata nonché della musica per l'ode Cinque Maggio, di cui non era ancora « permessa la stampa » a Milano. Sono degli anni successivi (a partire dal 1823) numerosi sonetti ispirati a liriche di C.A. Frugoni, V. Monti, G. Parini nonché a tre poesie dialettali di C. Porta (1825), che il G. voleva pubblicare, come si deduce da una lettera del 28 nov. 1829 indirizzatagli da T. Grossi, a cui erano stati dedicati. Intanto era stata pubblicata, per sottoscrizione dello stesso Manzoni e di nobili e professionisti, la seconda opera manzoniana, La Pentecoste, che lo scrittore consigliava di consegnare a B. Neri, maestro di cappella del duomo di Milano e organizzatore di «accademiole».
La salute del G. intanto si faceva cagionevole, come si apprende da due lettere inviate al Manzoni il l° dic. 1825 e il 7 marzo 1826; inoltre era angustiato da contrasti con i parenti (che gli assegnavano l'esigua pensione annua di 600 franchi) al punto di desiderare di prendere «la via di Parigi o Milano».
Dopo un'ultima serie di otto sonetti del 1827 il G. si accomiatava dall'attività musicale con alcune pagine sacre, tra cui un Tantum ergo per tenore e organo scritto nel gennaio 1828 (riveduto esattamente un anno dopo) e una messa, opere offerte alla cattedrale di Casale per la festa dell'Epifania. L'8 febbraio dello stesso anno il consiglio della cattedrale di Casale deliberò di offrirgli «l'impiego di maestro di cappella»; l’11 febbraio successivo il G. dichiarava però di non poter accettare, «attesa la sanità debole e precaria». Il 29 nov. 1829 T. Grossi, rispondendo a una sua lettera perduta, accennava alla stima sincera che il Manzoni nutriva nei suoi riguardi, dopo aver sentito cantare il suo Cinque Maggio durante una «accademiola» nella sua casa: atteggiamento di «verace stima e... particolare affezione», ribadito dal romanziere nella lettera inviata l'Il apro 1832 alla vedova Angelina, ove la ringrazia per avergli mandato «preziosi pezzi di musica» dell'«incomparabile artista» la cui memoria gli è «riverita e cara».
Il G. era morto a Casale Monferrato il 2° ag. 1831.
Le due opere pubblicate del G., ossia le due poesie manzoniane, pur nell'arduo sforzo di far collimare l'espressione testuale con quella musicale, mostrano una successione di episodi difficilmente saldabili: qualificandosi il Cinque Maggio come una sorta di cantata austera, talvolta aperta a dignitosi momenti ma spesso quasi paralizzata dalla riverenza verso la grande poesia manzoniana, donde la critica formalistica esplicata dal Gatti, che stigmatizza le iterazione come ristagni di un'inventiva scarsa, intesa a variare il discorso per non riuscire affaticante e tediosa, affidandosi però solo a semplicistiche modulazione. E pur rinvenendo una costante stilistica viva nella letteratura operistica del nostro primo Ottocento che raggiungerà lo stesso Verdi, sono questi i reali limiti musicali del G., forse accentuati nella Pentecoste, data la gracilità dell'ispirazione religiosa del musicista. Se in queste due opere pubblicate emergono tutti gli artifici professionali del musicista, in altre sue pagine manoscritte egli realizza la sua dimensione più disimpegnata e schietta, come, ad esempio, nei tre sonetti del Porta, ove i vecchi e abusati stilemi dell' opera buffa trapassano finalmente a tono più sincero e «naturale», secondo una lezione sostanzialmente manzoniana.
Fonti e Bibl.: Cenni teatrali, in Comere delle dame (Milano), 4 dic. 1819; Gazzetta di Milano, 4 dic. 1819; Allgemeine musikal. Zellung, XXI (1820), col. 93; P. Pavesio, Lettere artistiche di G. Paisello, V. Bellini, G. Rossini, A. Manzoni, in Rivista europea, maggio 1874, p. 94; A. Manzoni, Carteggio, II, Milano 1921, pp. 205-219; Id., Tutte le opere, VII, Milano 1870, pp. 307, 491; C. Gatti, A. Manzoni e la musica, in L'Illustrazione italiana, 20 maggio 1923, pp. 15-18; L. Sorrento, Un amico del Manzoni e il Cinque Maggio musicato, in Rend. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, LVII (1924), p. 566; E. Frassoru, Due secoli di lirica a Genova, Genova 1980, I, p. 69; II, p. 403; S. Martinotti, Manzoni, la musica e l'amico G., in Atti dell'XI Congresso naz. di studi manzoniani, Lecco 1982; L. Gherardi, Manzoni, Alessandro, in Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, Torino 1986, p. 622; B. Rossi, Diz. dei musicisti casaki, Casale Monferrato 1942, p. 19.