CAMPANO, Giovanni Antonio (Giannantonio)
Nacque nel 1429, probabilmente il 27 febbraio, a Cavelli presso Galluccio (in provincia di Caserta) da una famiglia di modestissime condizioni economiche.
Fu il C. stesso ad assumere il cognome Campano. Della famiglia egli fu l'unico membro che sia assurto a notorietà; dal suo epistolario conosciamo il nome di due suoi fratelli, Amerigo ed Angelo (quest'ultimo nel 1475 era al servizio del cardinale Angelo Capranica), ed è probabile che il C. ne avesse altri due, di nome Antonio e Giacomo. Il C. fu spesso confuso con Antonio Settimuleio Campano, detto anche il Campanino, originario di Bauco negli Ernici, che fu a Roma contemporaneamente a lui: ma non vi erano relazioni di parentela fra i due.
Il padre morì prematuramente, e il C. fu allevato nella casa di uno zio paterno di nome Teolo; poi, dopo i primi studi presso un prete di Galluccio, verso il 1445 il C. si recò a Napoli, dove si guadagnò da vivere come precettore dei figli del nobile Carlo Pandoni, Camillo e Scipione. Intanto studiava presso l'università dove, tra i professori, conobbe almeno Niccolò Rainaldi da Sulmona e Angelo Catone da Supino. Nel 1452 partì insieme con il fratello Amerigo per la Toscana, per seguire a Siena le lezioni del famoso giurista Mariano de' Sozzini; ma assaliti e depredati da soldati napoletani i due fratelli si videro costretti a interrompere il viaggio a Perugia, ove si separarono. Qui il C. visse sotto la protezione dell'influente famiglia Baglioni e studiò greco con Demetrio Calcondila fino a quando questi insegnò a Perugia, ma senza ottenere risultati degni di nota. Il 16 nov. 1455 il C. fu chiamato ufficialmente alla cattedra di retorica dell'università perugina, sulla quale era stato preceduto da eruditi famosi. Nella primavera dello stesso anno egli aveva partecipato in veste di oratore all'ambasciata di obbedienza inviata dai Peruginial papa Callisto III: fa questo il suo primo contatto con Roma. Già il 21 ott. 1455, alla presenza delle autorità perugine, il C. aveva pronunziato il discorso inaugurale (Oratio in Studio Perusino 1455 habita o De laudibus omnium scientiarum), che gli procurò grande fama. Continuò a vivere presso i Baglioni e fu precettore di Niccolò nipote di Nello; aveva stretto legami di amicizia anche con le famiglie dei Pirinelli, Tarquini, Crispolti e Bisocheti e con molti colleghi professori, tra cui Niccolò Viva, G. B. Alfani e Matteo Baldeschi. Nel 1456 ebbe delle difficoltà in connessione con i suoi impegni di insegnamento all'università e decise di trasferirsi presso la Curia; ma il progetto per allora fallì. Nel 1457 la peste lo costrinse a fuggire dalla città: si recò al lago Trasimeno, ove passò l'estate di quell'anno e parte della primavera del 1458; frutto letterario di questo periodo fu il De felicitate Thrasimeni. Negli anni perugini (1452-59) il C. aveva composto, anche molte poesie (appartenenti soprattutto ai libri I-III dei Poemata), per lo più di contenuto elegiaco e di tono retorico, che raramente riflettono veri sentimenti.
Allorché il 19 ag. 1458 Pio II assurse al soglio pontificio, il C. partecipò, come già per Callisto III, all'ambasciata di obbedienza inviatagli dalla città, e poté incontrare di nuovo il papa umanista a Perugia poco dopo, quando Pio II, che si recava al congresso di Mantova, giunse con grande seguito nella città il 1º febbr. 1459. Era con lui, tra gli altri, Francesco Accolti, che rimase assai impressionato dal pur scarsamente originale De ingratitudine fugienda cui il C. stava allora lavorando. L'Accolti fece leggere l'opera a Giacomo Ammannati, allora ancora segretario pontificio, ma già favorito dal nuovo papa; l'Ammannati invitò allora il C. ad aggregarsi alla Curia, realizzandone così un desiderio nutrito da tempo. Il C. ottenne il suo primo impiego presso Filippo Calandrini, fratellastro di papa Niccolò V e onesto cardinale, il cui interesse per la letteratura era però limitato; a Mantova comunque entrò in contatto con la cerchia più ristretta di Pio II, e le sue doti di prontezza di spirito e di risposta gli valsero la benevolenza del papa: è nota la scena sul Mincio, ove Pio II scambiò epigrammi con i suoi intimi, tra i quali si trovava il Campano. Poco dopo il C. ritornò ancora una volta per breve tempo a Perugia, e durante il viaggio sostò presso Sigismondo Malatesta, forse con l'intento, pur avendo appena stabilito i contatti con la Curia, di ottenere anche qui un impiego. Secondo il Ferno, però, il C. voleva semplicemente presentare a Carlo Fortebracci, che si trovava dinanzi a Rimini, la biografia di suo padre Braccio di Montone (Vita et res gestae Braccii Fortebraccii)redatta a Perugia verso il 1458, che è la sua opera più nota e che stabilì la sua fama di storiografo. Nel settembre del 1459 il C. era di nuovo a Mantova. Ottone del Carretto e Nicodemo Tranchedini, ambasciatori del duca Francesco Sforza, che nel frattempo avevano letto la Vita di Braccio, chiesero al C. di scrivere una biografia del loro signore; ma per una qualche ragione ignota questo progetto non fu realizzato e in una poesia di epoca posteriore, dedicata ad Alessandro Sforza fratello del duca, il C. rifiutò esplicitamente di occuparsi della storia di casa Sforza e di magnificarla in una sorta di "Sforziade". Il C. rimase a Mantova fino alla fine del congresso e divenne familiare del cardinale di S. Susanna, Alessandro Oliva, rimanendo così in prossimità del papa, di cui l'Oliva era intimo. Nel 1460 fu a Siena; poi, nel tardo autunno, tornò nuovamente a Perugia con il cardinale, che aveva avuto dal papa l'incarico di indagare sull'assassinio di Pandolfo e Niccolò Baglioni ad opera di Braccio Baglioni. Il C. diede prova di notevole fermezza di carattere: si rifiutò di salutare Braccio prima che questi fosse assolto, e si recò invece dai familiari dell'assassinato Pandolfo. All'inizio del 1461 l'Oliva e il C. furono a Iesi e Ancona, per dirimere controversie sorte tra gli abitanti di queste città, concludendo una pace che fu firmata ad Osimo ai primi di marzo. Nell'estate del 1461 essi seguirono Pio II a Tivoli, dove il pontefice sorvegliava la costruzione del castello; nell'estate dell'anno seguente il C. si trattenne ai Bagni di Vignone probabilmente cercandovi rimedio ai suoi attacchi epilettici.
Il 20 ott. 1462 Pio II nominò il C. vescovo di Crotone in Calabria, per premiare soprattutto le sue doti poetiche. Il C. visitò la sua diocesi, ma non vi rimase a lungo, e ritornò presso il cardinale di S. Susanna, che era gravemente malato. Nell'estate del 1463 questi potè risollevarsi ancora una volta e recarsi a Tivoli, dove la Curia cercava refrigerio dal caldo soffocante della città, ma la morte lo colse nella notte tra il 19 ed il 20 agosto del 1463. La sua salma venne trasportata a Roma e sepolta nella chiesa di S. Agostino; il C. pronunziò il discorso funebre che fu altamente lodato. La sua abilità oratoria era infatti assai ammirata dai contemporanei; ma i suoi discorsi, che nulla hanno a vedere coi discorsi programmatici dei grandi umanisti, hanno ormai un interesse esclusivamente culturale o biografico. Dopo la morte del cardinale Oliva Pio II intraprese una serie di trasferimenti di titolari in vari episcopati, nel corso dei quali il C. fu trasferito nella sede di Teramo negli Abruzzi; ma un nuovo attacco della malattia gli impedì di visitare la sua diocesi. Il C. giacque malato dall'autunno 1463 alla primavera del 1464; trovò però il tempo, in quell'intervallo, di leggere, su richiesta del papa stesso, i Commentarii di Pio II, e precisamente la redazione del 1463. L'esatta misura del contributo del C. ai Commentarii non è stata ancora accertata, ma si trattò certamente di correzioni minori. Il C. giaceva nuovamente malato a Viterbo quando Pio II si recò, nell'agosto del 1464, ad Ancona per sollecitare la formazione di una flotta contro i Turchi, e a Viterbo rimase convalescente fino ad autunno inoltrato; si recò poi a Teramo per una prima visita del suo vescovato. Dal 1465 fino alla fine del 1471 il C. appartenne alla famiglia del cardinal Francesco Todeschini-Piccolomini - nipote di papa Pio II e futuro papa Pio III - accompagnandolo nei suoi viaggi, per lo più nelle vicinanze di Roma o a Siena, quando non visitava, di quando in quando, la sua diocesi. Ma suo vero protettore, sino alla sua morte, fu l'Ammannati, nel frattempo elevato alla porpora, e a lui il C. indirizzò prevalentemente le sue lettere e dedicò le sue poesie. Nell'estate del 1465 il C. tenne la prima commemorazione di Pio II. Il legame con l'illustre scomparso non gli impedì purtuttavia di cercare di stabilire buoni rapporti con il suo successore Paolo II e di offrirglisi - senza successo - come storiografo di corte. Comunque Paolo II gli lasciò alcuni benefici, finché nel corso degli anni le loro relazioni peggiorarono.
Tra le cause di questo peggioramento è forse da considerarsi la cosiddetta congiura dell'Accademia della primavera 1468, anche se il C., pur essendo nel novero dei membri dell'Accademia, non fu coinvolto personalmente nella persecuzione, mentre il suo omonimo Settimuleio Campano fu incarcerato in castel Sant'Angelo. Contro il capo dell'Accademia, Pomponio Leto, fu elevata l'accusa di omosessualità o sodomia, accusa che era applicabile in primo luogo al C., le cui inclinazioni omosessuali erano note: ci è stato tramandato anche il nome del suo prediletto, il fiorentino Francesco Lapi. Malgrado ciò nella primavera del 1468 il C. continuava a vivere indisturbato a Roma; in aprile poi si recò nella sua diocesi. L'unica spiegazione plausibile è l'intervento di amici influenti, come i cardinali Ammannati e Forteguerri; salvo confusione con il vescovo di Terni, nel 1468 egli fu persino accolto nella famiglia del papa e annoverato tra i "provisionati in palatio". Ciò forse fu frutto delle sue poesie encomiastiche: il papa, la cui reputazione presso gli umanisti aveva molto sofferto per le vicende di quell'anno, aveva bisogno di popolarità.
Negli anni 1469 e 1470 il C. si dedicò anche all'attività di correttore o editore di testi antichi presso le tipografie romane del tedesco Ulrich Han e del medico messinese, amico di Paolo II, Giovanni Filippo de Legnamine. Questa attività ci sarebbe rimasta probabilmente ignota se il C. non avesse composto "censurae" per alcuni degli autori editi, e il suo nome non fosse eternato nei relativi incunaboli.
Nel 1471 il C., ormai evidentemente riabilitato, fece parte della legazione pontificia che, sotto la guida del legato Todeschini, prese parte alla Dieta convocata a Ratisbona per la fine d'aprile dall'imperatore Federico III per trattare, oltre a problemi interni della Germania, la questione turca. Insieme col C., aggregato in qualità di oratore, parteciparono alla legazione Agostino Patrizi (successivamente maestro pontificio delle cerimonie) come segretario e Lorenzo Roverella, vescovo di Ferrara e legato in Ungheria e Boemia, che raggiunse gli altri a Ratisbona. Il viaggio alla volta della Germania, e soprattutto la vista delle Alpi, fecero una grande impressione sul C.; per lui inoltre quello era il primo incarico politico di rilievo, in cui sperava di mettere in luce le proprie capacità. Ma la Dieta iniziò solo il 24 giugno, molto più tardi del previsto, e in essa le questioni interne germaniche assunsero ben presto un ruolo preponderante, mentre nessun risultato fu raggiunto relativamente alla questione turca. Il C. aveva preparato un discorso, inteso a spronare la bellicosità dei Tedeschi, che ebbe una notevole diffusione ma che per varie ragioni non poté esser pronunziato. Fu un duro colpo per la sua fiducia in sé stesso, e da allora il C. nulla desiderò più vivamente che di essere richiamato; le lettere che a questo scopo egli spedì in gran numero in Italia riflettono la sua avversione per i Tedeschi e il loro basso livello culturale. Il 21 agosto l'imperatore sciolse la Dieta ma, poiché il legato Todeschini visitò la sua prepositura di Würzburg per regolare delle questioni ecclesiastiche, la legazione iniziò il viaggio di ritorno solo il 18 novembre, attraversando la Germania meridionale e la Svizzera e, dopo diverse peripezie, giunse a Siena il 23 dic. 1471. Di questo viaggio abbiamo la precisa e interessante relazione - purtroppo in gran parte inedita - del Patrizi (De legatione germanica Francisci Piccolominei..., et de Conventu seu Dieta Ratisponensi, nel cod. Vat. lat.3842, ff. 25-92v). Intanto, il 26 luglio del 1471, era morto il pontefice Paolo II; il 9 agosto fu eletto suo successore, col nome di Sisto IV, Francesco della Rovere, che era stato professore di filosofia a Perugia e che il C. conosceva da quell'epoca. Il nuovo pontefice all'inizio dell'aprile 1472 nominò il C. governatore di Todi. Come tutte le città umbre, anche Todi era dilaniata dai contrasti tra le fazioni, e l'esperienza del suo protettore Ammannati quando era stato governatore di Perugia avrebbe dovuto essere di ammonimento per il Campano. A Todi, quando ebbe luogo una vera e propria ribellione, il C. poté vantare iniziali successi militari, ma non seppe pervenire a una soluzione definitiva. Profittò di una tregua per recarsi su incarico del papa a Urbino per pronunziarvi, il 17 ag. 1472, il discorso funebre per la contessa Battista Sforza, sposa del comandante dell'esercito pontificio Federico da Montefeltro, morta il 6 luglio. In autunno il papa trasferì il C. da Todi a Foligno, la pacificazione della città essendo un compito troppo gravoso per un principiante in problemi amministrativi. In ottobre il C. aveva già raggiunto la nuova sede: qui, avendo tempo disponibile, iniziò la stesura di una biografia del Montefeltro, incarico da lui certamente ottenuto durante la visita ad Urbino.
Questa biografia, che non si differenzia sensibilmente da simili opere contemporanee, e per di più è incompleta, fu a lungo considerata perduta, e solo all'inizio di questo secolo fu riscoperta da G. Zannoni nel codice Vat. Urb. lat. 1022. Comunque il C. ottenne da Urbino sussidi finanziari, ed a Vespasiano da Bisticci era noto che il duca possedeva le opere complete del C.: esse oggi si trovano, in parte, in magnifici manoscritti tra i codici Urbinati della Biblioteca Vaticana.
Il C. seppe anche guadagnarsi la fiducia del cardinal Pietro Riario, nipote del papa, cui dal 7 apr. 1473 Sisto IV aveva affidato la legazione umbra, e per un certo periodo ottenne l'ufficio di poeta di corte; ma il giovane cardinale morì già il 5 genn. 1474, e contemporaneamente ebbe termine il mandato del C. a Foligno. Rimase senza successo la sua candidatura a uno degli episcopati, Teano o Tricarico, che si erano resi vacanti alla morte del card. Niccolò Forteguerri. Nei primi mesi dell'anno 1474 il C. rimase in Umbria; all'inizio di marzo fu per breve tempo ad Assisi, senza però avervi ottenuto la carica di governatore, come credettero taluni biografi. Dal 6 marzo 1474 il C. era di nuovo al servizio della Curia, questa volta come governatore di Città di Castello.
Anche qui, come nella maggioranza delle città umbre, infuriavano violente lotte di fazione. Niccolò Vitelli, signore della città, aveva dopo lunga lotta sconfitto i suoi nemici, e godeva dell'appoggio di amici influenti come Firenze, Milano e Napoli. Sisto IV non poteva tollerare, nei confini dello Stato pontificio, una signoria tanto potente, ed inoltre aveva promesso la città al nipote Giovanni; inviò allora l'altro suo nipote, Giuliano (il futuro Giulio II), con un esercito nell'alta valle del Tevere, per impadronirsi della città. Un amico del C., il poeta riminese Roberto Orsi, vicepodestà della città dal 1472, ci ha trasmesso un esatto resoconto degli eventi.
Il C., amico del Vitelli, tentò d'impedirne il rovesciamento con una violenta lettera (Ep. IX., 4), indirizzata a Sisto IV il 4 luglio 1474, in cui osò paragonare i procedimenti del papa con quelli dei Turchi, chiedendo inoltre il ritiro dell'esercito pontificio; ma, com'era prevedibile, nient'altro ottenne che di cadere in disgrazia per il resto della sua vita. Fu immediatamente richiamato, ma ancora prima del richiamo egli si era recato a Roma per intercedere oralmente presso il papa in favore degli abitanti della città. Non fu ammesso alla presenza del pontefice; non ritornò più a Città di Castello, che in agosto fu occupata dalle truppe pontificie. L'esonero dall'impiego privò il C. dei suoi mezzi finanziari, e pertanto egli tentò, nell'ottobre 1474, munito di una lettera di raccomandazione del duca di Montefeltro, di ottenere l'ufficio di storiografo alla corte di re Ferrante di Napoli. Benché venisse appoggiato dal duca Giovanni, figlio del re e futuro cardinale, Ferrante rifiutò. Il C. si stancò molto presto dell'attesa e ritornò a Teramo, ove giunse la vigilia di Natale del 1474. Carezzava ancora il progetto di ritentare una altra volta la fortuna a Napoli, ma non ne ebbe più la forza. Rimase a Teramo fino all'inizio del 1477, attendendo agli affari della sua diocesi.
Nel gennaio del 1477 si recò, per motivi ignoti, a Siena; ivi morì il 15 luglio 1477 all'età di 48 anni e fu sepolto nel duomo, nella cappella del Battista. Il senese Agostino Dati pronunziò il discorso funebre.
In vita il C. fu molto ammirato come oratore, storiografo, stilista epistolare, filosofo e poeta. Se l'ammirazione di cui fu circondato in vita si perpetuò nei secoli successivi, ciò è attribuibile in parte al fatto che un suo antico allievo, G. Antiquari, procurò già nel 1495 per mezzo del canonico milanese Michele Ferno, un'edizione dell'Opera omnia, ristampata poi nel 1502 con l'aggiunta di una biografia del C.: a differenza di umanisti di maggiore rilievo, la sua opera era a disposizione del pubblico in istampa, e la sua fama perciò crebbe. Comunque, se gli scritti filosofici del C. sono prevalentemente ricompilazioni di modelli classici, e pertanto privi di originalità, e i suoi discorsi sono di scarso interesse, indiscutibile è il valore, almeno documentario, di ambedue le sue maggiori opere storiche, le biografie di Braccio e di Pio II. Particolarmente interessante è la Braccii Perusini vita et gesta, in cui all'ammirazione umanistica per la prepotente individualità del grande condottiero si accompagna sempre il rigoroso scrupolo di una documentazione oggettiva, in gran parte di prima mano. Unico tributo che qui il C. paga all'intento encomiastico proprio del genere è l'aver taciuto, per difendere Braccio dall'accusa di empietà, il motivo profondo delle sue intraprese militari e diplomatiche, l'ambizione cioè di crearsi un vasto Stato a spese di quello pontificio: sicché i fatti storici, privati del loro logico filo conduttore, finiscono per apparire casuali e disorganici. Di livello inferiore è la Vita di Pio II, stesa tra il 1470 e la morte, con intenti chiaramente apologetici; tuttavia anch'essa riveste un rilevante interesse documentario, basandosi in parte sui ricordi personali di chi, come il C., era stato a lungo in diretto contatto col Piccolomini. Interessanti e importanti sono anche le poesie latine del C., che furono stampate in otto libri rispecchianti un certo ordine cronologico, che probabilmente risale allo stesso Campano. I primi tre volumi contengono essenzialmente le prime liriche, di contenuto elegiaco, del periodo perugino, e sono pesantemente modellate sugli esempi classici. Nel terzo volume appaiono già poesie più propriamente d'occasione, che occupano anche i rimanenti cinque volumi, di cui un numero preponderante è dedicato a personalità di rilievo, alle quali si chiede in questo modo un favore. Vi sono anche intercalate satire di persone ed avvenimenti della vita quotidiana romana, e poesie erotiche; in tutte, il modello dei Carmina di Pio II è inequivocabile. Per molte poesie la comprensione è difficile poiché spesso non conosciamo gli eventi e le persone cui alludono, ma non dobbiamo sottovalutarne l'importanza come fonti storiche. In complesso le liriche latine del C. sono gradevoli, ma raramente raggiungono un elevato livello poetico. Di esse, molte giacciono tuttora inedite nei codici Vat. Urb. lat. 338 e Vat. lat. 2874, ff.4-31v, della Biblioteca Apostolica Vaticana, e CCLXXX, ff. 52-67, della Biblioteca capitolare di Verona. Si differenziano nettamente dal resto dell'opera poetica del C. le poesie di soggetto cristiano edite dal Valentini. Non meno importanti delle poesie sono le lettere, per lo più non datate, che nella edizione a stampa occupano nove volumi. Il fatto che non siano datate e che i destinatari siano in parte fittizi dimostra che i contemporanei erano più interessati all'esempio stilistico che al contenuto: oggi invece il nostro interesse si rivolge piuttosto a quest'ultimo, da cui traiamo una vivace visione della Curia e della vita politica e culturale degli anni 1455-1474, anche se per lo più solo a squarci.
Le opere del C. furono edite più volte: Opera I. A. Campani,cura M. Ferni edita, Romae, E. Silber, 1495 (cfr. Gesamtkatalog der Wiegendrucke, n. 5939); Omnia Campani opera... Campani vita per M. Fernum..., Venetiis 1502; Epistolae et poemata una cum vita auctoris... recensuit I. B. Menckenius, Lipsiae 1707; Opera selectiora, quibus continentur de rebus gestis A. Brachii libri sex, cum Vita Pii II... descriptione Thrasimeni... recensuit F. O. Menckenius, Lipsiae 1734. Delle due maggiori opere biografiche esiste l'ediz. critica nei Rer. Ital. Script.: Braccii Perusini vita et gesta, ab anno MCCCLXVIII usque MCCCCXXIV, 2 ed., a cura di R. Valentini, XIX, 4, pp. 1-206; Le vite di Pio II di G. A. C. e B. Platina, a cura di G. C. Zimolo, III, 3, pp. 1-88. Altre opere, non comprese nelle edizioni dell'Opera omnia, in G. V. Vermiglioli, Memorie di I.Antiquari, Perugia 1813, pp. 269 ss.(De legatione Perusinorum); G. Zannoni, Federico II di Montefeltro e G. A. C., in Boll. della R. Accademia d. scienze di Torino, XXXVIII (1902-1903), pp. 108-118(un'edizione parziale della biografia del duca di Montefeltro); R. Valentini, Liriche religiose di G. A. C., in Boll. della R. Deput. di storia patria per l'Umbria, XXXIV (1937), pp. 41-56; F. R. Hausmann, G. A. C. (1429-1477). Erläuterungen und Ergänzungen zu seinen Briefen, Freiburg i. Br. 1968 (cfr. la recensione di R. Avesani in Studi Medievali, IX [1968], pp. 1216-19). Una dettagliata elencazione delle edizioni e dei manoscritti contenenti le opere del C. e infine in F. R. Hausmann, G. A. C. (1429-1477). Ein Beitrag zur Geschichte des italienischen Humanismus im Quattrocento, in Römische historische Mitteilungen, XII (1970), pp. 125-178.
Bibl.: Apportano contributi fondamentali alla biografia del C. la Vita premessa dal Ferno all'edizione delle opere del 1502, le prefazioni di Valentini e di Zimolo nei Rer. Ital. Script. e i saggi già citati, contenenti opere del C., di Zannoni, Valentini ed Hausmann. Si vedano inoltre: G. B. Tafuri, Scrittori nati nel Regno di Napoli, II, 2, Napoli 1760, pp. 271-77; G. Lesca, G. C. detto l'Episcopus aprutinus, Pontedera 1892 (cfr. la recensione di V. Rossi in Rassegna bibliografica, I [1893], pp. 111-115); G. Zippel, prefazione alle Vite di Paolo II…, in Rer. Ital. Script., III, 16, pp. XIV-XV, e l'opera stessa, ad Indicem;G. Magherini Graziani, Introduzione a R. Orsi, De obsidione Tiphernatum liber, in Rer. Ital. Script., XXVII, 3, e il De obsidione stesso, passim;R. Valentini, "De gestis et vita Braccii" di A. C. A proposito di storia della storiografia, in Boll. della R. Deputaz. di storia patria per l'Umbria, XXVII (1925), pp. 153-96; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano s. d., ad Indicem;G. Bernetti, Ricerche eproblemi nei Commentarii di E. S. Piccolomini, in La Rinascita, II (1939), pp. 449-75; M. Santoro, Il "De ingratitudine fugienda" di G. C. e il tema della gratitudine nella cultura umanistica, in Atti dell'Accademia Pontaniana, n. s., XIII (1964), pp. 257-75; D. De Robertis, L'esperienza poetica del Quattrocento, in Storia della letteratura italiana Garzanti, III, Milano 1966, ad Indicem;R. Avesani, Epaeneticorum ad Pium II Pont. Max. libri V, in E. S. Piccolomini - Papa Pio II. Atti del Convegno per il quinto centenario della morte e altri scritti, a cura di D. Maffei, Siena 1968, pp. 15-97 passim; A. A. Strnad. Studia Piccolominea, ibid., pp. 295-390 passim; G. C. Zimolo, Il C. e il Platina come biografi di Pio II, ibid., pp. 401-11; Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, a cura di T. De Marinis ed A. Perosa, Firenze 1970, ad Indicem;F. R. Hausmann, Armarium 39,Tomus 10 des Archivio Segreto Vaticano. Ein Beitrag zum Epistolar des Kardinals Giacomo Ammannati-Piccolomini (1422-1479) und anderer Humanisten, in Quellen und Forsch. aus ital. Arch. und Bibl., L (1971), pp. 112-180; Id., Untersuchungen zum neulatein. Epigramm Italiens im Quattrocento, in Humanistica Lovaniensia, XXI (1972), pp. 1-35; K. Voigt, Ital. Berichte aus dem spätmittelalterl. Deutschland. Von Francesco Petrarca zu Andrea de' Franceschi (1333-1492), Stuttgart 1973, ad Ind.