AMADEO (o Omodeo), Giovanni Antonio
Il maggiore degli architetti e scultori lombardi all'inizio del Rinascimento, nato nel 1447, morto nel 1522. Diciannovenne, lavorava col fratello Protasio nella certosa di Pavia, intagliando troppo riccamente a figure e fregi la porta del chiostro piccolo e le terrecotte del chiostro stesso. Intorno al 1475 alzò e adornò a Bergamo la cappella Colleoni e vi scolpì la tomba di Medea e il monumento equestre a Bartolomeo, opere ricche di figure e di storie classiche, di gusto venezianeggiante. Sono sue anche le esuberanti decorazioni del cortiletto annesso al chiostro di S. Lanfranco a Pavia, e opere minori. Intorno al 1480 ornò l'edicola del capitano Tarchetta nel duomo di Milano (frammenti nel Museo archeologico); poi le porte della chiesa alla sagrestia vecchia e al lavabo dei monaci nella certosa di Pavia sotto l'influsso dei Mantegazza, rudi scultori locali; i bassorilievi dei pulpiti dei martiri nel duomo di Cremona (per A. Venturi, di Pietro da Rho); nel 1481 il monumento a S. Saverio, nel duomo stesso, e a S. Arialdo (1484); nel 1485 il monumento a G. Castiglioni a Castiglion d'Olona. Nel 1490 innalzò il tiburio del duomo di Milano, seguendo un progetto tradizionale del Solari. Architettò poi e ornò parte della fronte della certosa di Pavia carica di medaglioni, fregi, bassorilievi, coadiuvato da altri. Si applicò a infiniti altri lavori: il portale della certosa, finito poi dal Briosco; la direzione dei lavori per la fabbrica dell'Ospedale maggiore di Milano; il lavabo nella prima cappella; il cortile del palazzo Bottigella a Pavia; il compimento dell'interno del duomo; la guglietta, detta appunto dell'Amadeo, sul duomo di Milano; ponti e studî per la deviazione dell'Adda. Gli appartengono pure parte del monumento a Giovanni e Vitaliano Borromeo a Isola Bella, compiuto, secondo i documenti, da Matteo Raverti; la tomba di S. Lanfranco presso Pavia, con bassorilievi e soprastrutture a lui caratteristiche; il lavabo dei Carmini a Pavia; e numerose altre sculture in Lombardia e lavori continuati dai suoi seguaci: il Briosco, i Cazzaniga, i Rodari, Pietro da Rho, ecc. Di ben altra scioltezza sono gli angeli in giro al sommo del tamburo della cappella Portinari in S. Eustorgio, forse non suoi per quanto attribuiti all'A. dal Venturi, con quella leggerezza che ricorda le vittorie romane, lontana dall'impaccio di cui l'A. non seppe mai liberarsi, come non seppe mai liberarsi da quelle pieghe cartacee aderenti alle membra quasi fossero bagnate e che non si vedono negli angeli di S. Eustorgio.
Non conviene cercare nella scultura lombarda, che l'A. portò al maggiore sviluppo decorativo, le eleganze sapienti della scultura toscana, né la misura, per lo più, di quella veneta. In compenso, la fantasia più sbrigliata, fusa a una ricchezza decorativa eccezionale, aleggia sovrana nell'arte dell'A. che, del resto, eccedendo nella manifestazione del lusso ornamentale di marmi policromi, di fregi, di ricami, soddisfaceva sempre ai gusti dei committenti del luogo. I biasimi di molti scrittori, a proposito di quest'arte lombarda, si basano sull'insufficiente conoscenza della tradizione e dell'ambiente. Se la scultura lombarda si fosse limitata alla sapiente purezza toscana non ci avrebbe lasciato un monumento ricco, ammirato, piacente come la certosa di Pavia. L'A. cercò di nobilitare, seguendo i gusti umanistici, la sua sfrenata fantasia dirigendola a rappresentar spesso, anche su monumenti religiosi, medaglie, bassorilievi, busti classici, imitati e spesso plagiati dall'antico. E ne coprì pilastri, lesene, capitelli, ghiere d'archi, trabeazioni, timpani. Sotto questo peso esteriore anche le linee architettoniche delle sue opere perdettero di purezza e di equilibrio. Le figure, anche per l'imitazione di stampe tedesche, presero forme lunghe, allampanate, con certe gambe che sembran zampe di coleotteri, bizzarre, spesso comiche.
L'A. subì l'influsso dell'arte veneta da prima, dei Mantegazza forti e nervosi dopo. Ma la sua grande ricchezza e il garbo di molte sue figure giovanili fanno perdonare i difetti, e l'occhio s'indugia volentieri sulla immaginosa dovizia della fronte della certosa e della cappella Colleoni, suoi capolavori (v. tavv. CLV e CLVI).
Bibl.: F. Malaguzzi-Valeri, G. A. Amadeo scultore e architetto, Bergamo 1904; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VI, Milano 1908; H. Lehrmann, Lombardische Plastik im letzten Drittel des XVI. Jahrhund, Berlino 1928.