GIOVANNA II d'Angiò, regina di Napoli
Nacque da Carlo III e da Margherita di Durazzo nel 1371. Sorella di Ladislao, sposò, giovanissima, Guglielmo d'Asburgo, e quando, nel 1406, ne rimase vedova a 35 anni, non poteva supporre davvero che il destino le serbasse la corona di Napoli. Bella e seducente, vana e mutevole ma buona e di buon senso, se ne viveva in letizia di facili amori quando, morto in Perugia Ladislao, il 6 agosto 1414, non senza sospetto di veleno che gli sarebbe stato propinato dagli agenti della Repubblica fiorentina, G. venne chiamata a prendere il posto così fortemente tenuto. Aveva allora un amante molto caro, bello e di nobile famiglia, Pandolfello Piscopo (detto Alopo), che fu subito creato gran camerlengo, ma un matrimonio tanto audacemente morganatico non sarebbe stato possibile; e però, probabilmente d'accordo con lui, la regina sposò (14 luglio 1415) il conte Giacomo di Borbone, vedovo da poco di Beatrice di Navarra. Ma, se calcoli furono fatti da Pandolfello, essi furono presto travolti, ché Giacomo prese coraggio dalle circostanze e subitamente, servendosi dell'autorità regia concessagli da G., fece decapitare il giovine audace che aveva mirato troppo in alto, e quasi contemporaneamente mandò a morte anche Giulio Cesare De Capua, uno dei nobili napoletani più irritati dall'onnipotenza francese nel regno (1415). Come era da prevedere, i baroni si ribellarono, e con alla testa Ottino Caracciolo e Annecchino Mormile, imprigionarono il troppo focoso marito di G. (autunno 1416), mentre Giovanni Caracciolo (v.), detto Sergianni, nobile e povero, già oscuro notaio, diventava il favorito della regina e subito dopo gran siniscalco (1417). Giovanna riprendeva da sola il governo dello stato, e non concesse né fece concedere la libertà al marito se non nel 1419 (15 febbraio). Ma fu anche la fine dell'avventura napoletana del Borbone: andato, infatti, a Taranto e inscenata una pallida ombra di resistenza alla corte di Napoli, partì per sempre sfiduciato dall'Italia e finì quando venne a morte G., per farsi frate francescano, portando con sé fino alla morte (1438) un'irrequietudine malata che aveva spesso qualche striatura di follia. Mescolato alle cose di Napoli, dalla morte di Ladislao al 1424, fu il condottiero Muzio Attendolo Sforza. Ora devoto alla regina ora ostile, imprigionato, liberato, amico di Sergianni Caracciolo, sostenitore di Giacomo di Borbone, finì poi per assumere la difesa dei diritti ereditarî di Luigi III d'Angiò contro Alfonso d'Aragona. Luigi III, erede dei diritti di Luigi I e Luigi II, aveva trovato, intorno al 1419-20, dopo che Martino V aveva fatto incoronare G. (28 ottobre 1419), un partito notevole nel regno, composto dei nemici di Sergianni, partito che diede origine a una confusione indescrivibile quando, nel 1420, Ottino Caracciolo e molti nobili con lui ruppero in aperta rivolta e alcune provincie si mostrarono irrequietissime. Per difendersi, G., a mezzo di Antonio Caracciolo, detto Carafa (soprannominato Malizia), domandò aiuto ad Alfonso d'Aragona che sbarcò a Napoli nel luglio 1421 e il 20 di quel mese fu proclamato erede del trono. Un erede avrebbe potuto attendere la sua ora; ma Alfonso prese molto seriamente la parte che gli veniva affidata, fino a suscitare una violenta reazione che lo chiuse in Castelnuovo (29 aprile 1423). Gli animi dei maggiori cortigiani gli furono così avversi che anche quando poté liberarsi non riuscì a impedire che G. scegliesse un altro erede nella persona di Luigi III, il pretendente finora incapace d'impadronirsi del potere (i luglio 1423). Alfonso partì dall'Italia, lasciando al fratello don Pietro la cura di custodire un cumulo di rovine; e il vero padrone dello stato fu Sergianni Caracciolo. Ma, per uno di quei tortuosi e oscuri calcoli che si chiamarono spesso politica avveduta, Sergianni stesso tentò un nuovo accordo tra G. e Alfonso, nel 1430, senza successo. Ciò forse contribuì a sollevargli contro quella congiura, capitanata dal febbrile Ottino Caracciolo, che lo spense la notte del 19 agosto 1432. La regina, che pure era stata quasi sequestrata dall'onnipotente siniscalco, dal giugno '31 al gennaio '32, ne pianse o finse di piangerne la morte, ma poi tollerò che se ne infamasse la memoria con un postumo processo i cui risultati, naturalmente, ella ratificò il 31 dicembre 1432. Invecchiata e smarrita, G. aveva, intanto, revocata l'adozione di Luigi III d'Angiò (4 aprile 1432) riadottando Alfonso (6 aprile); poi si pentì di nuovo, e nel giugno del '33 inclinò ancora una volta verso Luigi III (pur accettando una tregua di dieci anni con Alfonso per suggerimento del papa Eugenio IV, nel luglio 1433), e morto Luigi III a Cosenza, il 14 novembre 1434, riconobbe subito come suo erede il figlio di Luigi, Renato d'Angiò. La morte, sopraggiunta il 2 febbraio 1435. liberò l'affannata regina dall'angoscia che la tormentava dal 1421, ma spegneva con lei la dinastia di Carlo I che durava dal 1266. Il regno era condannato a tumulti senza fine in ogni ordine sociale, fatto campo di battaglia di Francesi e Aragonesi, estraneo sempre più alla civiltà e al destino della media e dell'alta Italia.
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