ENGLEN, Giovan Vittorio
Nacque a Roccella Jonica (Reggio Calabria) il 27 marzo 1780, in una nobile famiglia di origine svizzera, giunta in Italia nel 1660, presente in Calabria con vari rami (baroni di Fornelli, baroni di Rivettone, baroni di San File, baroni di Fonte o Catonizza) e in stretti rapporti con molte nobili farniglie locali. Fu il secondogenito del barone Giovanni Battista e di Maria Anna Manfrè, di famiglia nobiliare di Roccella.
Omonimo del prozio che nel 1775 era stato sindaco di Gioiosa, sedicenne si trasferi a Napoli per dedicarsi agli studi giuridici; laureatosi il 3 sett. 1803 in utroque iure e abilitato con lettera patente all'esercizio di "qualsiasi uffixio Regio o di Giudicaria", nel 1805 fu governatore di Santo Antimo e Friano e il 2 giugno 1807 fu nominato dall'intendente di Molise luogotenente di Triventi, Bagnoli, Salcito, ecc., carica che esercitò con zelo ed onestà tali da annullare vaghe accuse sulla sua "illibatezza".
La sua più seria vocazione doveva tuttavia esprimerla nel settore della giustizia penale, contribuendo sia al riordinamento giudiziario basato sull'abolizione delle antiche giurisdizioni eccezionali del Regno, sia alla relativa codificazione, nell'ambito della politica dei Napoleonidi per l'introduzione dei codici francesi.
Tra il 1808 ed il 1909 fu stabilita infatti una magistratura esclusivamente penale, divisa in tre ordini, alto criminale, correzionale e di polizia; furono emanati un Regolamento pe' i giudici di pace e tribunali o Regolamento istruttorio, con norme da codice di procedura civile e penale; una legge sui delitti e sulle pene; altre disposizioni che formarono il codice di procedura penale del 1º genn. 1809, come soluzione di compromesso fra le leggi locali e il codice francese del 3 brumaio anno IV. A differenza del codice di procedura civile, il codice francese di procedura criminale non fu introdotto per la difficoltà di adattarlo alle abitudini locali e si ebbero solo parziali cambiamenti con leggi speciali, rescritti, regolamenti e circolari. Dopo la nomina di un'apposita commissione nel 1810 per adattare al Regno i codici penale e di procedura penale francesi, con decreto 23 apr. 1812 si ordinò l'entrata in vigore dal 1º luglio del codice penale (termine prorogato al 1º settembre e poi al 1º ottobre), mentre del codice di procedura penale non si parlò più.
La ristrutturazione dell'ordinamento giudiziario comportò anche la riforma della Corte di cassazione, supremo collegio giudiziario del Regno, costituita nel 1808 e inaugurata nel 1809, presso la quale l'E. nel gennaio 1809 fu nominato capo ripartimento della sezione criminale; il ministero di Grazia e Giustizia era allora retto da Francesco Ricciardi (successo dal novembre 1809 a Giuseppe Zurlo), responsabile di profonde riforme nella magistratura e nell'organizzazione del ministero stesso per sottrarlo allo strapotere della polizia. Probabilmente in questo periodo iniziò il rapporto dell'E. con Nicola Nicolini, presidente della corte criminale di Napoli nel 1810 e nuovo avvocato generale dall'aprile del 1812 della Gran Corte di cassazione appena riformata con decreto 3 apr. 1812, ma anche con gli altri avvocati generali Davide Winspeare e Filippo Cianciulli, nonché con G. Poerio, dal 1810 procuratore generale presso la stessa Corte.
Fu quindi tra i "moderati progressisti" (R. Feola, Dall'Illuminismo…, p. 30) ed ebbe contatti col fiore della cultura giuridica napoletana delle nuove generazioni, trattandosi di individui tutti di età inferiore ai quarant'anni e destinati a svolgere funzioni importanti anche dopo l'esperienza francese; di qui la sua connotazione di murattiano nel periodo della Restaurazione e la sua partecipazione, accanto a questi uomini, alle commissioni per i codici.
L'E. fu in particolare vicino, dato il comune interesse per il diritto e la procedura penale, al Nicolini, già autore nel 1809 di una Instruzione pratica per gli atti giudiziari criminali, aggiornata e ampliata tra il 1812 e il 1814, contenente in tre volumi lo stato della legislazione in rito penale fino al 1814. Nominato nell'aprile del 1813 dal ministro Ricciardi capo della terza divisione del ministero Giustizia, l'E. si espresse a favore dell'abolizione del privilegio del foro militare, attirandosi l'ostilità soprattutto dei militari e sostenne tali idee in un lavoro del 1814, che meritò le lodi del capitano generale L. Nugent nell'aprile 1818, allorché il generale ritenne che le sue proposte dovessero essere tenute presenti nella compilazione del progetto di codice militare (G. V. Englen, Appello al collegio…, docum. n. 18).
Mosso da senso della giustizia, combatté i molti abusi di polizia che allora si verificavano "giungendo a sottrarre a ingiuste persecuzioni non poche vittime" (F. von Lobstein, G. V. E., p. 4 dell'estratto), ma soprattutto acquistò credito nel gruppo dei giuristi del ministero, si che fra le quattro commissioni create con decreti 21 e 22 maggio 1814 per la riforma dei codici civile e di procedura civile, penale e d'istruzione criminale, di commercio e "delle prede marittirbe" (C. De Nicola, Diario napoletano, II, p. 730) egli, giovanissimo, capo divisione del ministero Giustizia, fece parte di quella che si occupava di compilare i codici penale e di procedura penale. Di essa era presidente il procuratore generale presso la Corte di cassazione, Giuseppe Poerio; altri membri erano Davide Winspeare e Nicola Nicolini, avvocati generali, e i consiglieri di Cassazione Tito Manzi, Michele Agresti, Nicola Libetta, Francesco Canofari e Giustino Fortunato. La maggior parte dei lavori furono tuttavia compiuti, oltre che dall'E., dal Nicolini, presidente della corte criminale di Napoli.
La commissione fu poi sciolta da Ferdinando I, restaurato dopo la caduta di Murat, ed alcuni membri, come Poerio e Winspeare, furono esiliati, mentre altri, tra cui l'E., rimasero in servizio, dal momento che non si ebbe una vasta epurazione, ma prevalse la politica dell'"amalgama" e fu utilizzato il personale nominato dai Francesi. Con decreto 2 ag. 1815 l'incarico per i nuovi codici fu dato dal ministro D. Tommasi ad una nuova commissione formata da un gruppo di magistrati che avrebbero dovuto elaborare leggi più aderenti alla natura e ai bisogni del paese rispetto alla supposta estraneità della normativa francese, ma che furono in realtà personale murattiano, legato al codice napoleonico. L'E., che ricopriva la carica di capo divisione del ministero di Grazia e Giustizia, fu nominato membro della nuova commissione per i codici penale e di procedura penale presieduta da Raffaele De Giorgio, insieme con Nicolini, Libetta, Giuseppe Raffaelli, Niccola Canofari.
La commissione si pronunziò per il mantenimento in vigore del codice francese, rimasto, infatti, insieme con gli altri codici, ancora per quattro anni, anche dopo la riorganizzazione dei tribunali. In particolare Nicolini compilò i primi due libri delle leggi penali e di procedura penale, l'E. il terzo libro di entrambe.
Di questa legge organica per l'ordinamento giudiziario del 1817 l'E. preparò nel 1818, presso la segreteria di Stato, con Luigi Chitti e Giovanni Pasqualoni, ufficiali di 1º e 2º carico da lui dipendenti, un Commentario sulla legge organica del 29 maggio 1817 corredato delle leggi, decreti, rescritti, regolamenti, ministeriali, e massime di giurisprudenza che dilucidano o modificano i vari articoli della stessa legge, in 4 volumi, dedicato al marchese Tommasi, ministro di Grazia e Giustizia e degli Affari ecclesiastici.
Il 2 apr. 1817 era stato infatti nominato "uffiziale di ripartimento della Real Segreteria e del Ministero Reale di Grazia e Giustizia", col soldo mensile di 120 ducati, e con decreto 25 ag. 1817, con Nicolini e Felice Parrilli (questi ultimi due, avvocati generali della Corte suprema di giustizia che nel 1817 aveva sostituito la Corte di cassazione), fu incaricato di compilare il Supplemento alla Collezione delle leggi, contenente le decisioni della Suprema Corte di giustizia, i reali rescritti, le circolari, i regolamenti e le disposizioni ministeriali, con privativa di stampa per cinque anni, opera pubblicata a Napoli tra il 1818-1820, in 4 voll. e con dedica a Ferdinando I, lodata anche dal futuro re Francesco I, allora duca di Calabria, mentre si trovava a Palermo.
Il frutto del lavoro della commissione, il Codice per lo Regno delle Due Sicilie (in cinque parti: leggi civili, penali, di procedura civile, procedura penale, leggi di eccezione per gli affari di commercio), fu pubblicato con leggi 26 marzo e 21 maggio 1819, con entrata in vigore al 1º sett. 1819: in realtà si ebbero solo poche modifiche al codice napoleonico relative soprattutto alla disciplina del matrimonio e dei diritti patrimoniali tra coniugi, all'abolizione del divorzio (1815) e al diritto successorio (1816; P. Colletta, Storia del Reame…, pp. 30 n., 102 n.; L. Blanch, Luigi de' Medici…, pp. 138 s).
Colletta e Blanch, pur criticandone alcuni aspetti, giudicarono comunque il codice penale migliore dell'antico, e G. L. Ortolan lo ritenne anticipatore rispetto a revisioni attuate nel codice francese solo nel 1832; il Colletta giudicò invece peggiore il codice di procedura penale in quanto ispirato ad abbassare l'autorità del magistrato supremo, ma anche quest'ultimo, benché non ammettesse il giuri, era comunque precorritore rispetto ad altri codici procedurali vigenti in Italia (i meriti di ciò sono dalla pubblicistica però attribuiti principalmente al Nicolini).
Con regio rescritto 19 ag. 1819 gli si accordò, per i servigi prestati, la privativa a vita della stampa di un Breve commentario sulle leggi penali e di procedura penale a fronte del testo … (G. V. Englen, Leggi della procedura ne' giudizi penali contenute nella quarta parte del codice per lo Regno delle Due Sicilie, Napoli 1819, di cui si ebbe una ristampa nel 1835 con le modificazioni per ogni articolo apportate dal 1819 da decreti, regolamenti, rescritti, ministeriali, e decisioni della Suprema Corte di giustizia alle leggi di procedura penale, e Id., Leggi penali contenute nella seconda parte del codice per lo Regno delle Due Sicilie e corredate da un breve commentario…, Napoli 1819, con seconda edizione nel 1835).
Nel dicembre 1819 fece parte, col direttore generale di polizia F. Giampietro, col procuratore generale presso la Gran Corte criminale G. B. Vecchione e con A. Sancio. della commissione per la riforma delle prigioni.
Il 5 giugno 1816 aveva sposato Maria De Ciutiis, dalla quale ebbe due figli maschi, Mariano e Rodolfo, nati rispettivamente nel 1818 e nel 1829, e due femmine, Amalia ed Ezelinda. Per la sua fama nel Regno era stato nominato con decreto 18 marzo 1817 socio onorario della Società economica di Principato Ultra e con decreto 1º febbr. 1820 socio corrispondente della Società economica di Capitanata.
Sopravvenuta la rivoluzione del 1820, il 3 settembre l'E. fu nominato dal ministro di Grazia e Giustizia, F. Ricciardi, coi soliti Nicolini, Libetta, Vecchioni, Poerio, componente della commissione incaricata di adeguare i codici del 1819 al regime costituzionale, ma la commissione probabilmente non si riuni mai. Rifiutò invece l'incarico di presiedere alla riorganizzazione della polizia.
Caduto il governo costituzionale fu perciò sottoposto alle giunte di scrutinio, che allontanarono dalla magistratura gli uomini del "decennio"; il 10 maggio 1821 l'E. fu esonerato dalla carica dal governo provvisorio e "rinchiuso nelle carceri di S. Maria Apparente, a disposizione del Principe di Canosa" (F. von Lobstein, G. V. E. …, p. 7 dell'estratto).
Liberato, soggiornò per qualche tempo a Roma presso il fratello Mariano (morto nel 1835, esule, a Firenze; l'altro fratello, Francesco, risiedeva in Calabria nel feudo di famiglia), indi si ritirò con la famiglia a Meta di Sorrento, ove per tre anni si dedicò agli studi. Rientrò a Napoli nel 1824.
Benché non ritornasse più nell'amministrazione, fu spesso consultato e interpellato per la sua competenza giuridica, ma si dedicò ad altri interessi: cercò di incrementare il commercio prodigandosi per la fondazione di vari istituti di credito e nel 1830 fu nominato direttore della Societa di assicurazioni diverse, nella quale svolse un ruolo dinamico riconosciutogli da Tito Cacace nel 1836. La Società, sorta nel 1825, era specializzata nell'anticipo degli stipendi agli impiegati, per cifre consistenti e anche fino a uno o due anni, con interessi dal 9 al 30% e più, per cui fu oggetto, con altri simili istituti, delle critiche di scrittori di economia come G. Bianchini e L. Rotondo. Allorché con decreto 17 febbr. 1834 fu vietato alle banche di anticipare stipendi e pensioni agli impiegati, l'E. e l'altro direttore della Società, Costantino Guarracino, rigettarono le accuse e cercarono di dimostrare che l'interesse da loro praticato andava invece dal 4 al 6,75%. Dal 1845 fu socio nella Regia Interessata delle dogane, poco dopo direttore e vicepresidente di quel consiglio ed in tali funzioni ebbe modo di esprimersi su importanti problemi di politica commerciale ed economica.
Mori a Napoli il 15 genn. 1848.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Ministero Agricoltura, Industria e Commercio, ff. 207 s.; Napoli, Società napoletana di storia patria, Carte Poerio, vol. XXX, a, 7, f. 9, Ricciardi a Poerio, 13 sett. 1820; C. De Nicola, Diario napoletano dal 1798 al 1825, Napoli 1906, II, p. 730; III, p. 33; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, III, Napoli 1957, pp. 30 n., 102 n.; L. Blanch, Luigi de' Medici come uomo politico ed amministratore, in Scritti storici, a cura di B. Croce, Bari 1945, II, pp. 138 s.; M. L. Rotondo, Saggio politico su la popolazione, e le pubbliche contribuzioni, Napoli 1834, pp. 528 ss.; G. L. Ortolan, Criminalistes italiens, in Revue de lègislation et jurisprudence, n. s., I (1845), p. 332; M. Englen, Cenni biografici di G. V. E. [Napoli 1848]; N. Nicolini, La musa di famiglia, memorie domestiche, Napoli 1849, p. 12 degli Schiarimenti biografici; G. V. Englen iunior, Appello al consiglio dell'Ordine degli avvocati in omaggio alla memoria di G. V. E., Napoli 1882; G. Pisanelli, Dei progressi del diritto civile in Italia nel secolo XIX, Napoli 1871, p. 9; F. Nicolini, N. Nicolini e gli studi giuridici nella prima metà del secolo XIX, Napoli 1907, pp. L, LII-LIV, LXIII; D. De Marco, IlBanco delle Due Sicilie (1808-1863), Napoli 1958, pp. 290 ss.; F. von Lobstein, G. V. E. giurista calabrese (1780-1848), in Arch. stor. per la Calabria e per la Lucania, XXXII (1964), 2, pp. 277-280; Id., Settecento calabrese e altri scritti, I, Napoli 1973, pp. 146, 173 ss., tav. VI; R. Feola, Dall'Illuminismo alla Restaurazione. Donato Tommaso e la legislazione delle Sicilie, Napoli 1977, p. 30; Id., La monarchia amministrativa. Il sistema del contenzioso nelle Sicilie, Napoli 1984, pp. 49, 231.