VALIER (Valerio), Giovan Francesco
VALIER (Valerio), Giovan Francesco. – Nacque probabilmente a Venezia intorno al 1485, figlio illegittimo del patrizio Carlo (di Girolamo).
Escluso dai privilegi di classe fu avviato alla carriera ecclesiastica. Il 24 dicembre 1505 il padre cercò di farlo entrare al servizio di Sigismondo Gonzaga, fresco di nomina cardinalizia. La richiesta non andò a buon fine e in questo periodo Valier fu al servizio dei Bembo (Bembo, 1987-1993, I, p. 191), con vari incarichi a Vicenza e a Mantova. Negli anni 1509-11 Valier e il padre furono mediatori fra i Gonzaga e la Serenissima. Nel gennaio del 1511 fu arrestato come complice nell’evasione di Alvise Soranzo, ma ottenne la libertà perché in sacris. Nei primi mesi del 1513 si trasferì da Venezia a Roma, entrando a servizio del tesoriere generale, poi cardinale, Bernardo Dovizi da Bibbiena. Alla morte di Dovizi, il 20 ottobre 1520, era in Francia per curarne gli interessi; negli anni successivi restò a Roma e continuò a ricoprire incarichi in Curia, gravitando intorno al cardinale Marco Corner e al nipote di Bernardo, Angelo Dovizi, assestandosi su posizioni filofrancesi.
Dal marzo del 1525, dopo una vertenza decennale, poté godere dei benefici di un canonicato a Padova e alla fine di ottobre fu nominato pievano di S. Donato di Murano: entro il 2 maggio 1526 tornò a vivere in patria (Sanuto, 1879-1903, XL, col. 164, XLI, col. 288). Di poco successivi sono i due sonetti di Pietro Barignano a lui dedicati (Rime di diversi, II, Venezia 1548, c. 64r), in cui si lamenta il sacco di Roma. Nel gennaio del 1528 ospitò a Venezia Giovan Matteo Giberti e il suo segretario Francesco Berni. Nell’aprile del 1532 la sua casa veneziana fu affittata a Pietro Bembo; nello stesso anno fu a Brescia tra le autorità che accoglievano il nuovo vescovo Andrea Corner. Il 18 ottobre 1532 ospitò a Murano Ippolito de’ Medici di ritorno dall’Ungheria: cooptato nel suo seguito ristretto con Berni, lo seguì a Bologna per i colloqui fra Carlo V e Clemente VII (Rebecchini, 2010, p. 102). Il servizio romano sotto Ippolito coincise con il passaggio di questi alla fazione francese; una lettera del cardinale Jean du Bellay del 15 marzo 1534 indica Valier come prezioso informatore (Ordine, 1992, p. 235 nota).
Dopo la morte di Ippolito, nell’agosto del 1535, tornò a Venezia e intensificò i suoi rapporti con la Francia. Nel 1537 fu nominato abbé di Saint-Pierre-le-Vif a Sens, ottenendo da Francesco I una pensione «en récompense de ses services et pour certaines causes que le roi veut tenir secrètes» (ibid.). Nel maggio del 1537 fu condannato a due anni di bando per aver decifrato indebitamente alcune lettere dalla Spagna, ma a ottobre ottenne la grazia (ibid., p. 236 nota). Nel novembre del 1538 ricevette da Francesco I la concessione di mantenere senza aggravi benefici in Francia, Provenza e Bretagna, oltre a un dono di 500 scudi (ibid.).
Nell’agosto del 1542 fu accusato di aver passato segreti di Stato all’ambasciatore francese Guillaume Pellicier. Condannato nonostante le pressioni francesi in suo favore, fu impiccato in piazza S. Marco il 22 settembre 1542.
Nel testamento, dettato subito prima di morire, nominò il marito della sorella Bianca, Leonardo Soliani, erede della sua collezione antiquaria e lasciò i suoi libri ai due figli Giulio e Marco Antonio (uno dei quali ancora fanciullo), ordinando però che fosse bruciato «un libro de 200 carte [...] scritto tutto de mia mano [...] delle mie composition vulgar de vanità versi et prosa» (Lepri, 2012, pp. 184-186). A Giovanni Corner fu destinato un «quadro de chiaro e scuro de Raffaello che è la Madonna con lo puttin che esce di cuna» (ibid.): forse la Madonna della Perla oggi al Prado.
Sebbene dei suoi scritti ci sia rimasto pochissimo (qualche lirica fu pubblicata da Cian, 1904 e Coluccia, 1980), Valier ebbe fama di poeta e prosatore. Nel gennaio del 1508 Bembo (1987-1993, I, p. 244) chiedeva da Urbino sue poesie. Egli faceva parte, con Trifone Gabriel, Nicolò Tiepolo, Gianbattista Ramusio e Andrea Navagero, del gruppo al quale il 1° aprile 1512 Bembo inviò i primi due libri «sopra la volgar lingua», domandando a ciascuno «uno estratto o un quinternetto degli errori o avertimenti» (ibid., II, pp. 57-59): a fine giugno aveva già ricevuto la risposta di Valier (p. 59). Qualche tempo prima aveva scritto che Valier gli pareva «sepolto in quel suo Amadis» (4 febbraio 1512; p. 57): forse egli aveva cominciato a tradurre il romanzo cavalleresco, pubblicato a Saragozza nel 1508. Due più tardi sonetti di Bernardo Tasso (Amori I, 104 e 109) ne lodano la perizia poetica, accostandolo a Omero e a Virgilio: non sappiamo se riferendosi al lavoro sull’Amadis o ad altra opera a noi ignota.
Fin dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto del 1516 Valier è ricordato insieme a Pietro Barignano (c. XL, ott. 7) e citato come fonte della novella di Fiammetta (c. XXV, ott. 136-138). Orazio Toscanella testimonia che egli avesse «composto un bellissimo libro, intitolato Inganni delle mogli fatti ai mariti, e d’altre donne verso altri huomini usati», del quale due copie manoscritte erano «in casa dello illustre Signor Conte Antonio Catti Ferrarese» e «in Venetia, presso un M. Prospero maestro di scola» (Bellezze del Furioso di M. Ludovico Ariosto, Venetia 1574, p. 217). Il fatto che Valier potesse aver raccolto o composto una serie di novelle sembra confermato dall’invio precoce, nel marzo del 1506, di alcune novelluzze a Francesco Gonzaga (Cian, 1887, p. 110 nota) e dalla richiesta di prestito a Isabella d’Este, nel novembre del 1511, di «dui testi delle cento novelle antichi» (p. 111). Alla misoginia del tema andrà imputata la menzione sarcastica di Valier quale difensore delle donne in un passo aggiunto nella seconda redazione del Cortegiano di Baldassarre Castiglione (II, 95) e rimosso in quella definitiva. Negli ultimi anni veneziani è stato ipotizzato che una sua novella suggerisse il tema della commedia anonima La Veniexiana (Padoan, 1978, p. 342).
Nell’autunno del 1527 gli fu affidato l’incarico di revisore del Cortegiano: lavorando a ritmi sostenuti egli normalizzò l’assetto ortografico e morfologico in direzione del toscano aureo, operò tre minimi ritocchi di contenuto e segnò alcune indicazioni tipografiche (Ghinassi, 2006, pp. 166 s.). A lui l’autore, nel giugno del 1528, fece donare «dui o tre copie» del dialogo stampato.
Il 21 luglio 1532 inviò a Bembo una «parte de gli avertimenti nella lingua latina di M. Bartolomeo Riccio», allora precettore in casa del senatore Giovanni Corner, ottenendone l’approvazione.
Negli anni 1526-32 frequentò, fra Venezia e Padova, la cerchia di Gabriel e dei tre abati Corner: a questo ambiente rimanda la presenza di Valier nei dialoghi Della retorica (dove è uno degli interlocutori), Della vita attiva e contemplativa e Dell’amore di Sperone Speroni (composti a metà degli anni Trenta) e l’elogio nella Poetica di Bernardino Daniello (Venezia 1536, p. 7). Fu coinvolto nella lite fra i partigiani di Antonio Brocardo e di Bembo, e Bernardo Tasso lo pregò di far desistere il comune amico Brocardo dai suoi intenti bellicosi (Tasso, 2002, pp. 76-78). Conferma il legame un sonetto di Tasso in morte di Brocardo (Amori I, 121), scritto in persona da Valier. Egli approvò e corresse alcuni dei componimenti tassiani ‘all’antica’, come l’inno all’Aurora (I, 125), un epitalamio (II, 101) e l’inno a Pan (II, 93; cfr. Tasso, 2002, pp. 80, 86-89). L’interesse di Valier per la metrica sperimentale, oltre alla comune frequentazione del cenacolo di Ippolito de’ Medici, dà ragione della dedica a lui dei Versi et regole de la nuova poesia toscana (1539) di Claudio Tolomei .
Valier fu collezionista di oggetti antichi, e in due lettere a Giovan Francesco Bini del 1526-27 (De le lettere facete raccolte per Dionigi Atanagi, Venezia 1582, pp. 167-169) accenna alla propria passione antiquaria («questa malatia delle cose antiche è pazzia mera e pura») e afferma di avere a Murano «uno studietto [...] ornato et pien di così belle antichità, et di marmo et di bronzo»: alla sua morte, la preziosa collezione fu contesa fra l’erede, il cardinale Alessandro Farnese, il legato spagnolo Diego Hurtado de Mendoza e la Serenissima.
Fonti e Bibl.: Varie lettere di Valier sono conservate nell’Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga. Notizie sulla congiura in Venezia, Archivio segreto, Consiglio dei dieci. Parti criminali, 1535-1542, e Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., VII 1279 (= 8886), cc. 250r-264r; il testamento in Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, notaio Cesare Zilioli, 1263, VI, cc. 74-75.
M. Sanuto, I diarii, Venezia 1879-1903, ad indices; V. Cian, Pietro Bembo e Isabella d’Este Gonzaga. Note e documenti, in Giornale storico della letteratura italiana, IX (1887), pp. 109-113, 119-126; Id., Varietà poetiche del Cinquecento, nozze Petraglione - Seranno, Messina 1904, pp. 82-85; G. Padoan, La «Veniexiana»: «non fabula non comedia ma vera historia», in Id., Momenti del Rinascimento veneto, Padova 1978, pp. 335-346; G. Coluccia, Intorno al “Valerio” ariostesco del “Furioso”, in Quaderno [Università di Lecce, Facoltà di magistero, Istituto di lingua e letteratura italiana], I (1980), pp. 53-73; P. Bembo, Lettere, a cura di E. Travi, Bologna 1987-1993, ad indices; F.M. Bertolo, Nuovi documenti sull’edizione principe del “Cortegiano”, in Schifanoia, XIII-XIV (1992), pp. 133-144; N. Ordine, G.F. V., homme de lettres et espion au service de François Ier, in La circulation des hommes et des œuvres entre la France et l’Italie à l’époque de la Renaissance, Paris 1992, pp. 225-245 (poi in Le rendez-vous des savoirs, Paris 1999 e 2009); A. Quondam, «Questo povero cortegiano». Castiglione, il libro, la storia, Roma 2000, pp. 74-90, 295-306; B. Tasso, Li tre libri delle lettere, a cura di D. Rasi, Sala Bolognese 2002, epp. 35-40, 43-45, 62; U. Motta, Castiglione e il mito di Urbino, Milano 2003, pp. 255-282 e passim; A. Luzio - R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, a cura di S. Albonico, Milano 2005, pp. 164-168; G. Ghinassi, L’ultimo revisore del “Cortegiano” (1963) e Postille sull’elaborazione del “Cortegiano” (1971), in Id., Dal Belcalzer al Castiglione. Studi sull’antico volgare di Mantova e sul “Cortegiano”, a cura di P. Bongrani, Firenze 2006, pp. 161-206, 259-265; G. Rebecchini, «Un altro Lorenzo». Ippolito de’ Medici tra Firenze e Roma (1511-1535), Venezia 2010, ad ind.; R. Vetrugno, La lingua di Baldassar Castiglione epistolografo, Novara 2010, ad ind.; L. Lepri, Del denaro o della gloria, Milano 2012; B. Castiglione, Lettere famigliari e diplomatiche, Milano 2016, ad ind.; A. Quondam, L’autore (e i suoi copisti), l’«editor», il tipografo. Come il “Cortegiano” divenne libro a stampa, Roma 2016, pp. 84-102 e passim.