GUICCIARDINI, Giovan Battista
Nacque a Firenze il 3 apr. 1508, secondo dei dodici figli di Iacopo di Piero e di Camilla di Agnolo Bardi. Sulla sua adolescenza non si hanno notizie, ma è probabile che, come gli altri figli di Iacopo, il G. ricevette un'educazione umanistica.
Nel 1527 era con il fratello Lorenzo ad Anversa, dove dal 1519 lo zio Girolamo Guicciardini aveva fondato, anche per conto dei suoi fratelli Iacopo e Francesco, una società commerciale in accomandita di durata quinquennale. Nel 1522 Girolamo era stato affiancato dal primogenito di Iacopo, Agnolo, che nel 1524 aveva rinnovato per tre anni il contratto della società, allora intestata ad "Agnolo Guicciardini e Giovanni Vernacci". Prima della scadenza, all'inizio del 1527, arrivarono ad Anversa due fratelli di Agnolo, il G. e il tredicenne Lorenzo, ai quali erano stati dati in accomandita dal padre, dagli zii Francesco e Girolamo e da Giovanni Vernacci "7500 ducati d'oro con tutti gli utili fatti da tre anni in qua per esercitarli in Fiandra". Nel 1540 arrivò un altro figlio di Iacopo, Raffaello, e nel 1541 Lodovico. Dei cinque figli di Iacopo attivi nelle Fiandre nella prima metà del Cinquecento solo il G. e Lodovico non avrebbero fatto mai più ritorno a Firenze.
Presenti da tempo in Francia, sulla piazza di Lione, i Guicciardini cominciarono a operare ad Anversa in anni in cui la città attirava ancora mercanti e banchieri da tutta Europa. La "nazione" fiorentina (cioè i mercanti iscritti) contava meno membri di quella genovese o lucchese, ma la "colonia" dei fiorentini (che comprendeva anche i fiorentini di passaggio), tra cui si distinguevano artisti, ingegneri, uomini d'armi, non doveva essere così ridotta se nel 1546 ottenne da Carlo V il permesso di far erigere una cappella nella chiesa di S. Francesco dei frati minori. Ad Anversa la ditta Guicciardini importava vini dalla Francia e pastello dalla penisola iberica, ed esportava grano in Italia. Fino al 1534 fece parte della compagnia anche il Vernacci, cui subentrò Filippo Nettoli almeno fino al 1539, quando dovette aver luogo una riorganizzazione della ditta, pur mantenendo la denominazione "Giovan Battista e Lorenzo Guicciardini et Comp.".
Gli affari della compagnia prosperarono fino agli anni Quaranta: il G., che aveva acquisito autorità fra i mercanti anversani e nel 1534 esercitava anche la funzione di console della nazione fiorentina, figura a lungo nei registri navali di Anversa. Nel 1542 faceva parte della delegazione di mercanti stranieri presentatasi a Philippe II de Croy duca di Aarschot, inviato dalla reggente Maria d'Asburgo con il compito di difendere la città dalle temutissime incursioni di Maarten van Rossum, il condottiero passato al servizio del re di Francia Francesco I: lo si ricava da una facezia delle Hore di ricreatione del fratello Lodovico, che narra dell'incontro.
In quegli anni la compagnia dei Guicciardini aveva a disposizione anche alcune navi e nel 1543 incorse in una disavventura commerciale che fu l'inizio di un tracollo finanziario. Due bastimenti noleggiati dal G. per il trasporto di un carico di pastello dal Portogallo ad Anversa furono presi da pirati nel golfo di Biscaglia. Nonostante il carico fosse stato garantito con circa cinquanta assicuratori e fosse stata subito avviata l'istanza per il pagamento del rimborso, il G. non riuscì a fare fronte ai creditori, fu dichiarato insolvente e costretto a ritirarsi dagli affari. La ditta dovette perciò essere liquidata, perché con una sentenza del 10 nov. 1545 l'amministrazione dei beni del G. fu affidata a tre curatori, Antonio Lotti, Augustin Henriques e Ottavio Lomellino.
La situazione si aggravò irrimediabilmente anche per l'insorgere di un conflitto con Gaspare Ducci, lo scaltro e discusso finanziere che proprio in quegli anni era riuscito a introdurre una serie di innovative operazioni creditizie nella Borsa di Anversa e a conquistarsi il favore di Carlo V e della reggente Maria d'Asburgo. Debitore di forti somme al G., il Ducci, grazie alla fitta rete di appoggi, trovò sempre modo di sottrarsi ai pagamenti e di protrarre per decenni i processi che il G. fu costretto a intentargli. I Guicciardini di Anversa non erano i soli a subire i soprusi e gli intrighi del Ducci, che fu al centro di scandali e processi in cui ebbe come antagonisti i Fugger, i Welser, la compagnia di Roberto Strozzi o l'influente imprenditore Gillebert van Schoonbeke, assalito nel 1545 dai bravi del Ducci. I Guicciardini erano ormai troppo deboli per resistere al potente avversario, anzi dovettero difendersi dal sospetto di aver attentato alla sua vita: il 23 nov. 1554 il Ducci rimase ferito ad Anversa in un agguato e subito dopo si sparse la voce che i responsabili erano il G. e il fratello Lodovico. I due furono scagionati, ma in una lettera del 12 genn. 1555 al fratello Raffaello a Firenze Lodovico affermava che l'attentato era stato ordito dal Ducci stesso e attribuito ai Guicciardini per danneggiarli nel processo. Le difficoltà non scoraggiarono il G. che, come il fratello Lodovico, era stato ben accolto negli ambienti culturali più qualificati di Anversa, e specialmente in quelli più vicini agli italiani.
In questi anni cominciò a svilupparsi il suo interesse per la cartografia, come si evince da una notizia di Abramo Ortelio che nel Catalogus auctorum tabularum geographicarum del suo Theatrum orbis terrarum menziona un mappamondo in forma di aquila disegnato dal G. nel 1549 (I.B. Guicciardinus, Universi terrarum Orbis imaginem, maxima forma; quem Aquila compraehendit, Antverpiae 1549). Quest'opera, di cui esisterebbe un'altra edizione del 1595 con un titolo che fa riferimento a un'aquila bicipite (Denucé, 1912, pp. 141 s.), è però irreperibile. L'attenzione del G. per la cartografia e la geografia, che egli condivideva con il fratello Lodovico, trova conferma anche nelle precise indicazioni topografiche indicate, in seguito, nella sua corrispondenza con i Medici. A differenza di Lodovico, autore della celebre Descrittione di tutti i Paesi Bassi (1567), il G. fu attratto anche da paesi lontani ed esotici. Nell'Archivio del Museo Plantin-Moretus di Anversa si conserva una ricevuta del 1562 in cui il G. dichiara di avere ricevuto un manoscritto in portoghese sulla storia dell'India (Denucé, 1912, p. 142). In una lettera del 1564 a Francesco de' Medici, riferendo della spedizione di quindici navi inglesi in Guinea, il G. gli offrirà di mandare "la descriptione particolare del viaggio, et di quella costa" (Lettere di Giovan Battista Guicciardini…, p. 264).
Fino alla metà degli anni Cinquanta il G. aveva avuto residenza ad Anversa, ma poiché le udienze del processo si svolgevano presso il tribunale di Bruxelles, fu indotto probabilmente a trasferirsi in quella città. Forse già ad Anversa aveva contratto matrimonio con la fiamminga Adriana van Steenhagen.
Ottenuta la cittadinanza - condizione per l'esercizio di un mestiere o della mercatura -, il G. godette dei diritti che ne derivavano ed è indubbio che il matrimonio consolidò la sua posizione sociale e contribuì a risollevare la sua precaria situazione economica, se è vero che da una scrittura privata del 1566 (ricordata in una sentenza del 1577) egli risultava ancora debitore della moglie di 2400 fiorini. Da Adriana van Steenhagen il G. ebbe una figlia e, secondo R.H. Touwaide (p. 31), un figlio, di cui non rimangono tracce.
Della figlia, Maria, si hanno invece notizie sicure che fanno indirettamente luce sulla vita paterna. Il 12 marzo 1570 sposava a Bruxelles Charles de Paris (o van Parys), appartenente a una famiglia fiamminga che aveva ricoperto importanti cariche statali: il padre di Charles, Francesco, era membro del Consiglio di Brabante e lui stesso faceva parte degli archiers del re, un corpo d'onore che in Spagna veniva indicato come "garde bourguignonne" e cui potevano accedere solo rampolli di famiglia nobile e possidente, nonché di provata origine fiamminga. Condizione per una carriera di archier era il matrimonio con una donna di famiglia distinta. Nel contratto nuziale, stipulato il 17 febbr. 1570, il G. aveva promesso in dote alla figlia una rendita annua di 175 fiorini e si impegnava a darle una somma di 2800 fiorini entro il 1571. Sette anni dopo il G. non doveva essere riuscito ad assolvere quest'obbligo se il genero gli intentava una causa, conclusasi con una sentenza del 5 marzo 1577 che condannava il G. a pagare la somma di 3313 fiorini nella quale era compresa anche la liquidazione della successione della moglie a beneficio della figlia. Evidentemente, al momento della morte della consorte, il G. non aveva terminato di assolvere il debito contratto nel 1566. La sentenza evidenzia che le condizioni economiche del G. erano palesemente peggiorate a causa delle costose e interminabili liti giudiziarie. Se ne ha un'ulteriore conferma da un'altra sentenza, del 26 sett. 1577, che condannò il G. a pagare a Giovanni Grimaldi di Genova e a Maria, moglie di Ettore Scribani, una cospicua somma prestatagli "pour nécessité de ses procès" (Lettere di Giovan Battista Guicciardini…, p. 79).
Non è chiaro su cosa si fondassero le entrate del G. dopo il fallimento della compagnia. Da alcune lettere al fratello Raffaello sembra che egli si occupasse ancora di attività commerciali saltuarie, forse per conto terzi. Probabilmente il principale introito era costituito dai compensi ricevuti dai Medici per le informazioni inviate dal 1559 al 1577. Dal 17 sett. 1559 (data della prima lettera conservata, giacché il G. accenna a una sua precedente missiva) fino al 12 ag. 1564 destinatario ne fu il duca Cosimo I. Quando Cosimo si ritirò dalla "cura del governo" (o buona parte di esso), chiese al G. di indirizzare le missive al figlio Francesco, che sarà il nuovo destinatario dall'8 sett. 1564 al 9 giugno 1577.
Si tratta di 231 lettere pubblicate da Mario Battistini nel 1949. Non rappresentano l'intero corpus: tra il 1570 e il 1576 la corrispondenza presenta una considerevole lacuna che trova in parte una spiegazione nelle 11 lettere rimanenti, tra il 9 sett. 1576 e il 29 giugno 1577, dove frequenti sono gli accenni alle difficoltà dell'invio e alla certezza che molte - sia le missive inviate spesso anche in più copie tramite corrieri diversi, sia le responsive da Firenze - non siano giunte a destinazione perché "intercette […] per li sospetti che andavano atorno verso gli stranieri, che qui si trovano" (4 apr. 1577). Erano dunque intercettate dalle autorità spagnole, come ritiene Battistini, o da queste e dagli stessi ribelli, secondo i timori del G.: "V.A. faccia conto che se non havrà lettere, sarà che non si potrà scrivere per li gran sospetti, che dall'una banda e dall'altra ci sono" (9-18 sett. 1576). Nonostante le lacune, le lettere del G. costituiscono senza dubbio una testimonianza di grande interesse della genesi e della prima fase della rivolta dei Paesi Bassi contro Filippo II. Benché focalizzato principalmente sull'evolversi della situazione politica e religiosa e sui suoi riflessi negativi nella vita commerciale, lo sguardo del G. non si limita al paese che lo ospita ma si estende alla Francia, all'Inghilterra, alla Scozia, ai Paesi baltici. La maggior parte delle lettere è datata da Bruxelles - dove, come già detto, probabilmente il G. si era trasferito - ma non poche sono quelle da Anversa. Bruxelles, come sede della corte, e soprattutto Anversa, centro di scambi e città cosmopolita, erano un osservatorio privilegiato di notizie, lettere e avvisi che pervenivano da tutta Europa. In più il G. poteva contare su suoi informatori come i fratelli, Lodovico da Anversa e Vincenzo da Londra, e non di rado allegava alle sue missive documenti ufficiali, deliberazioni, proclami, copie di lettere dei governatori, di cui provvedeva a fornire anche la traduzione. Il G. non era l'unico corrispondente dei Medici, i quali ricevevano anche informazioni occasionali da mercanti come Tommaso Baroncelli o Tommaso Marchi, o regolari resoconti come quelli del capitano Chiappino Vitelli, braccio destro di F. Álvarez de Toledo, duca d'Alba, durante il governatorato nei Paesi Bassi.
Il G. aveva saputo conquistarsi la fiducia del duca, che spesso lo incaricava di consegnare le sue lettere alla reggente Margherita d'Austria duchessa di Parma o al cardinale A. Perrenot signore di Granvelle e gli affidava anche alcune incombenze riservate. Nel giugno del 1560, Cosimo, che in passato tramite Ducci aveva ottenuto dei prestiti alla Borsa di Anversa, gli chiese di sondare la possibilità di un prestito di 100.000 scudi a un interesse dell'8%: una richiesta che, malgrado anni di vani tentativi, il G. non riuscì a soddisfare non solo per gli "interessi ingordi" di gran lunga più elevati di quelli cui mirava il duca, ma perché, come egli scrisse il 2 nov. 1560, "la Borsa non fu mai in tanti gran frangenti […] onde si spaventa ogni homo et le faccende si spengono interamente" (Lettere di Giovan Battista Guicciardini…, p. 140) o, nella missiva del 17 dello stesso mese, "la Borsa d'Anversa sta peggio che mai" (ibid., p. 142). Due anni dopo, in una lettera del 28 ag. 1562, confermando la situazione di paralisi del mercato finanziario, il G. offrì a Cosimo una rapida ma incisiva rassegna delle differenti modalità operative delle "nazioni" nella Borsa anversana, gli "alamanni", i lucchesi, i lombardi, gli spagnoli, i fiorentini, tutti però "in tale maniera impauriti che con gran difficultà si cava loro danari dalle mani" (ibid.).
Maggior successo il G. ottenne nel 1562 in una missione segreta a Lovanio su richiesta del duca, per sottoporre al Collegio dei dottori di quell'Università una questione di precedenze sorta tra Cosimo e Alfonso II duca di Ferrara e sfociata in una causa che si sarebbe dibattuta a Roma. Il parere, inviato al duca dopo una serie di consultazioni in cui il G. svolse un ruolo di informatore, lasciò soddisfatto Cosimo, che qualche mese dopo lo incaricò dell'acquisto di 50 cavalle frisone.
Il G. era conscio di dover svolgere un compito di osservatore e informatore imparziale. Solo in alcune circostanze tralasciava questo ruolo per perorare interessi personali, legati all'interminabile processo contro il Ducci. Nel 1564, ad esempio, dopo avere ottenuto a suo favore la revisione di una sentenza, temendo di non poter uscire "dalli artigli di costui", il quale godeva anche degli "eccessivi favori" della reggente, chiese l'intervento di Cosimo presso questa perché fosse rispettata la sentenza. Nel 1569, quando il fratello Lodovico era stato fatto incarcerare dal duca d'Alba, rivolse vari appelli a Francesco affinché intervenisse tramite Chiappino Vitelli presso il duca: la liberazione sarebbe avvenuta soltanto nel novembre del 1570.
In seguito il tema centrale delle sue lettere diventa l'inasprimento della situazione politica e religiosa nei Paesi Bassi: il G. rimase a lungo fiducioso che si potesse arrivare a un accordo, anche perché non gli sfuggivano le pesanti ripercussioni sul commercio e gli scambi, già intralciati, ai suoi occhi, dai sempre più gravi episodi di pirateria o di boicottaggio spalleggiati dalla regina Elisabetta I. Nell'estate del 1566 il G. descriveva sbigottito la furia iconoclasta esplosa nel paese, l'insolenza dei tanti ormai "infetti dalle maladette heresie", le pretese di quelli che egli chiama "i goi" (i gueux o "pezzenti"), l'abbandono di Anversa da parte dei mercanti stranieri, e sembra ancora riporre la speranza di una pacificazione nella venuta del re e in un perdono generale. Ma l'arrivo del duca d'Alba e l'inizio della repressione, nonché la decapitazione, nel 1568, di Lamoral conte di Egmont e di Philip de Montmorency conte di Hoorn - i due accusati di aver capeggiato la rivolta -, la serie di incarcerazioni e di decapitazioni, l'istituzione del tribunale dei torbidi, incrinarono la sua fiducia in una possibile conciliazione. Le lacune nella corrispondenza dal 1570 al 1576 ci privano dei suoi commenti, ma nella lettera del 24 sett. 1576, dopo la descrizione degli ennesimi saccheggi, sollevazioni ed esecuzioni, la sua conclusione è inequivocabile: "il paese si alienerà totalmente da Sua Maestà, et sarà consumato dalli soldati amici et nimici". Alla furia spagnola in Anversa, la città della cui ricchezza e splendore era stato testimone, il G. dedica la lettera più lunga e senza dubbio quella in cui si avverte tutto il suo coinvolgimento emotivo (10 nov. 1576). Non è noto se egli sia stato spettatore degli orrori descritti o se abbia trasmesso o elaborato un testo inviato dal fratello Lodovico: certo è che al distaccato osservatore di sempre subentra un testimone intimamente partecipe della sorte toccata alla città, saccheggiata, messa a fuoco, con le "strade coperte di corpi morti, et di feriti", le urla e i lamenti di uomini e donne tormentati e uccisi da quegli spagnoli "che si battezano soldati del re di Spagna", ma soprattutto - scrive il G. - "era pietoso a vedere quelli che ascosi prima alto et in luoghi oscuri delle case, che poi abrucciarono, non sapendo trovare modo da scampare, arsero vivi, onde alcuni mezi arrostiti si gettarono atterra dalle finestre, né anco per questo camparono". Davanti a queste devastazioni ed eccidi che superano "ogni barbara crudeltà", la condanna del G. è netta, accompagnata dalla convinzione che per il bene del paese il nuovo governatore, don Giovanni d'Austria, dovrà "mandar via li Spagnoli".
La corrispondenza con il granduca Francesco si interrompe nel 1577, anno in cui è stata collocata la morte del G. (Lettere di Giovan Battista Guicciardini…, p. 109), ma fra le 28 lettere inviate al fratello Raffaello a Firenze, quattro sono posteriori al 1577. Quello fu invece sicuramente l'anno della morte del Ducci, circostanza che dovette avviare alla conclusione l'annoso processo con la restituzione ai Guicciardini del dovuto, come pare evincersi da una vendita, fatta nel 1577 da Lodovico e dal G., di una casa ad Anversa già appartenuta al Ducci (Van Even, p. 266).
Una conferma potrebbe venire anche dalla lettera a Raffaello datata 10 dic. 1582 (copia di una missiva del 10 sett. 1581) in cui il G. lamenta le lentezze della giustizia, che lo hanno costretto a un accordo per lui dannoso con gli eredi Ducci e riferisce che gli Affaitadi, anch'essi debitori del Ducci, pretendono "havere hancora da ipsi Ducci, una grossa partita, confidando nella loro possanza et ne' gran favori che hanno" e teme che impediscano l'esecuzione della sentenza. Nella stessa lettera confidava di guardare già ad altro e di voler finire "l'historia particolare della casa nostra cominciata più tempo fa", per la quale chiedeva al fratello notizie degli incarichi svolti dai vari membri della famiglia e della storia del castello dei Guicciardini a Poppiano.
L'ultima lettera del G. a Raffaello è del 28 febbr. 1587 (1586 secondo lo stile fiorentino), che potrebbe fungere da termine a quo per l'individuazione della data di morte. Un'altra lettera permette di stabilire un termine ad quem: si tratta della comunicazione fatta il 12 maggio 1589 a Raffaello dal genero del G. che dichiara di avere ottenuto dai magistrati anversani l'autorizzazione a redigere l'inventario, a nome della moglie Maria "fille légitime du feu Johan Baptista Guicciardini", dei beni di Lodovico Guicciardini, deceduto ad Anversa il 22 marzo 1589 senza lasciare altri eredi legittimi se non la stessa Maria (Firenze, Arch. Guicciardini, filza 52). Si può presumere quindi che la morte del G. sia avvenuta tra il febbraio 1587 e il marzo 1589.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio Guicciardini, Libri d'amministrazione, nn. 13-15; Carteggi, filza 51 (11 lettere inviate al padre); 52 (26 lettere al fratello Raffaello dal 1532 al 1586); Lettere di Giovan Battista Guicciardini a Cosimo e Francesco de' Medici scritte dal Belgio dal 1559 al 1577, a cura di M. Battistini, Bruxelles-Roma 1949; Les papiers du Magistrat des Consulats aux Archives d'État de Florence, a cura di A. Grunzweig, in Bulletin de l'Institut historique belge de Rome, XII (1932), pp. 27 s., 35 s.; L. Guicciardini, L'ore di ricreazione [L'hore di ricreatione, 1565], a cura di A.-M. van Passen, Roma-Leuven 1990, p. 261; A. Ortelius, Theatrum orbis terrarum, Antwerp 1570; E. Van Even, Lodovico Guicciardini, in Annales de l'Académie royale d'archéologie de Belgique, XXXIII (1876), p. 266; J. Denucé, Oud-Nederlandsche Kaartmakers in betrekking met Plantijn [Antichi cartografi olandesi in relazione con Plantin], Antwerpen 1912, pp. 141 s.; J.A. Goris, Étude sur les colonies marchandes méridionales (Portugais, Espagnols, Italiens) à Anvers de 1448 à 1567, Louvain 1925, pp. 160, 181, 258 e passim; Exposition de la cartographie belge aux XVIe, XVIIe et XVIIIe siècles organisée au Musée Plantin-Moretus à l'occasion du cinquantenaire de la Societé royale de géographie d'Anvers, Anvers 1926, p. XLVI; J. Denucé, Italiaansche koopmansgeslachten te Antwerpen in de XVIe-XVIIIe eeuwen [Famiglie mercantili italiane ad Anversa nei secoli XVI-XVIII], Mechelen 1934, pp. 33 s.; W. Brulez, De firma Della Faille en de internationale handel van vlaamse firma's in de 16e eeuw, Brussel 1959, pp. 468, 470; É. Cornaert, Les français et le commerce international à Anvers, fin du XVe-XVIe siècle, I, Paris 1961, pp. 228, 308, 351; R.H. Touwaide, Messire Lodovico Guicciardini gentilhomme florentin, Nieuwkoop 1975, pp. 26 s., 36-38, 124 s. e passim; M. Jacqmain, Een minder bekende "vlaamse" G.: G.B., de korrespondent van de Medici's [Un meno noto Guicciardini "fiammingo": G.B., corrispondente dei Medici], in Ons erfdeel, 1975, n. 3, pp. 321-396.