GIOCATTOLO
(XVII, p. 154)
Concetto e teoria del giocattolo. - Secondo i più recenti orientamenti, per il concetto di g. risulta essenziale, da un punto di vista semantico, la distinzione fra gioco e g., intendendo col primo termine uno specifico campo di attività o modalità d'interazione che può comprendere l'uso di giocattoli. Esiste dunque una vasta gamma di giochi che non hanno bisogno di oggetti specifici per essere svolti, come quelli, per es., che si basano sulla relazione corpo/ambiente (nascondino, mosca cieca, campana, gatto e topo, ecc.). I g., sia che si tratti di oggetti ricavati da materiali poveri attraverso una manipolazione diretta da parte dei bambini, sia che appartengano alla produzione industriale, sono definibili come ''catalizzatori di gioco'', e funzionano in quanto sviluppano attività ludica.
Poiché il termine ''gioco'' è più ampio e comprensivo, tende spesso ad assorbire quello di g.: nel linguaggio comune si usa dire (anche per una maggiore brevità del termine), per es., "domani ti compro un gioco", dove per ''gioco'' si vuole intendere in realtà ''giocattolo''. È interessante notare che l'assorbimento del significato di g. all'interno della parola gioco, e dunque l'identità semantica dei due termini, avviene spesso là dove i materiali hanno un grado di strutturazione particolarmente elevato, tale da creare una sostanziale identificazione fra l'oggetto e il tipo di gioco per cui tale oggetto è predisposto; oppure, più in generale, per tutti quei giochi che non sono tipici del mondo e della cultura infantili, per es. gli scacchi, il Monopoli, il backgammon, ecc. Così, parliamo di ''giochi di (con le) carte'' o delle ''carte da gioco'', ma non siamo soliti considerare le carte in sé un g., a meno che non vengano usate da qualcuno per costruire una sorta di torre o di casetta. In questo caso il mazzo di carte rientra più facilmente nella definizione di g., perché l'uso che ne viene fatto si caratterizza per una certa creatività o divergenza ludica rispetto alle modalità d'uso proprie di quel mazzo di carte. In altri termini, possiamo affermare che un g. si definisce come tale nella misura in cui le sue utilizzazioni sono aperte alla categoria del ''possibile''.
Due categorie di giocattoli. - Il termine g. si addice in modo particolare a due categorie di oggetti. La prima è quella che comprende oggetti appositamente creati dall'adulto per il gioco infantile, ma il cui uso non è legato a regole rigide e prefissate, non è univoco. Una bambola, un'automobilina, dei soldatini assumono significati e valori ludici diversi a seconda del campo di relazioni, delle regole e delle attribuzioni di senso che caratterizzano un certo gioco. Così la palla, oggetto in sé astratto, è un g. che può dare vita a un numero estremamente vario di giochi.
Sotto questo profilo i g. sono oggetti caratterizzati da un certo grado di ambiguità morfologica e semantica. Sono, nei casi migliori, vere e proprie ''opere aperte'', nel senso che si propongono come oggetti incompleti, se non addirittura privi di senso comune, ma con una disponibilità costitutiva a essere definiti nell'immaginario e nel concreto dell'esperienza ludica. Vi sono g. che si prestano a essere più contemplati che manipolati (automi, bambole e robot semoventi, il caleidoscopio, la girandola, ecc.) e dove l'atto contemplativo è in sé fonte di piacere e di fantasie. Oppure g. che richiedono l'esercizio di azioni più o meno semplici ma ripetitive, e dove il divertimento consiste appunto nell'acquisire per tentativi ed errori, e nell'esprimere, una volta acquisita, l'abilità in tali azioni (la trottola, lo yo-yo, il cerchio, la palla, ecc.).
In linea di massima possiamo parlare di ''regole del gioco'', non di regole del g. che, in quanto oggetto, assume di volta in volta le regole del gioco all'interno del quale viene utilizzato, ma può anche essere giocato liberamente senza regole. Possiamo parlare di regole del g. riferendoci alle particolari modalità del suo impiego o alle istruzioni per il suo funzionamento. Ma le istruzioni che ci consentono di mettere in funzione un certo g. non dovrebbero esaurirne le dimensioni ludica e fantastica; succede a volte, come ha scritto R. Barthes (1974), che "davanti a questo universo di oggetti fedeli e complicati il bambino può costituirsi esclusivamente in funzione di proprietario, di utente, mai di creatore; non inventa il mondo, lo utilizza: gli si preparano gesti senza avventura, senza sorpresa né gioia".
Se il rapporto tra il bambino e il g. si riduce alla mera esecuzione di operazioni tecniche, il g. è condannato a una rapida obsolescenza. La sua possibilità di sopravvivere per un certo tempo come oggetto significativo nell'esperienza ludica di un bambino è legata al fatto d'intrattenere una qualsivoglia relazione col suo immaginario. Tale relazione può anche portare, come atto estremo, alla rottura del g. da parte del bambino, o per il piacere di scoprire i meccanismi interni che ne regolano il funzionamento (e che si designa col termine di epistemofilia), o come espressione di aggressività distruttiva, dove l'oggetto assume simbolicamente il ruolo di qualcosa o qualcuno (reale o immaginario) contro cui il bambino vorrebbe scaricare il proprio odio, oppure come ultima e risolutiva modalità di ''utilizzare'' un g. che ha praticamente esaurito ogni altro interesse per il bambino.
Alla seconda categoria appartengono quegli oggetti che diventano g., ma non sono originariamente tali. Si tratta di una vasta gamma di oggetti che perdono la loro funzione originaria e transitano dal mondo adulto a quello infantile, o che il bambino autonomamente fa propri trasformandoli in giocattoli. Questi oggetti si definiscono anche ''materiali non strutturati'', differenziandoli in tal modo da quelli strutturati che sono appunto i g. propriamente detti.
Si tratta in molti casi di oggetti di uso comune e domestico per i quali il trascorrere di un certo periodo di tempo determina la disponibilità a un loro passaggio di status o di valore d'uso. Più il bambino è piccolo, più è marcata la sua tendenza a trasformare in g. tutti gli oggetti che riesce ad afferrare, essendo il gioco la modalità fondamentale con cui impara a conoscere il mondo in cui vive, e se stesso in relazione a quel mondo. Questi g., caratterizzati dal fatto di essere oggetti di recupero, dal punto di vista materiale sono indubbiamente più poveri dei g. strutturati, ma rivestono una grande importanza dal punto di vista dello sviluppo cognitivo e sensoriale del bambino. Caratterizzati in linea di massima da una durata effimera, i materiali non strutturati hanno il grande vantaggio di poter essere manipolati e trasformati dai bambini; essi esprimono e consumano la loro funzione di g. nell'ambito di esperienze ludiche che hanno il carattere di ''laboratorio''.
La pedagogia e la psicologia moderna hanno attribuito in questi ultimi venticinque anni un'importanza crescente ai g. non strutturati nell'educazione del bambino, a fronte di una pesante invasione del mercato dei g. e del conseguente consumismo. Sulla base di numerose ricerche e osservazioni nel campo dell'attività ludica infantile, l'indirizzo ritenuto più corretto è quello che considera il rapporto fra g. strutturati e non strutturati su un piano tendenzialmente complementare, cercando di offrire ai bambini sia in famiglia che nelle istituzioni educative (in particolare asili nido e scuole materne) una gamma diversificata di materiali, tale da consentire l'apprendimento e l'esercizio di abilità manuali, cognitive, fantastiche, espressive.
La ricerca scientifica intorno al giocattolo. - Quello dei g. è da tempo un ambito di studio e di ricerca che interessa in particolare alcune discipline che operano sia autonomamente, sulla base dei propri statuti epistemologici, sia congiuntamente, nello sforzo d'integrare le proprie competenze e pervenire a risultati più rigorosi.
L'antropologia culturale vede in particolare nei g. dei media culturali, oggetti cioè che stabiliscono connessioni fra la società adulta e quella infantile, con lo scopo di "imprimere finalità culturali nelle azioni presenti e future del bambino" (Callari Galli 1982).
Presenti in ogni cultura, i g. sono sempre reperti interessanti dal punto di vista antropologico, poiché suggeriscono o rivelano pratiche d'inculturazione; sono il segno materiale dell'esistenza di giochi che altrimenti sarebbe difficile conoscere, soprattutto quando ci troviamo di fronte a culture scomparse o profondamente trasformate. Un'analisi dei caratteri funzionali, simbolici, rituali del g. all'interno di una determinata cultura, insieme a una meticolosa schedatura dei suoi aspetti materiali (forma, colore, dimensioni, consistenza, ecc.) sono fra gli indispensabili strumenti conoscitivi utilizzati da questa disciplina che cerca tutte le possibili implicazioni del rapporto cultura-educazione.
Quanto alla pedagogia, l'attenzione di questa disciplina nei confronti dei g. è definibile da due punti di vista. Il primo riguarda l'analisi degli aspetti educativi (formativi) della personalità di un soggetto, che possono essere sviluppati o inibiti da determinate tipologie di g. e dalle modalità del loro uso, partendo dall'assunto che la relazione bambini-g. è sempre una relazione educativa.
Basta pensare, per es., all'educazione maschile e femminile, dove i g. disegnano due curricoli nettamente distinti in particolare per ciò che riguarda la formazione degli stereotipi sessuali (Gianini Bellotti 1973). Differenze significative inoltre compaiono dopo i 7 anni per ciò che riguarda la capacità d'immaginazione, che molte ricerche psicopedagogiche affermano essere maggiore nei maschi; questi ultimi dispongono infatti di una gamma di g. quantitativamente e qualitativamente più ampia rispetto alle femmine e si formano così maggiori competenze creative.
Il secondo ambito riguarda la progettazione e la sperimentazione didattica di materiali ludici che hanno lo scopo di sviluppare determinate conoscenze o abilità a livello intellettivo, sensoriale, psicomotorio. Si pensi ai contributi fondamentali di F. Froebel e di M. Montessori per ciò che riguarda l'elaborazione di materiali strutturati, e delle sorelle Agazzi per l'attenzione posta ai materiali non strutturati nell'ambito delle istituzioni educative prescolari.
Dal punto di vista della psicologia i g. svolgono un'importante funzione nello sviluppo della personalità, attivando complesse dinamiche di tipo affettivo, meccanismi d'identificazione e di proiezione. Il mondo dei g. consente al bambino di rappresentare su scala ridotta, e quindi di controllare, aspetti del mondo reale più grandi di lui e che sono oggetto di suoi desideri o di sue paure. Attraverso i g. (e a seconda delle tipologie di g. che utilizza) il bambino esprime sentimenti e gesti di amore o di aggressività, sviluppa capacità linguistiche e comunicative, esercita abilità senso-motorie.
Di fondamentale importanza, anche da un punto di vista psicologico, l'influenza che i g. hanno nell'introiezione di modelli sociali, di ruolo e di comportamento (pensiamo a tutti quei g. che inducono nel bambino la simulazione e la rappresentazione di ambienti e atteggiamenti adulti), anche se nessuna ricerca ha finora dimostrato che può esistere una congruenza funzionale tra i giochi del bambino e le sue future attività di adulto. Infine è importante sottolineare l'uso di g. più o meno strutturati con bambini in campo clinico psicoterapeutico: messo di fronte a un determinato repertorio di materiali, per es. costruzioni in miniatura, bambole, animali, figurine, semplici cubi, ecc., il bambino viene indotto "a strutturare lo spazio disponibile secondo configurazioni originali e poi a discorrere liberamente. [...] È ben noto che i piccoli pazienti nella loro paura e confusione si rivolgono ai balocchi disponibili in uno stato di disperato bisogno, e spesso confessano ed esprimono sul ''palcoscenico'' del gioco molto di più di quanto potrebbero o saprebbero ''con molte parole''" (Erikson 1981).
La sociologia si occupa dei g. sul piano della loro rilevanza sociale ed economica, dei modelli produttivi e di consumo e della loro quantificazione. Soprattutto da quando la diffusione dei g. è diventata un fenomeno di massa, questi oggetti assumono il valore di indicatori di comportamenti sociali diffusi, di mode. Si studiano così, da una parte le trasformazioni a livello economico-aziendale, gli andamenti e le strategie del mercato per capire alcuni caratteri essenziali del g. come merce di consumo per l'infanzia, soprattutto nei paesi più sviluppati; dall'altra il ruolo della famiglia, scoprendo eventuali correlazioni quantitative e qualitative fra status socio-culturale e acquisto di g., ruolo dei mass media nella formazione della domanda, comportamenti sociali diffusi fra adulti e bambini in rapporto ai giocattoli.
Storia e produzione del giocattolo. - La storia dei g. è articolata su due livelli essenziali: il primo è quello degli oggetti che possiamo più facilmente definire come g. sulla base di fonti letterarie e iconografiche che descrivono o rappresentano giochi e g. infantili, di reperti archeologici e, più recentemente, del collezionismo; il secondo è quello rappresentato dalla grande varietà di g. che in ogni epoca e cultura i bambini hanno prodotto da sé, imitando e rielaborando cose viste o viste fare da altri bambini o da adulti.
La storia ufficiale dei g. tiene conto più del primo livello che del secondo, operando così una scelta di campo che la colloca inevitabilmente nel contesto storiografico di una certa educazione dell'infanzia agiata. Non a caso Ph. Ariès per il suo "contributo alla storia dei giochi" (Ariès 1968) si basa sull'infanzia di Luigi xiii; ed è grazie al restauro e alla conservazione di due splendidi modellini di navi, donati al futuro duca di Parma alla metà del Settecento dal Delfino di Francia, che sappiamo come venisse impartita una rigorosa educazione marittima al piccolo Ferdinando di Borbone (Catalogo della mostra di Colorno, 1983). Come per la storia della nostra civiltà, anche in questo caso la discriminante più forte passa attraverso la disponibilità di fonti materiali colte.
Se assumiamo questo criterio come l'unico che ci consente di fare storia, allora dovremmo dire che le culture subalterne non hanno storia, sono ''culture del silenzio'', e l'infanzia, in questo caso, sarebbe condannata a una doppia subalternità: dal mondo adulto e dalla cultura. Eppure, soprattutto nelle società povere e nel passato, i bambini hanno sempre prodotto i loro g. e continuano a farlo in quei paesi dove si è lontani dalla diffusione e dal consumo di g. industriali.
I materiali utilizzati sono i più diversi: legno, fil di ferro, canne, corda, elastici e tutta una serie di oggetti in disuso come scatole di cartone e di metallo, rocchetti di filo, tappi di sughero e a corona, bottoni, sassi, ecc. I g. vengono creati attraverso assemblaggi o lavorazioni tecnicamente semplici, ma che rivelano nei bambini che li praticano notevoli competenze intellettive e manuali. Si tratta di fionde, archi, cerbottane, rudimentali armi-g. e strumenti musicali, carretti e automobiline trainabili e a spinta, pupazzi, trampoli, aquiloni, ecc. Senza contare che gli animali, in particolare cani e uccelli, sono sempre stati ''giocattoli'' abbastanza comuni nel mondo dei bambini, com'è documentato in molte immagini dal 16° al 18° secolo.
È solo con l'avvento dell'età moderna (per le epoche precedenti, v. XVII, p. 154) e quindi con la scoperta del bambino come soggetto sociale (e oggetto di investimenti educativi programmati) che si diffonde e si afferma per le classi aristocratiche, e poi per la borghesia, una vera e propria produzione di g. che dalla seconda metà del 20° secolo ha assunto nei paesi più sviluppati dimensioni industriali e commerciali simili a quelle di tanti altri prodotti di consumo.
Scrive Ariès, a proposito dell'origine dei g. nella moderna cultura occidentale: "Alcuni di essi sono nati dallo spirito di emulazione che spinge i bambini a imitare il comportamento degli adulti riducendolo alla loro misura: il cavallo di legno, quando il cavallo era il principale mezzo di trasporto e di traino; la girandola a vento che, con le sue alette girevoli in cima a un bastone, può essere solo l'imitazione infantile di una tecnica non molto antica, a differenza dell'uso del cavallo: la tecnica dei mulini a vento introdotta nel medioevo. È un'influenza del genere quella che spinge oggi i nostri bambini a imitare il camion o l'automobile. Ma mentre i mulini a vento sono spariti da un pezzo dalle nostre campagne, le girandole per i bambini si vendono ancora nei negozi di balocchi e nei chioschi delle passeggiate o delle fiere. I bambini costituiscono le più conservatrici tra le società umane" (Ariès 1968).
È possibile individuare alcune fasi significative che caratterizzano l'evoluzione storica del g. nella nostra società moderna (Franzini 1989). La prima è quella che va dall'inizio del Settecento alla metà dell'Ottocento e vede la nascita del g. artigianale, prodotto di un'arte popolare che applicava a oggetti per il divertimento e lo stupore dei bambini i primi ingegnosi meccanismi.
Nasce a Norimberga alla fine del Settecento la produzione di soldatini di piombo, la cui ''invenzione'' viene attribuita a J. G. Hilgert. Originariamente di forma piatta, i soldatini di Norimberga diventeranno di forma semitonda e poi tonda verso la metà dell'Ottocento, grazie alle innovazioni di altri produttori tedeschi e francesi.
Il secondo periodo, compreso tra il 1820 circa e la fine del 19° secolo, è quello definito da Franzini del g. ''romantico''. Da una parte oggetti di squisita ricercatezza estetica − si pensi alle bambole e alle loro ''case'' − dall'altra la macchina a vapore applicata a determinati veicoli in miniatura, definiscono i confini di una vera e propria poetica del giocattolo.
Il progresso nel perfezionamento delle bambole verso un'illusione di realtà sempre più accurata è straordinario; negli anni fra il 1880 e il 1890 nasce la bambola parlante: il primo brevetto è di Th. A. Edison, successivamente perfezionato dal francese E. Jumeau, a cui si deve anche, negli stessi anni, l'invenzione del meccanismo interno che consente alle bambole di aprire e chiudere gli occhi. Un altro francese, J. Nicolas Steiner, brevetta un sistema di articolazione che consente alla bambola di camminare: nasce il Bebé petit pas. Nel 19° secolo si diffondono le lanterne magiche, g. che intrattengono con i bambini un rapporto affascinante basato sulla proiezione di immagini fisse, preludio a futuri e straordinari sviluppi di media che troveranno sempre nell'infanzia il pubblico più attento e disponibile. Contemporaneamente, dalla fine del Settecento alla fine dell'Ottocento si producono g. e giochi didattici − prevalentemente sotto forma di puzzle, cubi figurati, serie di figurine − i quali, sull'onda di una crescente attenzione per le tecniche educative, consentono ai bambini di apprendere concetti e abilità attraverso modalità ludiche.
Il terzo periodo, fra il 1880 e la prima guerra mondiale, vede la prima grande affermazione dell'industria del g. soprattutto in Germania (Bing, Lehmann, Märklin, ecc.), ma anche in Francia (Martin, Rossignol, Citroen, ecc.).
Il g. si perfeziona sul piano tecnico e nell'uso di materiali (latta, legno, bisquit); ormai ogni aspetto del mondo adulto ha una sua immagine sotto forma di giocattolo. Esempio fra i più significativi è l'invenzione del meccano (1906), ad opera dell'inglese F. Hornby: si tratta del primo g. per costruzioni veramente moderno, caratterizzato da pezzi di metallo (barre, ruote, piastre, raccordi) di varie forme e dimensioni, assemblabili tra loro con viti e bulloni.
Gli anni fra le due guerre confermano la supremazia della Germania nella produzione dei g., a livello sia quantitativo che qualitativo. La potenza tedesca, carica di inquietanti premonizioni, si riflette anche nei suoi g. ricchi di abilità costruttiva, ingegnosità e ricchezza di modelli, ma anche veicoli di intenzioni ideologiche più o meno esplicite. Famosi i soldatini e i mezzi militari della splendida produzione Hausser e Lineol. Sull'altra sponda dell'Atlantico, invece, lo statunitense Ch. Darrow inventa il Monopoly, vera e propria rappresentazione (e semplificazione) in chiave ludica del funzionamento del capitalismo (si calcola che vi siano attualmente in circolazione oltre 200 milioni di scatole del Monopoly, italianizzato in Monopoli).
Dopo la seconda guerra mondiale, la ricostruzione sociale e produttiva e lo slancio verso uno sviluppo economico e un benessere sempre più diffuso, hanno portato nei g. forme e contenuti nuovi. Sull'onda della conquista dello spazio nascono missili e robot dalle forme tetragonali, fantasiosi e ingenuamente grotteschi nell'aspetto. La plastica sostituisce sempre di più il metallo e il legno come materiale di produzione, mentre batterie, circuiti elettrici e poi transistor e telecomandi prenderanno il posto dei tradizionali caricamenti a molla.
Fra gli anni Cinquanta e Sessanta s'impongono due g. fortemente innovativi e destinati a un successo mondiale senza precedenti: il Lego e la bambola Barbie.
Messo a punto da un falegname danese, O. K. Christiansen (su un'idea che vent'anni prima aveva avuto uno psicologo inglese, H. Page), il Lego è un g. composto da tanti piccoli mattoncini di plastica solidissima, di forma e colore diversi, e con i quali, grazie a un semplice quanto originale sistema d'incastro e a una vasta gamma di accessori, si possono realizzare le più diverse costruzioni. In vent'anni il Lego (il cui marchio sintetizza le due parole danesi leg godt, cioè ''gioca bene'') ha determinato la progressiva scomparsa del meccano, la cui struttura fredda e metallica non ha retto alla concorrenza con il nuovo g., più ''caldo'' e fantasioso. Il Lego inoltre ha dimostrato straordinarie capacità innovative e creative anche sul piano didattico, come l'applicazione di una serie di pezzi speciali che ne consentono il collegamento a un computer fornito del programma Logo (creato negli anni Sessanta da S. Papert). Il Lego-Logo permette al bambino di realizzare la progettazione di g. elaborando e verificando ipotesi, risolvendo problemi previsti e imprevisti, controllando i risultati, a partire dal presupposto che l'apprendimento non è riducibile a mera trasmissione di concetti, ma è un processo di costruzione attiva del sapere sulla base di esperienze concrete.
Il primo modello della bambola Barbie nasce nel 1959, ideato da R. Handler. L'idea nasce dalle cut-out paper dolls, bambole di cartoncino che le bambine ritagliavano, seguendo i contorni della figura, insieme ai vestiti che venivano ''indossati'' piegando apposite linguette. Con Barbie cambia radicalmente la concezione della bambola che non si pone più come ''bambina da accudire'', oggetto di un'affettività ludica da esprimere e da riempire di contenuti; Barbie rappresenta il modello di donna (americana) nel pieno della sua forma fisica (tra i venti e i trent'anni), che si aggira con assoluta sicurezza di protagonista in un mondo dove non manca nulla alla soddisfazione dei propri desideri, rappresentati in questo caso da una miriade straordinaria di accessori (vestiti, ambienti, arredi).
Con Barbie, che dal 1961 è affiancata dal ''fidanzato'' Ken, la bambola non è più il g. fuori dal tempo, ma è ''nel tempo'', dove puntualmente segue e rappresenta la progressiva emancipazione della figura femminile nella società del benessere, in cui il look diventa la massima espressione del sé. La Barbie, che dopo Topolino è probabilmente il ritratto più fedele dell'American way of life, con milioni di esemplari venduti nel mondo, ha fatto della sua ditta produttrice, la Mattel, un leader mondiale nell'industria del giocattolo.
L'Italia. - Da un punto di vista sia culturale che produttivo, l'Italia non occupa un posto di particolare rilievo nella storia del g. che, prima di questo secolo, è sempre stato legato ai modelli dell'artigianato locale. Le ragioni di questo ritardo sono molteplici; in Italia, a differenza di altri paesi europei, il processo d'industrializzazione è decollato tardi e il permanere di un'economia e di una cultura contadina ha frenato la nascita e la diffusione dei g. moderni, estranei a un tessuto sociale caratterizzato a lungo da una diffusa povertà materiale.
Una seconda ragione, messa in evidenza da Franzini, collega i g. alle forme prevalenti con cui si esprime un certo immaginario collettivo in una determinata realtà: "Mentre i fratelli Grimm e Andersen narravano le loro fiabe e in Germania nel 18° secolo nascevano le leggende della Selva Nera, e artigiani tedeschi, di Bruges in Fiandra, intagliavano gnomi, orsi e fate, quando le corti di Francia ordinavano a famosi mastri orologiai fantastici automi musicali, e complicatissime bambole animate, in Italia si dipingevano Madonnine agli incroci delle strade, tavole votive per grazia ricevuta, e si costruivano e componevano i pezzi del più incredibile dei giocattoli meccanici, sicuramente il più antico automa ancora in movimento, il Presepe" (Franzini 1984). La forza culturale e spirituale della tradizione cattolica nel nostro paese avrebbe dunque influenzato in misura decisiva l'immaginario popolare, canalizzando la produzione artigianale di immagini e oggetti, quindi anche di g., verso contenuti di tipo religioso.
Nel 1872 iniziò a Mantova la produzione italiana di bambole con la ditta Furga, che diventò negli anni un marchio fra i più importanti nell'industria nazionale di giocattoli. Ma fu necessario aspettare la fine della prima guerra mondiale perché anche in Italia decollasse l'industria del g. che, senza raggiungere livelli competitivi con paesi europei di più lunga tradizione, ebbe comunque alcuni caratteri originali. Uno di questi è rappresentato dalla produzione delle cosiddette bambole Lenci. L'idea innovativa di utilizzare panno imbottito e pressato per la costruzione di bambole fu di E. Scavini e di sua moglie E. Konig, che nel 1919 ne iniziarono la produzione artigianale. La grande raffinatezza e originalità nelle espressioni e nei costumi resero in pochi anni queste bambole famose in Italia e all'estero. Nel 1922 venne depositato il marchio ''Lenci'', acronimo di ludus est nobis constanter industria.
I g. italiani, pur risentendo di una certa carenza di materie prime, non mancano di qualità espressive e di raffinatezza nella decorazione, come mostrano molti prodotti in latta leggera litografata della INGAP (Industria Nazionale Giocattoli Automatici Padova), attiva dal 1919 fino all'inizio degli anni Settanta. Un'attenzione particolare merita anche il contributo dato al g. italiano da A. Mussino (1878-1954), uno dei massimi illustratori per l'infanzia. Negli anni Venti la ditta Cardini di Omegna ebbe un'idea assolutamente moderna e raffinata dal punto di vista, come si direbbe oggi, del packaging: quella di affidare a Mussino la decorazione delle scatole dei g. che, aperte, erano esse stesse parte del g. trasformandosi, in virtù dei disegni, in casetta, hangar, porto, stazione, a seconda che il g. contenuto fosse una bambola, un aereo, una nave, un trenino. Questi prodotti, ma soprattutto le loro scatole, venivano pubblicizzati sulle pagine del Corriere dei Piccoli.
Oggi, in Italia, a fronte di un nucleo abbastanza limitato di aziende di più solida tradizione (Furga, I. Cremona, Polistil, Sebino, Edison Giocattoli, ecc.) e che operano autonomamente o fuse in società, l'industria del g. è caratterizzata soprattutto da microunità produttive: su circa 900 imprese del settore (distribuite per l'80% nell'Italia settentrionale), il 90% ha meno di 20 addetti. Quello dell'industria di g. è un settore in cui prospera un lavoro a domicilio difficilmente calcolabile, dovuto soprattutto al carattere (e ai problemi) di grande flessibilità produttiva. Il mercato dei g. è dominato da un'esasperata stagionalità (dal 60 al 70% degli acquisti avvengono fra dicembre e gennaio), e dal rapporto fra un ristretto numero di aziende-leader e un grande numero di piccole realtà produttive, subfornitrici delle prime e che utilizzano lavoro a domicilio.
Accanto a questa fisionomia, attualmente, sia in Italia che in altri paesi europei occidentali, il mercato dei g. è soprattutto caratterizzato da un'elevata concorrenza fra tre componenti essenziali: gli importatori (soprattutto da paesi del Sud-Est asiatico, dove il g. ha un basso costo di produzione), l'industria nazionale (impegnata a mantenere e caratterizzare la produzione di g. su standard qualitativi medio-alti), le multinazionali (tra cui Mattel, Fisher-Price, Atari, Lego, estremamente caratterizzate nelle tipologie dei loro prodotti, che contano su grandi investimenti a livello promozionale e pubblicitario). Il costo maggiore di questa concorrenza è stato pagato dall'industria nazionale del g., che dal 1980 al 1985 ha visto calare di circa il 25% la propria produzione (Gerbi Sethi 1986). In aumento costante invece (a fronte del progressivo calo delle nascite) la spesa annuale che mediamente la famiglia italiana dedica all'acquisto di g.: fra le 100 e le 200.000 lire, una cifra che, seppure con forti differenziazioni nelle diverse aree del nostro territorio e inferiore al confronto con altri paesi sviluppati, dimostra come i g. siano ormai ritenuti oggetti indispensabili nella crescita e nell'educazione dei bambini.
Innovazioni tecnologiche e giocattolo: elettronica e multimedialità. - Nell'ultimo ventennio vanno ricordati due fenomeni di grande importanza nella cultura e nella produzione di g.: il primo è rappresentato dall'impiego delle tecnologie elettroniche. Esse, da una parte, hanno consentito una serie di mutamenti innovativi all'interno di tipologie tradizionali di g.: gli smart toys, per es., pupazzi e bambole che grazie all'impiego di microprocessori consentono di memorizzare una quantità notevole di azioni e suoni che il bambino può attivare nell'interazione col g.; oppure scacchi, master mind, othello, che rispondono alle mosse di un giocatore sulla base di un programma (con gradi diversi di difficoltà) che simula la presenza di un avversario; dall'altra hanno portato all'invenzione e al grande successo commerciale dei videogiochi (v. gioco: Giochi elettronici, in questa Appendice).
Il secondo fenomeno di grande rilievo è l'inserimento dei g. all'interno della grande catena massmediologica, in molti casi come vero e proprio anello di un merchandising multimediale. I g. diventano così oggetti pubblicizzati alla stregua di tanti altri prodotti di consumo; in molti casi essi transitano su vari media (cartoons, fumetti, album di figurine), protagonisti di racconti narrati di volta in volta con registri linguistici diversi. Si creano così le condizioni per un immaginario collettivo rivolto all'infanzia e alla cui formazione concorrono g. e immagini di g., e dove la televisione non fa che dettare le regole del gioco spingendo all'acquisto di materiali già fortemente determinati nei loro contenuti ludico-fantastici.
È quanto è avvenuto dall'inizio degli anni Ottanta con l'invasione televisiva dei cartoons giapponesi, i cui personaggi mostruosi e fantascientifici erano anche g. smontabili e trasformabili. Ai primi Goldrake e Mazinga si sono aggiunti Voltron, i Transformers e altri. A competere con il successo travolgente della giapponese Toei Animation è stata l'americana Mattel, che con i Masters ha imposto sul mercato una serie di cartoons-g. popolata da personaggi mostruosi o supereroici dove, fra echi di saghe nordiche e atmosfere fantasy, si ripete l'ennesima lotta tra forze del bene e del male. Dagli anni Ottanta in poi, dunque, il g. deve anche fare i conti con le moderne tecnologie e con i mass media, uscendo così da ogni marginalità produttiva o culturale, ma pagando un prezzo abbastanza elevato all'omologazione consumistica.
Si calcola che i tipi di g. disponibili oggi nel mercato europeo siano circa 60.000, mentre venticinque anni fa non erano più di 5000. Per ciò che riguarda l'Italia, il fatturato si aggira intorno ai 1200 miliardi l'anno, con una sorta di doppia strutturazione dei punti vendita: solo il 50% dei g. infatti viene venduto nei 5000 negozi specializzati, mentre altri 57.000 negozi che comprendono cartolerie, tabaccherie, farmacie, ecc. commercializzano l'altra metà della quota, disegnando un panorama commerciale estremamente frantumato, tipico di un prodotto a larghissima diffusione e a basso controllo qualitativo.
Giocattoli e sicurezza. - Una conseguenza del grande incremento nella produzione e nel consumo di g. è quella relativa al problema della loro sicurezza. Da indagini condotte sia negli Stati Uniti sia nella CEE, risulta che una percentuale abbastanza elevata di incidenti di cui sono vittime i bambini (sia in ambiente domestico sia all'aperto) è dovuta all'uso di g. e di attrezzature ludiche.
I problemi riguardano soprattutto le parti staccabili di un g. e le loro dimensioni, la tossicità delle vernici, l'infiammabilità, angoli e bordi che potrebbero causare lesioni, le armi-g. caricabili, gli eventuali circuiti elettrici.
Con il D.L. 27 settembre 1991 n. 313, che abroga la precedente legge del 18 febbraio 1983 n. 46, l'Italia si avvicina alla legislazione degli altri stati membri della Comunità Europea in materia di sicurezza dei g., recependo la Direttiva del Consiglio CEE n. 88/378. All'art. 1 il D.L. definisce come g. "qualsiasi prodotto concepito o manifestamente destinato ad essere utilizzato a fini di gioco da minori di anni 14, compresi gli eventuali relativi apparecchi di installazione d'uso ed altri accessori". La legge stabilisce inoltre che i g. possono essere immessi sul mercato solo dopo aver ricevuto un attestato, riconoscibile da un marchio CE, con cui il fabbricante o il suo mandatario attestano sotto la loro responsabilità che il g. è stato fabbricato nel rispetto delle norme di sicurezza descritte nella legge.
Appositi organismi, previa autorizzazione del ministero per l'Industria e il Commercio, rilasceranno il marchio CE sui g., dopo averli sottoposti a una serie di test che ne verifichino il grado di sicurezza. I controlli riguardano, come è detto nell'Allegato 2° della legge, le proprietà fisiche e meccaniche, l'infiammabilità, le proprietà chimiche, quelle elettriche, l'igiene e la radioattività.
Il problema della sicurezza è poi diventato psicologico e pedagogico, oltre che fisico. Molti genitori di bambini fra zero e 3 anni preferiscono comprare i g. in farmacia, mentre è sensibilmente cresciuto il numero dei genitori che chiedono e acquistano g. ''educativi''. Al centro di un forte dibattito in questi ultimi anni è stato il problema delle armi-g., fra chi ne vorrebbe l'abolizione (o almeno una drastica riduzione) ritenendo che esse incentivino l'abitudine a comportamenti violenti, e chi, al contrario, ritiene che tali g. favoriscano un positivo sfogo dell'aggressività infantile (Farné 1989).
La ludoteca. - Nel 1959 nacque a Copenaghen la prima ludoteca in Europa, ad opera di una certa signora Infeld, un'americana di origine danese che 15 anni prima pare avesse aperto a Los Angeles il primo servizio definibile come ''Ludoteca''. L'identità della ludoteca viene principalmente mutuata da quella della biblioteca: si tratta di un luogo organizzato per la conservazione, la fruizione, il prestito di g. e di materiali ludici in senso lato. Come una biblioteca, dispone di scaffali e armadi dove vengono riposti secondo un rigoroso ordine di schedatura i g. anziché i libri, di sale di consultazione in cui è possibile conoscere e provare giochi e g., di un ufficio che gestisce il prestito, di operatori che vengono chiamati ''ludotecari''.
Le prime ludoteche, che si diffusero a partire dagli anni Sessanta nei paesi scandinavi, poi in Francia, Germania, Gran Bretagna, pur nelle differenti fisionomie sul piano istituzionale e gestionale, evidenziano gli obiettivi di questo nuovo modello di servizio per l'infanzia: l'affermazione del diritto al gioco per tutti i bambini senza distinzione di classe, l'attenzione particolare ad alcune fasce di utenti come i bambini handicappati, ospedalizzati, socialmente emarginati, infine la valorizzazione educativa e culturale del g. all'interno di una sua utilizzazione ludica di tipo non consumistico. Sorsero ludoteche aziendali oppure autogestite da gruppi di genitori, come sezioni di biblioteche per ragazzi o all'interno di scuole, con l'intervento diretto degli enti locali o di associazioni per il tempo libero o in forma mista. In Italia la prima ludoteca nacque a Firenze nei locali e per iniziativa del Circolo ricreativo ENEL il 26 dicembre 1977 (ma chiuse 10 anni dopo), e all'inizio dell'anno successivo, a Nonantola, vicino a Modena, venne inaugurata la prima ludoteca comunale.
Da 10 anni a questa parte, sia in Italia che all'estero, la tipologia delle ludoteche si è notevolmente ampliata mostrando da una parte la straordinaria duttilità di questo servizio, adattabile ai più diversi contesti, dall'altra una certa fragilità istituzionale, legata a un'identità spesso approssimativa e al perdurare di concezioni che ritengono il gioco e i g. elementi unicamente ascrivibili alla ''sfera del privato''. È un dato acquisito che la ludoteca non si pone in alternativa ai g. personali che ogni bambino può e deve avere; essa "costituisce un apporto complementare all'attività ludica che può essere paragonato a quello di una biblioteca comunale rispetto alla propria raccolta di libri" (Libbrecht-Gourdet 1981). Dotata di notevoli potenzialità educative sia nell'ambito del tempo libero che in collegamento alla scuola, la ludoteca nelle sue diverse tipologie è un servizio caratterizzato da una lenta ma progressiva espansione soprattutto in Europa.
Attualmente in Italia sono attive circa 80 ludoteche (non molte se paragonate alle 800 circa della Francia e alle oltre mille della Gran Bretagna); esse dispongono di un Coordinamento nazionale e di un periodico (La Ludoteca) che fanno riferimento al CIGI (Comitato Italiano Gioco Infantile), presso cui è nato (1984) il Centro internazionale di documentazione sulle ludoteche. Vedi tav. f.t.
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