GIOACCHINO da Fiore
Profeta calabrese, una delle figure più notevoli della spiritualità cristiana durante il Medioevo.
Scarsissimi i dati biografici che si possono ricavare dagli scritti di G. stesso, mentre le biografie "canoniche" di G. - quella di Luca arcivescovo di Cosenza e già segretario del profeta (in Acta Sanctorum, maggio, VII, pp. 89-143), l'altra pubblicata da Giacomo Greco (cosenza 1612), di su documenti esistenti nella badia di S. Giovanni in Fiore, e quella di Gregorio da Lauro (Napoli 1660) - non sono che un'eco malsicura di quel vasto fiorire di leggende di cui fu oggetto la persona di G. quasi all'indomani della sua morte. Né valore maggiore hanno le attestazioni dei cronisti britannici Ruggero di Hoveden, Benedetto di Peterborough e Raul di Coggeshall che, con lievi differenze, mostrano G. profetizzare a Riccardo Cuor di Leone la vittoria delle armi cristiane sul Saladino e annunciare l'avvento già verificatosi dell'Anticristo in persona del pontefice. D'altra parte le polemiche suscitate dalla propaganda gioachimita rendono comunque poco attendibili i primi biografi gioachimiti.
Sembra probabile che G. nascesse circa il 1130 a Celico; egli stesso si qualifica "homo agricola a iuventute mea", smentendo così i suoi biografi che lo vogliono figlio di un notaio e cortigiano di Ruggero II. Un accenno dei Tractatus super quatuor Evangelia (p. 93, ed. Buonaiuti) parrebbe confermare i dati tradizionali che lo vogliono pellegrino, nei suoi anni giovanili, a Costantinopoli, nella Tebaide e a Gerusalemme, ma la questione presenta, nonostante ciò, delle difficoltà. Fra il 1150 e il 1155 G. dovette essere accolto nel monastero cisterciense di Sambucina per poi passare nell'abbazia di Corazzo, dove forse avvenne la sua professione monastica e dove in breve, ordinato prete, fu eletto abbate (1177). Desideroso di proporre per iscritto una sua interpretazione della Scríttura, G. si sarebbe, secondo le fonti canoniche, recato a chiedere l'autorizzazione per la sua opera presso Lucio III, allora (1182-1183) a Veroli, e avrebbe scelto, come sua residenza, Casamari. Ivi G. avrebbe condotto a termine la Concordia Veteris et Novi Testamenti, e, in parte, lo Psalterium decem cordarum. Tre anni dopo (1186) G. si sarebbe recato a Verona presso Urbano III che l'avrebbe sollecitato a intraprendere l'Expositio in Apocalipsim. Ma queste notizie, come l'Admonitorium col quale Clemente III l'8 giugno 1188 avrebbe sollecitato G. al compimento della sua opera, appaiono di assai dubbia autenticità. Certo G. fu a Casamari, in epoca non precisabile, ove conobbe il suo segretario, e futuro biografo, Luca. Nel 1191 G. abbandonava i cisterciensi e il monastero per ritirarsi con un solo compagno nell'eremo di Pietralata, donde in seguito passò sulla Sila ove fondò il monastero di S. Giovanni in Fiore (il nome è affatto misterioso) organizzando i monaci accorsi intorno a lui secondo una regola monastica, oggi perduta, che rappresentava un inasprimento della regola cisterciense. Il capitolo dei cisterciensi tentò di richiamare G., ma non pare che questi obbedisse. Una bolla di Celestino III del 25 aprile 1196 regolarizzava la posizione di G. e approvava la regola dei florensi.
Il Buonaiuti ha fatto l'ipotesi che uno schema della perduta regola sia tracciato nel capo 23 del libro V della Concordia. Alcuni atti ufficiali (bolla di Innocenzo III del 21 gennaio 1204; atti del IV concilio lateranense deì 1215; 2 bolle di Onorio III del 2 dicembre 1216 e del 27 dicembre 1220) e i documenti di una lunga controversia fra i basiliani del Patirion e i florensi a proposito dei pascoli della Sila (primo quarto del secolo XIII) mostrano che la posizione dei florensi fu, anche dopo la morte e la condanna delle dottrine di G., canonicamente regolare. Ma a ogni modo l'ordine florense non ebbe mai grande diffusione e nel sec. XIV se ne perdono le tracce.
Gli ultimi anni della vita di G. (morto nel 1201, probabilmente il 30 marzo) non possono certo per noi essere illuminati dai racconti, assolutamente incontrollabili, di Giacomo Greco, che ci presentano G. minacciare a Napoli Enrico VI che assediava la città (1191) o imporre a Costanza di prostrarsi ai suoi piedi a remissione delle sue colpe. Da alcuni diplomi sappiamo di privilegi concessi all'abbazia florense nel 1195 e 1198 rispettivamente da Enrico VI e da Costanza. Il testamento nel quale G., nel 1200, fa aperta professione di ortodossia, ricorda i suoi scritti e raccomanda ai suoi monaci di sottoporre le sue opere alla revisione ecclesiastica, non può essere considerata (l'autenticità del testamento è però difesa da H. Grundmann) se non come un pio falso dei florensi. Ammessa l'autenticità di esso, come delle altre notizie che ci mostrano tre papi solleciti nello spingere G. a portare a termine la sua opera, questa verrebbe ad assumere un carattere ufficiale che contrasterebbe col suo contenuto intimamente sovversivo nei riguardi della Chiesa ufficiale.
La visione profetica di G. parte dal presupposto di un "vivens ordo" esistente nella storia, per cui i fatti che ne segnano lo sviluppo avvengono secondo cicli paralleli, in modo che l'osservazione di questi rende possibile interpretare nel loro significato gli avvenimenti presenti e intuire il fine cui sono diretti. E poiché il cammino dell'umanità si compendia per G., esclusivamente nella rivelazione cristiana, G., che di questa ha un concetto tutto dinamico come di cosa non ancora giunta alla sua pienezza, è portato a interpretare cose, fatti e persone - le stesse realtà sacramentali - in cui si concretano le due tappe già concluse di questa rivelazione, l'economia del Vecchio e quella del Nuovo Testamento, non nel loro valore storico e sostanziale, ma come simboli atti a farci intendere la realtà futura in essi adombrata; come valori transitorî destinati a cadere di fronte a quelli, essenziali, che essi preannunciano. Anche se l'esegesi tipologico-storica, alla quale G. assoggetta ogni fatto e personaggio dei due Testamenti, è sostanzialmente fedele (H. Grundmann) alle forme esegetiche tradizionali e specialmente alle Formulae spiritalis intelligentiae di Eucherio di Lione (sec. V), l'originalità di G. è nella visione arditissima di rinnovamento religioso cui asserve la sua esegesi.
G. non è un teologo: mentre Abelardo, i Vittorini e Pier Lombardo, prospettavano il mistero trinitario come esempio tipico della possibilità di coesistenza fra l'Uno e il Molteplice, G. difende una concezione del dogma trinitario tutta economica e pragmatica. Nella storia dell'evoluzione spirituale dell'umanità vi è, per G., un mistero profondo di cui il mistero trinitario non è che manifestazione tipica e simbolistica. Se nella Trinità vi è molteplicità di ipostasi nell'unità di sostanza, generazione del Figlio dal Padre, processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio, anche nella manifestazione dell'unica grande realtà spirituale vi è, secondo G., una triplice molteplicità di epoche, filiazione della seconda dalla prima e processione della terza da entrambe. Nel primo stadio del mondo, iniziatosi con Mosè, ha manifestato la sua gloria il Padre; nel secondo, il Figlio; ma la rivelazione è destinata a esaurirsi solo con il ritorno di Elia che inaugurerà il terzo stadio nel quale lo Spirito sarà chiamato a manifestare completamente la sua gloria. E poiché lo Spirito non procede isolatamente dal Figlio, ma principalmente dal Padre, questi, presentandosi col Figlio stesso agl'inizî del secondo stadio, fece anche allora sfolgorare in parte quella gloria che rilucerà in pieno col ritorno di Elia.
Per G. l'economia del Figlio è ormai tramontata: egli già intravvede i segni preannuncianti l'alba del terzo stadio e non si arresta di fronte all'affermazione di essere lui il profeta e l'iniziatore della nuova, definitiva epifania divina. Il significato di G. è, tutto, in questa sua visione escatologica e nelle ragioni profonde che la suggeriscono, a illuminare le quali è necessario, per riflesso, tener presente la pittura che G. dà della nuova economia religiosa in via di manifestarsi. In essa la Chiesa ufficiale non potrà conservare il suo compito di amministratrice dei carismi. Alla Chiesa della gerarchia e dei simboli succederà, e il momento della rivelazione è prossimo, la Chiesa delle realtà spirituali. Dominio di un monachismo purificato; reame che avrà per cardini la contemplazione, la carità, la libertà, la pace: questi i tratti distintivi della Ecclesia Spiritus annunciata da Gioacchino.
A intendere questo annuncio nella sua genesi, è errato ricollegare G. alle tradizioni della chiesa greca o riavvicinare l'esperienza di G. a fonti tedesche. Ma è necessario invece tenere presente che G., con tutta probabilità servo della gleba per nascita, è giunto al suo riscatto e alla formulazione del suo messaggio attraverso l'iniziazione in una riforma monastica, quella cisterciense, di origine e caratteristiche squisitamente latine, la cui importanza sul terreno sociale come fattore di disgregamento dei superstiti istituti feudali - anche nell'Italia Meridionale - si palesa oggi sempre più evidente. Sarà infine necessario tener presente che il ciclo fattivo della vita di G. coincide con quello della maggior fortuna del regno normanno in Italia: tendenze, aspirazioni e crisi del quale, studî recenti hanno mostrato riflettentisi sulla complessa esperienza di Gioacchino.
Se nel movimento francescano e nelle sètte mendicanti moltiplicatesi intorno all'anno 1260, da G. designato come l'anno fatale (v. francescanesimo; spirituali; e voci ivi citate), è facile cogliere l'eco più risonante dell'annuncio profetico di G., le ripercussioni di questo (non arrestato nella sua diffusione palese e sotterranea dalla condanna formulata dal concilio lateranense del 1215 contro le affermazioni trinitarie di G., né da quella formulata ad Anagni il 23 ottobre 1255 contro l'Introductorius di Gerardo da Borgo S. Donnino) si rivelano sempre meglio come il fatto più saliente nella storia della spiritualità cristiana nei secoli seguenti, fino agli albori del Rinascimento e al Savonarola.
Opere: Delle numerosissime opere che vanno sotto il nome di G. si possono, con E. Buonaiuti, ritenere autentiche o quanto meno (H. Grundmann allunga sensibilmente questo elenco) fondamentali: la Concordia Veteris et Novi Testamenti (Venezia 1519); l'Expositio in Apocalipsim (Venezia 1627); i Tractatus super quatuor evangelia (ed. da E. Buonaiuti in Fonti per la storia d'Italia, LXVII, Roma 1930; l'autenticità di questa opera è ora fuori discussione); lo P. salterium decem cordarum (Venezia 1527). Sono ancora inediti un Adversum Iitdaeos e un De articulis fidei. Perduto è il De unitate seu essentia trinitatis contro Pier Lombardo, condannato dal concilio lateranense del 1215. Un manoscritto Liber de vera philosophia contro Ugo da S. Vittore e Pier Lombardo è stato, senza fondamento, attribuito a G. da P. Fournier. Le tre grandi opere esegetiche di G. (il titolo ne rivela il contenuto): Concordia, Expositio, Tractatus, debbono avere avuto la loro origine in corsi di predicazione monastica. Lo Psalterium espone (misticamente speculando su due strumenti musicali, il salterio esacordo e la cetra) l'interpretazione gioachimitica del dogma trinitario. Expositio e Concordia furono redatte contemporaneamente (l'Expositio era a metà nel 1196). A questi due scritti deve essere seguito lo Psalterium. Ultimi, cronologicamente, sono i Tractatus, rimasti incompiuti forse per la morte dell'autore.
Bibl.: Oltre all'introd. all'ed. cit. dei Tractatus, v.: H. Grundmann, Studien über J. von F., Lipsia 1927; id., Papsrprophetien des Mittelalters, in Archiv für Kulturgeschichte, XIX (1928); id., Liber de Flore; eine Schrift der Franziskaner-Spiritualen aus dem Anfang des XIV. Jahr., in Historisches Jahrbuch, XLIV (1929); id., Kleine Beiträge über J. von F., in Zeitschr. für Kirchengesch., XLVIII (1929); E. Buonaiuti, La modernità di G. da F., in Ricerche religiose, VI (1930); id., G. da F., San Bonaventura e San Tommaso, in Ricerche religiose, VI (1930); id., G. da F. ed Elia da Cortona, in Ricerche religiose, VII (1931); G. da F.: i tempi, la vita e il messaggio, Roma 1931; id., G. da F., in Rivista storica italiana, XLVIII (1931); H. Bett, J. of F., Londra 1931; E. Anitchkof, J. de F. et les milieux courtois, Roma 1931; G. La Piana, J. of F., in Speculum, 1932 (ottima rassegna degli studî gioachimiti, alla quale si rimanda per la letteratura anteriore agli scritti del Grundmann e del Buonaiuti).