GIANCARLI, Gigio Artemio
Nato a Rovigo, si formò alla corte estense di Ferrara e visse a Venezia. Ne ignoriamo la data di nascita, da collocare comunque entro i primi decenni del XVI secolo.
Scrittore multiforme, stando agli elogi che gli rivolge il contemporaneo A. Calmo in una lettera del 1548, il G. compose tragedie, sonetti, egloghe, farse, ma il suo nome rimane legato soprattutto al mondo della commedia popolare veneta cinquecentesca, in particolare alle sue due sole opere pervenuteci, la Capraria e la Zingana (o Cingana), composte e rappresentate nel giro di soli due anni prima del 1545. Per sua stessa ammissione, il G. non diede alle stampe altre delle sue opere, al fine di preservarle dalle critiche. È noto solo il nome di un'altra commedia: la Pelegrina. Dal prologo della Capraria risulta che il G. ne fu anche interprete.
La Capraria (edita a Venezia da F. Marcolini nel 1544 e da B. Cesano nel 1553), in cinque atti e scritta con il benestare di Ippolito d'Este, è ambientata a Ferrara; il nome le deriva dalle capre che il villano Spadan regala al suo vecchio padrone. Nella città estense si incontrano casualmente, senza conoscere la loro vera identità, il vecchio greco Gerofilo e i due figli Demetrio e Campaspe, celati rispettivamente sotto gli pseudonimi di Afrone, Lionello e Dorotea. I due uomini si innamorano della fanciulla, che è sotto la protezione del lenone Famelico, e, per conquistarla, ricorrono all'aiuto dei servi: Afrone al bieco Brusca, cinico e infedele; Lionello all'astuto e faceto Ortica. Questi, dopo aver beffato Famelico e assicurato il successo al padrone, al momento delle nozze, quando i tre si riconoscono padre e figli, finisce per ottenere in moglie la contesa Dorotea in premio per l'impegno e la fedeltà.
L'intreccio e i modi narrativi sono facilmente riconducibili ai meccanismi del dramma classico, così come la tipologia del servo scaltro, la contesa amorosa che vede padre e figlio rivali e soprattutto i motivi dell'incontro e dell'agnizione, che la commedia erudita eredita dal romanzo greco. L'espediente con il quale viene introdotto nel prologo l'argomento della commedia, se non è originale, risulta senz'altro gradevole ed efficace: in un immaginario dialogo fra tre personaggi, Tasio, Tiberio e Gigio, il primo, non riuscendo a sapere dagli attori cosa si accingano a rappresentare, ricorre alle arti di una maga, che permette al giovane Tiberio - identificato con l'attore Tiberio d'Armano - di vedere la commedia messa in scena da alcuni spiriti. Il ragazzo, dopo aver descritto con grande divertimento gli eventi e i protagonisti, si mischia al pubblico, lasciando così la scena a Gigio, che, dichiaratosi autore della commedia, chiede il benvolere del pubblico e dà inizio alla rappresentazione.
L'azione brillante, il linguaggio vivace e spontaneo, dalle espressioni colorite e di gusto faceto, sebbene l'impianto si ispiri agli schemi tradizionali, conferiscono alla Capraria un'intonazione popolareggiante, destinata ad accentuarsi nella successiva Zingana.
La pubblicazione nel 1545 a Mantova di questa seconda commedia del G., e di alcune opere di altri autori, per l'impresa tipografica del veneziano Venturino Ruffinelli, fu permessa dal cardinale Ercole Gonzaga, che figura come dedicatario della Zingana. Il Gonzaga, concedendo al Ruffinelli di esercitare la propria professione nella città, dava nuovamente vita alla produzione libraria locale, depressa dagli eventi politici, e metteva fine a un silenzio editoriale iniziato nel 1519, anno della morte di Francesco Gonzaga.
Rappresentata nello stesso anno in cui fu data alle stampe, l'azione della Zingana si svolge a Rovigo, dove gli anziani Acario e Barbarina trovano un diversivo al loro matrimonio ormai datato, innamorandosi rispettivamente dei giovani Stella e Cassandro. Tra beffe e arguzie varie, nonostante l'intervento di una zingara (che dà il titolo alla commedia), i due ragazzi finiranno invece per sposare la prima il servo Spingarda, il secondo Angelica, mentre i due vecchi coniugi si consoleranno ritrovando Medoro, il figlio perduto in tenera età, proprio grazie alla zingara, che lo aveva rapito. Nel prologo torna Tiberio fanciullo, che definisce la commedia un capriccio composto dall'autore in sole otto ore. Nell'argomento si fa esplicito riferimento alla natura popolareggiante dell'opera, che non si limita alla caratterizzazione di personaggi quali Garbuglio villano e Martino facchino bergamasco, ma che trova riscontro soprattutto nella lingua. L'uso dei dialetti, dal veneziano al pavano al bergamasco, è ampio ma non esclude il toscano letterario, cui ricorrono buona parte dei personaggi. L'intreccio si ispira agli espedienti propri del comico e, tra bastonature, ubriacature, travestimenti, l'azione si fa movimentata e l'atmosfera giocosa. A dare, poi, carattere e forza espressiva ai dialoghi contribuisce l'impiego degli idiomi più disparati, dal greco al bizzarro gergo della zingara, frutto della commistione di voci aramaiche, ebraiche, arabe, innestate sul veneto o sull'italiano (cfr. Pellegrini).
Anche se le analogie con la commedia classica sembrano rimanere sul piano formale, in alcune situazioni la Zingana ricorda la Calandria del Bibbiena o la Vaccaria e l'Anconitana del Ruzzante, piuttosto che i Menaechmi plautini, mentre altri motivi trovano riferimento nelle commedie del Dolce, dell'Ariosto e dell'Aretino. Nonostante ciò, la Zingana, che senza dubbio ha incontrato più della Capraria il favore della critica, sembra essere stata apprezzata dai contemporanei, al punto che alcuni suoi argomenti rivivono, tra gli altri, nella Notte e nell'Ermafrodito di Girolamo Parabosco. La sua fama varcò i confini dell'Italia, forse grazie anche alle rappresentazioni delle compagnie teatrali itineranti: la Medora dello spagnolo Lope de Rueda risulta esserne una traduzione fedele.
Definire, come è stato fatto, aulica la Capraria e popolare la Zingana significa contrapporle in una rigida antinomia che impedisce di individuarne i caratteri comuni. In realtà, l'inserimento dei motivi propri della commedia popolare in una struttura che ricalca gli schemi del teatro erudito denuncia in entrambe le opere l'esigenza di rinnovamento che finirà per dare vita alla commedia dell'arte. Nel G. s'intravede la perdita degli elementi più spontanei e genuini, costretti nella struttura tradizionale e avviati a una normalizzazione, ma la sua abilità sta nell'attitudine alla creazione estemporanea e nell'insistere su motivi peculiari della mentalità rinascimentale, quali la celebrazione della fortuna e dell'ingegno umano, il gusto per la beffa, il motto arguto. Di particolare efficacia nel G. è l'arte del monologo, che rifugge da accenti gnomici e convenzionali, e resta fedele alla vivacità mimica propria del teatro dialettale veneto. La Zingana è edita in Teatro veneto, a cura di G.A. Cibotto, Parma 1960, pp. 423-557.
Il G. morì prima del 1561.
Fonti e Bibl.: F.S. Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, V, Milano 1744, p. 228; E. Teza, Voci greche ed arabe nelle commedie del G., in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, VIII (1899), pp. 135-145; A. Gaspary, Storia della letteratura italiana, II, 2, Torino 1901, p. 288; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano 1902, pp. 306, 318, 558; A.L. Stiegel, Lope de Rueda und das italienische Lustspiel, in Zeitschrift für romanische Philologie, XV (1902), pp. 185 ss.; I. Sanesi, La commedia, I, Milano 1911, pp. 425-431; D.E. Rhodes, A bibliography of Mantua, in La Bibliofilia, LVIII (1956), p. 170; E. Cesa Bocci, La commedia popolareggiante veneta del '500: G.A. G., in Belfagor, XVI (1961), pp. 90-95; G.B. Pellegrini, Gli arabismi nelle lingue neolatine, II, Brescia 1972, pp. 601-634; I. Paccagnella, Plurilinguismo letterario: lingue, dialetti, linguaggi, in Letteratura italiana (Einaudi), 2, Produzione e consumo, Torino 1983, pp. 132, 158.