CAROLI, Gian Francesco Nazareno
Nato a Modena il 23 ott. 1821 da Giuseppe e da Maria Rabitti, appena compiuti i primi studi entrò nell'Ordine dei minori conventuali assumendo il nome di Giovanni Maria (1838). Nel seminario di Ferrara, e poi in quello di Bologna, pubblicò le prime opere, segnate da una forte aspirazione ascetica e caratterizzate insieme da un notevole apparato erudito (Vita di S. Antonio, Bologna 1840; Vita di S. Maria di Nazareth, Bologna1841), ed una raccolta di poesie religiose (Le voci dell'anima, Bologna 1842). Studiò l'ebraico e il caldaico sotto la guida del canonico G. Fabiani, scolaro di G. Mezzofanti, e completò gli studi di filosofia e teologia laureandosi (maggio 1846) nel collegio di S. Bonaventura a Bologna. Nello stesso anno fu nominato membro del collegio filosofico-matematico dell'università pontificia di Ferrara. Seguirono le designazioni a ministro provinciale e commissario generale dei minori conventuali.
Sin dal 1843 era entrato in contatto con A. Rosmini, ed il carteggio - in parte pubblicato nell'Epistolario rosminiano - rivela come il C. negli anni 1845 e 1846, mentre ferveva la querelle filosoficatra V. Gioberti e il Rosmini, si fosse con crescente consapevolezza orientato verso l'ontologia di questo. Espresse il suo pensiero in una opera manoscritta, le Tesi filosofiche, che presentò al Rosmini in un colloquio nella primavera del '47 a Verona; le Tesi furono molto lodate e nel corso di quell'incontro, cui partecipò anche G. Cavour, il Rosmini affidò al giovane conventuale il compito di portare avanti la polemica contro il Gioberti.
"Mi parlò - ricorda il C. - della rumorosa diatriba dal Gioberti scatenata contro di lui e la sua scuola… e volle che riprendessi con l'anonimo la polemica, onde non dare nell'occhio di Gioberti e dei giobertiani ch'io fossi un rosminiano. Mi promise aiuti, mezzi, consigli, libri per guida, pubblicità per le opere che io avessi pubblicato contro Gioberti", L'importanza di questa tarda e poco conosciuta ammissione - confermata per altro da qualche passo dell'epistolario rosminiano- sta nel fatto ch'essa consente di correggere le biografie del Rosmini che fanno cessare nel 1847 la disputa col Gioberti e datano da quell'anno la loro conciliazione.
Nel pieno della lotta politica del '48, dunque, sotto lo pseudonimo di T. Zarelli e con la falsa indicazione di Parigi furono pubblicati due volumi del C.: Il sistema filosofico di V. Gioberti, e Il sistema teologico di V. Gioberti.Scopodell'opera "scritta pel bene della patria e della religione, per mettere in guardia i giovani italiani", era quello di smascherare "il panteismo e il razionalismo giacenti in fondo alle teorie giobertiane".
Queste erano considerate "un travestimento con frasi italiane e cattoliche del pensiero di Schelling e di Hegel" e pericolose non solo in filosofia e in teologia ma anche in politica, ove "immedesimando la civiltà moderna dei parlamenti, dei congressi, dei giornali, dei ministeri democratici e dei giureconsulti colla carità evangelica sovrannaturale" rischiavano di "trascinare la società d'Europa in un precipizio". Altrettanto ferma era la condanna dell'aspirazione a "svolgere e rinnovare" le dottrine e l'organizzazione ecclesiastica.
Il Gioberti, anche perché questi scritti erano serviti a motivare una solenne richiesta dell'espiscopato per la condanna della sua opera, rispose all'"ignoto calunniatore" col Discorsopreliminare che occupa quasi per intero il primo dei due tomi della Teorica del sovrannaturale nella seconda edizione di Capolago del 1850. Il C. (che nel frattempo, pubblicando a Bologna la seconda edizione degli scritti antigiobertiani, era uscito dall'anonimo senza però accennare in alcun modo ai suoi rapporti col Rosmini) rimbeccò con un nuovo libro, A un discorso nuovo di Gioberti prime note per G. M. Caroli, Ferrara 1851.
Seguirono nel convento francescano di Bologna alcuni anni di raccoglimento e di studi nel corso dei quali gli interessi delC. subirono quelle profonde trasformazioni che sono documentate dalla pubblicazione nel 1858 a Bologna d'un'opera completamente nuova nella impostazione e nel linguaggio: Del magnetismo animale ossia mesmerismo in ordine alla ragione e alla rivelazione.
Il C. è mosso ancora da un intento apologetico: la larghissima diffusione della letteratura sul magnetismo e sui fenomeni parapsicologici avanzante l'ipotesi della radice fisica dei fatti di coscienza gli sembrava minacciare i presupposti della fede e richiedere l'intervento del magistero ecclesiastico. Ma, contrastando l'opinione allora diffusa nella cultura cattolica, afferma la piena credibilità, cioè la verità storica, delle manifestazioni spiritiche e magnetiche, ed infatti la maggior parte delle seicentoquarantasei pagine dell'opera consiste nella descrizione attentamente documentata dei fenomeni fisio-psicologici del mesmerismo: dalla trasmissione del pensiero alle somatizzazioni, al sonnambulismo, alle premonizioni, alle "estasi magnetiche". Tutta la sfera psicologica e parapsicologica è analizzata dal C. con trasparente simpatia ed interesse, mentre appare costante il riferimento ai presupposti fisiologici della psicologia.
Interessanti sono soprattutto le conclusioni critiche e teologiche dell'opera: il C., che nonostante le novità di certe argomentazioni rimane ancora saldo sui fondamenti ontologici e ortodossi della sua filosofia, respinge tanto le spiegazioni "materialistico - fluidiche" del magnetismo, quanto le altre "psicologico soggettive" e persino le "angeliche", per approdare ad una ipotesi che gli appare la sola possibile o "altamente probabile" quella dell'origine "demoniaca" dei fenomeni parapsicologici. La soluzione raggiunta, se incontrò l'approvazione dell'autorità ecclesiastica che promosse una seconda edizione del volume inserendolo nella "Biblioteca cattolica" (Napoli 1859), non soddisfece a lungo il C. che, avviatosi ormai allo studio della fisiologia e della psicologia sperimentale, si orientò verso una profonda revisione del suo originario rosminianesimo e verso la formulazione di quella dottrina della "forza pensante" che negli anni della sua maturità lo porterà fuori dall'ortodossia cattolica.
Nel contempo anche il suo giudizio sulla realtà politica appare profondamente mutato. Quando nel giugno '59 gli Austriaci abbandonarono Bologna il C. accettò di collaborare con il Comitato liberale e si rivelò molto vicino agli elementi più moderati di questo, a M. Minghetti e ad A. Montanari. Negli scritti che pubblicò sul Conservatore e sul Felsineo affermò di voler cooperare alla "liberale educazione della gioventù" impegnandosi a pubblicare "corsi ed opuscoli filosofici che distolgano le menti dalle erronee dottrine assuefacendole alle nuove condizioni della scienza e della vita libera e civile" e fece atto solenne di adesione "allo splendido astro dei Savoja, salute e liberazione di tutta Italia". Considerando che negli articoli e discorsi di questo periodo, accanto alle professioni liberali e nazionali risuonano anche accenni polemici contro "le tenebre e i tranelli del gesuitesimo" e la denuncia della prassi autoritaria e formale del cattolicesimo, appare come nel '59 fossero già presenti tutti gli elementi di quella crisi che esploderà l'anno seguente quando il C., reagendo alla condanna dell'autorità ecclesiastica, romperà l'obbedienza e lascerà l'Ordine francescano. Motivava la sua scelta con "l'amore d'indipendenza e libertà" ed insieme dichiarava di rimanere "credente in ispirito".
Il prefetto L. Zini, lo storico neoghibellino dell'unificazione nazionale, lo nominò in quello stesso anno 1860 consigliere scolastico per la provincia di Ferrara e gli fece poi tenere l'insegnamento di filosofia nel liceo Ludovico Ariosto di quella città, ma l'ostilità incontrata negli ambienti dominati dai conservatori spinse il C. a chiedere il trasferimento nel Mezzogiorno. Il ministero lo destinò al liceo Giannone di Benevento, e qualche anno dopo al liceo Giordano Bruno di Maddaloni. In questo periodo contrasse il matrimonio dal quale ebbe due figli. Insegnò filosofia a Maddaloni sino al 1879, quando ottenne il trasferimento al liceo Vittorio Emanuele di Napoli ove rimase fino al 1888, anno del suo collocamento a riposo. Concorse due volte senza successo alla cattedra di filosofia teoretica nelle università di Milano e Bologna, ma ebbe altri e diversi riconoscimenti accademici e onorifici.
Risalgono al 1863 i primi contatti con la napoletana Società emancipatrice del sacerdozio italiano, un'organizzazione che raccoglieva i consensi del clero liberale, avanzava le istanze - d'una religiosità rispettosa del dogma ma interiormente rinnovata ed esigeva che la Chiesa si movesse in armonia con gli ideali della società democratica e dello Stato nazionale. Il C., che fu eletto segretario generale e divenne poi teologo ufficiale della società, collaborò al giornale dell'associazione, L'Emancipatorecattolico, e raccolse gli articoli variamente pubblicati in quegli anni (da ricordarsi gli scritti apparsi su l'Italia diretta da F. De Sanctis e da L. Settembrini) in alcuni volumi: Articoli filosofici-religiosi, Napoli 1865; Lettere ai cattolici per Timoteo e Filarete, Napoli 1868; Chiesa e Stato, lettere al Parlamento italiano, Napoli 1869.
In questi scritti il C. divulga il pensiero dell'associazione soprattutto per quanto riguarda l'organizzazione democratica della Chiesa, la polemica antitemporalista, il matrimonio dei sacerdoti, ma, soprattutto in alcuni articoli raccolti nell'ultimo volume ("Del falso cattolicesimo", "La fede falsificata", "La cristiana obbedienza"), lascia trasparire i segni d'una ulteriore profonda trasformazione della sua religiosità. Egli, infatti, andando oltre i cauti compromessi della Società emancipatrice, scorge nelle singole confessioni religiose le manifestazioni diverse del divino che si realizza gradualmente nella storia e pone al culmine di questo processo un suo cristianesimo extratemporale ed ecumenico, sintesi armoniosa delle diverse Chiese cristiane, "religione dell'avvenire".
La polemica religiosa del C., negli ultimi decenni della vita, si rivolse da una parte contro le manifestazioni che definiva superstiziose del cattolicesimo ufficiale, dall'altra contro la miscredenza e l'ateismo del pensiero laico e scientifico. La stessa tenace permanenza dell'impianto religioso del suo pensiero si rivela nella definizione dei rapporti tra Stato e Chiesa. Infatti, commentando nell'88 l'enciclica Libertas, il C. pur riconoscendo una larga sfera d'autonomia alla ragione umana, cui spetta di organizzare le istituzioni politiche, afferma che la radice della società è in Dio, ed auspica che la "civiltà moderna si conform[i] alla Divina Sapienza".
Per quanto riguarda la storia propriamente filosofica, solo le opere scritte nell'ultimo decennio consentono un'adeguata collocazione del suo pensiero. Dopo tanti titoli divulgativi e scolastici, il volume apparso a Napoli nel 1885 (Sul metodo nella scienza del pensiero. Studi e proposte) segna infatti il definitivo superamento del vecchio rosminianesimo e la teorizzazione di quello che il C. considera il suo nuovo "metodo naturale". Come le scienze positive muovono dall'esistenza di forze reali, così la scienza del pensiero deve partire dal fatto semplice e evidentissimo dell'esistenza d'una "forza pensante", l'identificazione della quale consente di superare la duplice unilateralità degli ontologisti e dei positivisti. Dall'analisi della "forza pensante" si ricavano induttivamente le leggi del pensiero, che nella Noologia edita a Napoli nel 1897 il C. schematizza nelle categorie dell'affermazione e della negazione. Nell'ultima opera, Principi di filosofia nuova, pubblicata postuma nel 1934, l'interesse del C., con una di quelle brusche impennate che caratterizzano la sua vicenda intellettuale, si rivolge al problema della struttura della materia, ed esaminando "la forza imponderabile dell'elettrone privo di sostanza", si riallaccia alla tradizione della monade bruniana ma in realtà prelude alla concezione del Bergson. Aveva elaborato questa opera nella solitudine d'una modesta casa di Antignano, sulla collina di Napoli, ove la morte lo colse il 25 dic. 1899.
Altri scritti: Lezioni di filosofia, Bologna 1863; Il razionalismo del Franchi, Bologna 1863; La vita di Gesù del Renan, Bologna 1863; Matematica e panteismo per l'abate Maigno, trad. con appendice per G. M. Caroli, Bologna 1864; Ai venerabili pastori vescovi della Chiesa cattolica congregati nel Concilio Vaticano l'anno 1869. Memorandum dei cattolici italiani, Napoli 1869; Nuovo corso di pedagogia per le scuole normali, Bologna 1870; Della legge e del voto di castità, Napoli 1874; Logica con nuovo metodo, Napoli 1876; Piccola psicologia, Napoli 1878; Dell'etica positiva, Napoli 1880; La scienza del Vaticano nella condanna del Rosmini e nell'enciclica Libertas, Napoli 1888; Filosofia elomentarissima dedicata alla gioventù studiosa, Napoli 1888; Il pensiero filosofico, Napoli 1899.Sono apparse postume: Programma del neopitagorismo, Napoli 1931; Principi di filosofianuova, III, 1a puntata (sic); I nuovi orizzonti della filosofia ovvero del neopitagorismo, filosofia scientifica (ediz. a cura del figlio Enrico Caroli), Napoli 1934.
Fonti e Bibl.: Gli inediti del C. sono conservati presso l'Accad. di scienze di Modena; 28 lettere inedite del C. al Rosmini sono nell'Arch. rosminiano di Stresa. Per quanto riguarda la polemica C.-Gioberti e il suo retroscena rosminiano sono da guardarsi, oltre alle lettere del Rosmini nell'Epistolario, Casale Monferrato 1887-1896 (cfr. indice sub nomine anni 1843-1851), la Civiltà cattol., s. 1, V (1851), pp. 344-580, e VI, p. 206, ma soprattutto l'Introduz.e le Appendici dei cit. Principi di filos. nuova, III, Napoli 1934, ove Enrico Caroli, riassorbendo altri suoi studi precedenti, pubblica documenti e pagine autobiografiche inedite del padre. Nella introduzione della stessa opera è anche una completa ma farraginosa bibliografia concernente l'opera filosof. del Caroli. Per una collocaz. storica del suo pensiero cfr. soprattutto: A. Torre, Ilpensiero filosofico di G. C., Napoli 1899; C. Cantoni, La filosofia di G. C., in Riv. filos., I(1900), 4, pp. 358 ss.; G. M. Ferrari, G. C. e la sua dottrina filosofica, in Atti e Mem. della R. Acc. di scienze, lettere e arti di Modena, s. 4, I (1926), pp. 3-36.