GAZZOLA, Gian Angelo
Nacque il 16 genn. 1664 a Piacenza, primogenito di 16 figli, da Felice senior, mercante elevato alla nobiltà da Ranuccio II Farnese, e da Angela Leoni.
Ebbe un'ottima educazione, fondata sulle discipline militari e lo studio delle lingue francese, spagnola e tedesca. Nominato gentiluomo di camera da Francesco Farnese, nel 1697 sposò Margherita M. Membriani, che gli diede nel 1698 l'unico figlio, Felice, futuro generale di Carlo di Borbone.
Nell'anno successivo acquistò per 50.000 lire il palazzo Fontana in Piacenza (ora sede dell'Istituto "Gazzola"), confacente alla dignità di conte di Settima e Sparavera, che ottenne dal Farnese nel 1699. Nel 1700 entrò a far parte del Consiglio generale cittadino e nel 1702 era "collaterale" di Piacenza, ossia ispettore delle truppe ducali nei settori amministrativo, di polizia militare e reclutamento.
La subalternità del Ducato di Parma e Piacenza rispetto alle potenze coinvolte nella guerra di successione spagnola impedì al G. di mettersi alla prova in battaglia, portandolo invece a difendere lo Stato - minacciato e impoverito dai quartieri di truppe imperiali sul suo territorio - con le armi della diplomazia e dei negoziati.
Il G. esordì nel 1702 sedando un tumulto scoppiato fra i soldati farnesiani e il presidio pontificio di Piacenza, chiamato dal duca Francesco a garanzia della propria neutralità e col recupero, in giugno, delle salmerie ducali sequestrate dagli Austriaci. Seguirono analoghi incarichi, intervallati solo da un breve viaggio a Vienna, con A. Scotti, all'inizio del Settecento.
A questo periodo risale anche l'amicizia con Giulio Alberoni, nata in casa di mons. A. Rancovieri. Fu un rapporto molto profondo, specie all'inizio, fatto di condivisione dell'atteggiamento ostile nei confronti degli Austriaci. Con gli anni subentrò forse l'invidia per la brillante carriera del cardinale e una certa sufficienza nei confronti di chi, secondo il Nasalli, era nato enfiteuta della sua famiglia. Tuttavia, anche quando sarà costretto a rompere questo legame, lo farà solo per ragioni politiche, tanto che in nessuna lettera dell'Alberoni, anche del periodo più tardo, si trovano giudizi malevoli sul Gazzola.
Nel 1713, alla fine della guerra di successione spagnola, quando aveva ormai quasi 50 anni ed era diventato tenente colonnello, ebbe finalmente un incarico di prestigio, la legazione a Londra.
Le sue istruzioni, datate 28 marzo 1713 e suggerite dal ministro I. Rocca, concernevano ufficialmente la riproposizione delle istanze farnesiane per il recupero del ducato di Castro e Ronciglione e dell'isola di Ponza, oltre al pagamento da parte degli Austriaci di una somma a titolo di indennizzo per le devastazioni provocate dal loro esercito nei territori ducali. Un capitolo segreto ordinava però al G. di cercare l'appoggio inglese per la "redenzione della libertà d'Italia" e "conservare tutto l'intero Nostro Dominio" ingrandito, se possibile, dalla successione di Toscana.
Partito subito per l'Inghilterra, nonostante soffrisse di calcolosi, e senza portare con sé la famiglia, sostò a Utrecht solo un giorno, il 18 aprile, per consultarsi con l'inviato farnesiano al congresso per la pace, il conte O. Sanseverino.
A Londra il G. divenne in breve tempo buon conoscitore della lingua inglese e dei meccanismi parlamentari, rapidamente ottenne udienza dalla regina Anna Stuart e dai suoi ministri R. Harley, conte di Oxford, H. Saint-John, visconte di Bolingbroke, e W. Legge, conte di Dartmouth, responsabile per gli affari dell'Europa meridionale.
Il G. cercò di frenare la propensione inglese a rafforzare il duca di Savoia per controbilanciare il peso dell'Austria in Italia; tentò cioè di fare dello Stato farnesiano il portavoce degli altri prìncipi italiani, i quali però non appoggiarono affatto la diplomazia del Farnese. Trovò un alleato e un amico in Charles Mordaunt, conte di Peterborough, inviato ambasciatore a Torino nel novembre 1713.
Da Londra il G. organizzò a Colorno, il 23 luglio 1714, un incontro segreto tra il Peterborough e Francesco Farnese all'insaputa degli Austriaci, da cui scaturì un progetto di lega tra i principi italiani che sarebbe stato sostenuto dal governo inglese. La morte della regina Anna nell'agosto 1714 ne impedì tuttavia il concreto sviluppo.
All'inizio del regno del successore, Giorgio di Hannover, il G. riuscì a conquistare la stima del nuovo potente ministro degli esteri whig, lord James Stanhope, ma non a far rivivere il progetto della lega. Anzi, proprio il credito che godeva negli ambienti governativi inglesi, insolito per gli ambasciatori non di corona come lui, finì con l'esporlo a rischiosi coinvolgimenti nella politica interna inglese. Per non esporre inutilmente il proprio governo, nel 1715 il G. chiese di essere rimpatriato.
Non per questo cessò di adoperarsi per una successione farnesiana, o almeno italiana, in Toscana: una sua relazione in francese, preparata per lo Stanhope, dove metteva in luce l'importanza del porto di Livorno per i traffici inglesi e l'inopportunità che cadesse in mani imperiali, ottenne un certo ascolto, ostacolato però dal profilarsi del timore di una mancata discendenza degli stessi Farnese, appena imparentatisi col re di Spagna.
In maggio Francesco lo sostituì con C. Re, ma prima di ripartire per l'Italia ebbe ancora l'onore di comunicare a Giorgio I la notizia della morte di Luigi XIV (1° sett. 1715), essendone stato impedito l'ambasciatore inglese in Francia. La sua missione così si concluse ufficialmente il 7 ottobre.
Tornato a Piacenza, dove venne celebrato da U. Landi con un'ecloga, il 13 febbr. 1716 il G. assunse il comando militare della piazza e delle artiglierie, curando l'allestimento del reggimento "Costantiniano", che formò perlopiù con vagabondi e disoccupati, inviati a combattere in Dalmazia sotto la bandiera veneziana nel maggio 1718.
Il G. non smise tuttavia di dedicarsi alla politica estera, soprattutto attraverso la corrispondenza col Peterborough, che dapprima ebbe per oggetto - fintanto che l'influenza farnesiana sulla corte spagnola, tramite l'Alberoni, fu notevole - proposte di mediazione per il problema della successione in Francia e poi, dopo la battaglia di Capo Passero, tentativi di indurre Filippo V alla pace. Finché il Peterborough gli propose, il 3 apr. 1719, di sacrificare la persona del cardinale per salvare il duca Francesco, sul quale si addensavano da tutta Europa le accuse di aver indotto la Spagna alla guerra. Il G. non poté rifiutare il tradimento dell'amico e nell'ottobre 1719 si recò in incognito presso Novi Ligure, dove si trovava il diplomatico inglese, per concertare con lui, in nome del ministro A. Scotti, la congiura per la cacciata dell'Alberoni dalla Spagna. Chiese invano che, in premio del sacrificio, il congresso per la pace si tenesse proprio nel territorio neutrale di Parma e Piacenza.
Tra il 1720 e il 1721 tornò un'altra volta in Inghilterra, insieme con il figlio, per una missione di cui restano solo pochi e vaghi cenni nei documenti. Certo è che alla morte del duca Francesco (1727) terminò anche la sua attività di ambasciatore.
Il nuovo duca, Antonio Farnese, gli lasciò il grado militare, che fu confermato poi dalla duchessa Sofia di Neuburg. In nome di lei riprese possesso della cittadella di Piacenza quando il 30 dic. 1731 le truppe imperiali del conte A. Stampa lasciarono la città, dove si erano installate dopo la prematura morte dell'ultimo Farnese.
Carlo di Borbone, la cui successione a Parma realizzava il coronamento della politica farnesiana in Spagna nonché delle fatiche del G., gli concesse Cerreto Landi e Macinesso con titolo comitale, oltre a una brillante carriera per il figlio Felice, e gli avrebbe dato di più se lo stesso G. non avesse ricusato altri incarichi per ragioni d'età, e il Borbone non avesse lasciato presto Parma per Napoli (1734).
Infatti il 3 ott. 1735 la pace di Vienna assegnava Parma e Piacenza all'Austria. Ritirandosi, gli Spagnoli prelevarono da Piacenza tutto quanto riuscì loro di asportare, comprese le artiglierie comandate dal G., che in parte erano di proprietà cittadina. Il governo austriaco le bloccò a Genova e gliene restituì il comando, aumentato, anzi, con quello della fanteria ducale, nel 1736.
Però il 1° dic. 1736 il G. morì. Fu sepolto nella chiesa di S. Vincenzo a Piacenza, dopo un grandioso corteo funebre scortato proprio da quei soldati austriaci che per tutta la vita aveva cercato di tenere lontani dalla sua città.
Fonti e Bibl.: Le minute della corrispondenza diplomatica del G., trascritte in volume, sono a Piacenza presso l'Arch. della famiglia Gazzola, Fondo Gazzola moderno, Copialettere conte G.A. Gazzola. È andato distrutto durante la seconda guerra mondiale, nell'incendio dell'Archivio Sola-Busca di Milano, il carteggio con il conte G. Arconati-Visconti, relativo al periodo successivo alla missione in Inghilterra. C. Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, XII, Piacenza 1766, pp. 295, 326, 404; G. Nasalli-Rocca, Legazione a Londra del conte G.A. G. dal 1713 al 1716, in Atti e memorie delle Rr. Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, VII (1874), pp. 47-76; Il conte G.A. G. di Cereto, Sparavera e Macinesso, Piacenza 1883; E. Bourgeois, Le secret des Farnèse. Philippe V et la politique d'Alberoni, in Id., La diplomatie secrète au XVIIIe siècle, ses débuts, II, Paris [1909], pp. 268, 272, 366 s., 369 s.; F. Castagnoli, Il cardinale Giulio Alberoni, I, Piacenza 1929, pp. 11 s., 27, 114, 301, 368, 373 s., 278.; G. Di Gropello, Il generale Felice Gazzola, in Il Gazzola. 1781-1981, a cura di F. Arisi - G. Di Gropello - G. Mischi, Piacenza 1981, pp. 11-28, 33; G. Mischi, L'Istituto Gazzola, ibid., pp. 91, 135, 137.