GIAMBOLOGNA
. Jehan Boulogne detto il G., scultore, nacque a Douai nel 1529, morì a Firenze il 13 agosto 1608. Il padre voleva farne un notaio, ma il giovine nel 1540 si recò ad Anversa a imparare la scultura da Iacopo Dubroucq. Cinque anni dopo si unì a due pittori suoi compatrioti, Francesco e Cornelio Floris, per recarsi a Roma. Qui si diede in un primo momento allo studio delle sculture antiche per poi accostarsi a Michelangelo, allora salito in gran fama. Vero o falso l'aneddoto raccontato dal Baldinucci sui rapporti fra G. e Michelangelo, è certo che il consiglio di questo fu prezioso al giovane scultore, il quale riusci a temperare l'indole sua con una più libera ricerca degli effetti; onde egli poté raggiungere fra tutti i seguaci di Michelangelo un posto a parte. A Firenze si recò nel 1562 e qui poté dar prova della sua valentia tecnica mercé la protezione di Bernardo Vecchietti.
Riuscitogli vano il tentativo di vedersi affidata l'esecuzione di una fontana per la Piazza della Signoria di quella città, fu preso al proprio servizio da Francesco de' Medici che aveva ammirato e acquistato da lui una Venere e che gli commise il gruppo, oggi perduto, di Sansone che atterra il Filisteo. Nel 1563, decisa da Pio III l'erezione sulla Piazza Maggiore di Bologna di una fontana, il pittore siciliano Tomaso Laureti che aveva preparato il disegno additò il G. come colui che avrebbe potuto svilupparlo. La fusione delle figure era stata affidata al fonditore fiorentino Zanobi Portigiani, ma dissidî sorti in seguito con il G. obbligarono questo a condurre da solo la non facile impresa, onde certe manchevolezze dovute alla sua inesperienza. Tuttavia la fontana bolognese è riuscita uno dei capolavori dell'arte e il capolavoro del G. per lo slancio e la grandiosità impressi alla figura di Nettuno che sembra con la destra distesa quietare i flutti, per la vivacità con cui sono trattati i putti coi delfini sprizzanti acqua dalla bocca, per la pienezza delle forme delle sirene che fiancheggiano la base e gettano acqua dal petto premuto dalle loro mani: un insieme insomma che s'impone per armonia di linee, eleganza di particolari e abilità tecnica non comune.
La fama che gli procurò quest'opera, compiuta nel 1567, invogliò Caterina de' Medici ad affidargli l'esecuzione della statua di Enrico III, ma Francesco I, perché il G. non si allontanasse dalla città, gli commise subito il gruppo di Firenze che sottomette Siena, gruppo il cui titolo fu poi mutato in quello che serba tuttora, al Museo Nazionale, della Virtù che abbatte il Vizio. In quest'opera il G. non riuscì troppo felicemente: superficiale la modellazione, insignificante la figura femminile. Non molto superiore è la statua del Nettuno che egli eseguì per l'isolotto nel giardino di Boboli, ma a risollevarsi da questi e altri lavori, ecco il Mercurio volante da lui modellato e fuso in bronzo (1572) per la fontana della Villa Medici a Roma. Piena di vita, la figura è come sollevata da uno zeffiro, e l'effetto ardito per lo slancio del movimento, per la novità della concezione è oggi attenuato dal fatto che dalla bocca dello zeffiro dovevano zampillare getti d'acqua per modo da nascondere il punto d' appoggio del messaggero divino, che veniva così a librarsi nell'aria.
Nel 1579 G. si recò a Roma per trattare l'acquisto di statue antiche da destinarsi ai giardini di Pratolino e di Boboli; appena tornato a Firenze (1581) eseguì il gruppo delle tre età. Narra il Borghini che vi fu chi avrebbe desiderato che in quel gruppo fosse da riconoscere, per accoppiarlo al Perseo di Benvenuto Cellini, Andromeda rapita da Fineo. Ma al Borghi ciò non piacque e suggerì il Ratto delle Sabine, soggetto che trovò nel bassorilievo in bronzo della base la sua maggiore esplicazione con la complessa scena del rapimento delle fanciulle per opera dei Romani. Tale gruppo è infatti una delle sculture più singolari di quel periodo e dello scultore. Ammirevole lo studio con cui son disposte le figure, le quali si offrono allo sguardo da qualunque parte si osservino, gradevoli e naturali; morbido e flessuoso il corpo della fanciulla fortemente sollevato dal giovane per sottrarla al padre, che sembra impotente a difendere la figlia; solida e sicura la modellazione.
A queste che sono le opere principali si aggiungono, ma assai manierate, il San Luca (Orsanmichele), Ercole che uccide il Centauro (Loggia dei Priori) e i due monumenti equestri di Cosimo I (1594; Piazza della Signoria) e di Ferdinando de' Medici (Piazza della SS. Annunziata) che non mancano di pregi. Per il giardino di Boboli eseguì alcune fontane non prive di gusto decorativo, fra tutte graziosissima quella con la figurina di Venere in alto e sull'orlo della vasca tre teste di fauni ammiranti; nella villa di Pratolino i colossi dell'Appennino e di Giove Pluvio. Fra il 1594 e il'98 trasformò la quinta cappella nella chiesa della SS. Annunziata, destinandola a sua sepoltura e la ornò con un crocifisso in bronzo e sei bassorilievi con storie della Passione. Opere del G. si trovano a Lucca, all'altare maggiore della cattedrale: Cristo liberatore con S. Pietro e Paolo; a Pisa, il grande crocifisso dell'altare maggiore nella cattedrale (le porte in bronzo sulla facciata, generalmente attribuitegli, sono dei suoi scolari). I rilievi con scene della pasgione di Cristo del bellissimo paliotto di bronzo della chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme, sono stati fusi da D. Portigiani su disegno di G., coadiuvato nell'esecuzione da P. Francavilla. Lavorò anche a piccoli bronzi, trattati con semplicità e rara eleganza, dei quali alcuni furono regalati da Cosimo I al re d'Inghilterra. La sua tecnica corretta, il gusto della decorazione, lo slancio e l'eleganza dei movimenti, la raffinatezza delle forme, anche se un po' superficiali, fanno del G. uno dei migliori scultori del suo tempo.
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