PALLAVICINO, Giambattista
PALLAVICINO (Pallavicini), Giambattista. – Nacque a Bologna intorno al 1500 da Pietro Pallavicino de’ Gentili, esponente di un’antica famiglia genovese.
Nel 1514 entrò nell’Ordine dei carmelitani presso il convento di S. Martino Maggiore di Bologna, appartenente alla congregazione mantovana dell’Osservanza, all’epoca indipendente rispetto alle altre province dell’Ordine. Si mise ben presto in luce per le sue doti oratorie, tanto che due anni più tardi tenne il discorso di apertura del capitolo generale della congregazione, e lo stesso avvenne nel 1523, nel 1524 e nel 1528. La carriera all’interno dell’Ordine fu altrettanto rapida e brillante: dopo essere stato ordinato sacerdote nei primi mesi del 1523, nel maggio 1525 fu nominato priore del convento carmelitano di Genova, mentre l’anno successivo ricevette il medesimo incarico a Bologna.
Nel maggio 1527, a seguito delle devastazioni compiute dai lanzichenecchi in Valtellina e degli episodi sacrileghi di cui essi furono protagonisti, fu invitato a tenere un ciclo di prediche a Brescia, teatro di una processione blasfema nel marzo precedente. Anche in quell’occasione riscosse un grande successo e fu incaricato di tenere il ciclo di prediche quaresimali nell’anno successivo. Giunto in città nei primi mesi del 1528, il 20 marzo fu sollevato dall’incarico, con l’accusa di avere dato scandalo predicando «publice nonnulla erronea et a fide catholica deviantia» (Staring, 1967, p. 173). Nonostante ciò, poté partecipare al capitolo che si tenne a Mantova il 2 maggio seguente, al termine del quale fu nominato priore del convento di Casale Monferrato. Tuttavia, l’eco delle sue prediche sospette era giunta sino a Roma, donde il 6 maggio 1528 partì un breve papale diretto al generale dell’Ordine Nicolas Audet perché indagasse sull’accaduto e intervenisse con fermezza. Il 13 luglio il papa indirizzò poi una lettera al vescovo di Brescia Paolo Zane, lodandone la solerzia contro gli eretici, e in particolare contro Pallavicino.
Invitato a predicare a Torino e a Chieri nell’autunno dello stesso anno, quest’ultimo attirò nuovamente l’attenzione su di sé per l’esposizione di alcune tesi di evidente ispirazione luterana, tra cui la negazione del purgatorio e del valore meritorio delle opere. Secondo la testimonianza di Iacopo Lanceo, procuratore del duca Carlo III di Savoia, non soltanto aveva predicato proposizioni ereticali, ma le aveva addirittura messe per iscritto e pubblicate. Lanceo ne diede pronta comunicazione anche alla curia papale, che il 16 dicembre 1528 inviò all’inquisitore del ducato di Savoia un mandato di cattura del frate, reo di avere diffuso «quamplurima erronea et falsa ac scandalosa publice» (Fontana, 1892, p. 104). Il carmelitano che, dopo una sosta nel convento di Casale Monferrato, si era rifugiato a Genova presso alcuni familiari, l’8 febbraio 1529 ritrattò le affermazioni incriminate nelle mani del vescovo di Aleria, nonché suo parente, Francesco Pallavicino.
Secondo la documentazione inviata a Roma, avrebbe dichiarato di essersi espresso soltanto contro l’intercessione dei santi e la recita dell’Ave Maria all’inizio e al termine dell’omelia, omettendo le tesi assai più compromettenti esposte a Chieri.
Nel capitolo generale del 2 maggio 1529 fu espulso dalla congregazione insieme con alcuni confratelli, anch’essi ritenuti fautori delle dottrine protestanti. Il 6 giugno decise allora di rivolgersi direttamente a Clemente VII, professando il suo sincero pentimento e, come risulta dalla comunicazione del 24 dicembre inviata da Roma al vescovo di Aosta Pietro Gazzino, indicando anche i suoi compagni di fede. Il tentativo ebbe successo, ed egli poté nuovamente predicare la quaresima del 1530 nella chiesa carmelitana di S. Martino a Bologna. In questi stessi mesi, inoltre, terminò il suo ciclo di studi, addottorandosi in teologia il 27 aprile ed entrando a fare parte del collegio dei teologi dell’Università.
Proprio in veste di teologo Pallavicino fu protagonista delle vicende legate all’annullamento del matrimonio tra Enrico VIII Tudor e Caterina d’Aragona, giunte all’apice nella primavera del 1530. La delegazione inglese inviata in Italia per raccogliere i voti di teologi e canonisti ottenne parere favorevole dall’Università di Bologna soprattutto grazie a Pallavicino che, secondo quanto attestano i dispacci inglesi, avrebbe in cambio ricevuto denaro e un gran quantitativo di libri.
Convocato dal governatore di Bologna l’8 settembre, il carmelitano negò le accuse e pochi giorni più tardi, il 17 settembre, partì alla volta del ducato di Mantova con l’intenzione, come scrisse al delegato inglese Richard Croke, di perorare la causa del re inglese presso i teologi di Ferrara. Le ragioni di tale presa di posizione non risultano chiaramente dalle fonti; non è escluso che Pallavicino fosse stato influenzato dal fratello Cosimo, allora al servizio del cardinale di York nonché Lord cancelliere Thomas Wolsey, il quale era stato incaricato da Enrico VIII di condurre le trattative con Roma e, parallelamente, di cercare un alleato in Francesco I.
Il favore del predicatore, comunque, non ne risultò danneggiato: oltre a ottenere la conferma dei privilegi della congregazione di Mantova il 31 marzo 1531, nel capitolo del 27 aprile 1532 fu eletto primo definitore, mentre gli ufficiali della fabbrica di S. Petronio a Bologna lo scelsero per il ciclo di omelie quaresimali del 1533, che si svolsero alla presenza di Clemente VII e di Carlo V.
Probabilmente a seguito del coinvolgimento nella questione matrimoniale tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona la carriera di Pallavicino proseguì anche sul terreno della diplomazia europea. Un estratto degli atti ufficiali di Francesco I attesta infatti che il 13 novembre 1533 il sovrano gli elargì «225 livres tournois en récompense des importants avis» (Catalogue des actes, 1888, p. 561) in occasione dell’incontro con Clemente VII avvenuto a Marsiglia. Pochi giorni prima, l’8 novembre, il papa aveva comunque incaricato il nunzio a Venezia Girolamo Aleandro di indagare sul comportamento del frate e di un suo confratello in terra veneta dove, secondo alcune testimonianze, nei tre anni precedenti avevano cercato di fare proseliti in specie tra i nobili. Gli interrogatori dei testimoni, tuttavia, non rivelarono particolari devianze sul terreno dottrinale, quanto piuttosto «vanità, ignorantia, pazzia et dishonestà in alcuni atti» (Gaeta, 1958, p. 200), come raccontò Aleandro all’allora segretario papale Pietro Carnesecchi.
Nel frattempo, Francesco I invitò Pallavicino a rimanere a corte, e a predicare la quaresima del 1534 a Parigi, quasi certamente in virtù del sostegno offerto dal frate nella causa di Enrico VIII, alla cui alleanza in funzione antimperiale il re francese guardava con rinnovato interesse. L’intercettazione da parte di emissari del papa di una lettera in cui il carmelitano si congratulava con il sovrano inglese per essersi liberato dal giogo di Roma fece però precipitare la situazione: Clemente VII intimò a Francesco I di farlo arrestare e, dopo un’iniziale resistenza, nel luglio 1534 il re acconsentì, incarcerandolo nella Bastiglia con l’accusa di avere predicato contro l’eucarestia.
È probabile che tale decisione sia da mettere in relazione con il progressivo irrigidimento del sovrano nei confronti degli ambienti di corte più sensibili al messaggio protestante. A seguito dell’Affaire des Placards scoppiato nell’ottobre di quell’anno, Francesco I avrebbe infatti avviato un’aspra campagna antiprotestante e, di concerto con il partito intransigente guidato dal cardinale François de Tournon e dal connestabile Anne de Montmorency, avrebbe progressivamente isolato la cerchia di Margherita di Navarra e degli evangelici. Verosimilmente grazie al fratello Cosimo, Pallavicino era entrato in contatto con questi personaggi sin dal suo primo soggiorno in Francia, e in tale occasione aveva stretto amicizia con due protagonisti del dissenso religioso di quegli anni come Alessandro Citolini e Giulio Camillo Delminio.
Per sollecitare la liberazione del fratello intervenne Cosimo, pronunciando di fronte a Francesco I due orazioni che aveva composto l’amico Delminio (Delle orationi volgarmente scritte, Venezia 1584). Questi componimenti, da cui traspaiono evidenti echi eterodossi nell’appello alla carità cristiana, alla legge del perdono e ai meriti di Cristo (e che sarebbero stati pubblicati a Venezia nel 1545 dopo la morte dell’autore e l’incarceramento a vita di Pallavicino), convinsero il sovrano a ritornare sui suoi passi: il 28 giugno 1535 egli accordò una cospicua pensione al predicatore, che il 15 luglio, secondo la testimonianza del nunzio Rodolfo Pio da Carpi, era già libero.
Nei mesi seguenti gli stretti rapporti dei due Pallavicino con la corte inglese, che è possibile ricostruire per sommi capi, acuirono le tensioni con i vertici romani i quali, di concerto con le autorità francesi, fecero nuovamente imprigionare il predicatore nel marzo 1536 nella fortezza dello Châtelet e successivamente lo trasferirono a Sèvres. Cosimo si adoperò ancora una volta per la scarcerazione del fratello, che fu però consegnato agli inviati papali nella primavera del 1539. La detenzione in Castel S. Angelo, durante la quale Pallavicino divise la cella con l’ex segretario di Paolo III Ambrogio Ricalcati e con Benvenuto Cellini, durò pochi mesi.
Cellini raccontò di essere stato conquistato dall’abilità oratoria di Pallavicino il quale, «quanto a frate […] era il maggior ribaldo che fussi al mondo», ma leggeva le prediche di Savonarola offrendo «un comento tanto mirabile che era più bello che esse prediche» (Vita, 1985, p. 346 s.).
Nell’agosto 1539 il papa lo graziò ed egli poté trovare protezione presso la corte di Margherita d’Austria, di cui divenne il confessore. Nella quaresima del 1540 predicò a Roma nella chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, ma il 27 maggio l’agente dei Gonzaga a Roma, Vincenzo da Gatico, comunicava ai suoi patroni l’arresto del frate, mentre il 25 giugno Annibal Caro raccontava anche della precipitosa fuga dalla città del fratello Cosimo, nel frattempo entrato nell’entourage del neoletto cardinale Federico Fregoso. Le fonti inducono a ritenere che tale provvedimento fosse scaturito dall’influenza esercitata da Pallavicino nei confronti della giovane principessa Asburgo che, data in sposa a Ottavio Farnese nel novembre 1538, rifiutava di consumare il matrimonio. Dopo ripetute torture e parziali confessioni, il frate indirizzò a Carlo V una lunga missiva, in cui riconosceva i propri errori in materia di fede, ma attribuiva le maggiori responsabilità per il comportamento di Margherita all’ambasciatore imperiale don Lope Hurtado de Mendoza. La vicenda si risolse con un confronto diretto tra quest’ultimo e Pallavicino, il quale ritrattò tutte le accuse; i Farnese riuscirono ad allontanare Mendoza da Roma e incarcerarono ancora una volta il frate.
Scarne le notizie sugli anni successivi: in una breve comunicazione del 24 aprile 1545 Ranuccio Farnese informò il cardinale Marcello Cervini del confino perpetuo di Pallavicino nella rocca di Ostia, dove probabilmente morì in data ignota.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, S. Martino Maggiore, v. 3611, c. 95v; Bologna, Arch. di S. Petronio, Arm. II, b. 53 Atti della fabbrica, f. 14, c. 63r; Città del Vaticano, Arch. segreto Vaticano, A.A. I-XVIII, vv. 6530, cc. 59r, 64r, 77v, 137v; 6538, c. 72r; Indice 193, Expeditio brevium, c. 146r; Carte farnesiane, v. 2, c82r; Fondo Pio, v. 56, c. 241r; Principi, vv. 6, cc. 56r; 63v; 14, cc. 330v-335r; 14a, cc. 152r; 164v-165v; 266v-267r; Arch. di Stato di Firenze, Cervini, vv. 20, c. 42r; 41, c. 189r; Roma, Archivio del Collegio di S. Teresa dei Carmelitani Scalzi, Acta capitulorum congregationis fratrum beate Marie virginis de observantia, v. 1, cc. 87r, 108rv, 109v, 129v; Ibid., Archivio generale dei Carmelitani, Scriptores Ordinis Carmelitanorum, v. 5, c. 476rv; II.Extra, 1528 e 1533; Arch. di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’interno. Lettere particolari, v. 2, sub littera J(acobus Lanceus); Simancas (Spagna), Arch. Gen., Estado, v. 869, cc. 182rv; 187r; Venezia, Bibl. Marciana, Ms. Marc. Lat. XVI 292, cc. 306r-320v; Delle orationi volgarmente scritte da diversi huomini illustri de’ tempi nostri libro primo. Raccolte già dalla felice memoria del signor Francesco Sansovino et hora in quest ultima impressione arricchite di molte altre non più stampate, Venezia, A. Salicato, 1584; J. de’ Bianchi detto Lancillotti, Cronaca Modenese, IV, Parma 1866, pp. 272-274, 276; Letters and papers foreign and domestic of the reign of Henry VIII, a cura di J. Brewer, IV (parte III), IX-X, London 1876, pp. 2980 s.; 1886, IX, pp. 84 s.; 1887, X, pp. 488 s.; 1896, XV, p. 416; B. Fontana, Documenti vaticani contro l’eresia luterana in Italia, in Archivio della Società romana di storia patria, XV (1892), pp. 71-165, 365-474; Catalogue des Actes de François Ier, Paris 1888, II, pp. 561, 599, 44; III, p. 100; Nuntiaturberichte aus Deutschland, 1533-1559, a cura di L. Cardauns, V-VI, Berlin 1909, ad ind.; Correspondance du cardinal François Tournon, a cura di M. François, Paris 1946, ad ind.; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I, Firenze 1957, ad ind.; F. Gaeta, Nunziature di Venezia, 1533-1535, 32/I, Roma 1958, ad ind.; P. Paschini, Venezia e l’inquisizione romana da Giulio III a Pio IV, Padova 1959, ad ind.; F. Gaeta, Un nunzio pontificio a Venezia nel Cinquecento: Girolamo Aleandro, Venezia-Roma 1960, ad ind.; Acta Nuntiaturae Gallicae, I. Correspondance des nonces en France Carpi et Ferrerio 1535-1540, a cura di J. Lestocquoy, Paris-Rome 1961, ad ind.; La nunziatura in Francia di Rodolfo Pio (1535-1537), a cura di P. G. Baroni, Bologna 1962, ad ind.; A. Staring, G. P., O. Carm. e la eterodossia italiana del Cinquecento, in Carmelus, XIV (1967), pp. 142-183; C. Vasoli, Il “luterano” G.B. P. e due orazioni di Giulio Camillo Delminio, in Nuova rivista storica, LVIII (1974), pp. 64-70; Id., I miti e gli astri, Napoli 1977, ad ind.; B. Cellini, Vita, a cura di E. Camesasca, Milano 1985, p. 346 s.; G. Dall’Olio, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna 1999, ad indicem.