MENGARDI, Giambattista
– Nacque a Padova il 7 ott. 1738 da Girolamo e da Vittoria Bonafina.
Personalità di primo piano della cultura veneta del Settecento, il M. superò i confini della professione di pittore per rivestire incarichi di docenza e di una certa responsabilità istituzionale nella Venezia del secolo XVIII, esercitando condizionamenti estetici tanto nel solco di una tradizione di sperimentato successo, quanto in prospettiva di nuove soluzioni espressive in senso classicistico, specie per la pittura di interni. La formazione pittorica del M. è tema ampiamente discusso nella letteratura artistica di riferimento, giunta oggi a un avanzato livello di definizione. Già Moschini, nella sua guida di Venezia del 1815, informa che questa ebbe luogo tra Padova e Venezia dove, a contatto con la bottega di G.B. Tiepolo, seppe apprenderne modi e tecniche. Sebbene tale informazione non trovi immediato riscontro, almeno stilisticamente, nella prima opera nota del M. – il ritratto di Papa Clemente XIII della curia vescovile di Padova, eseguito nel 1758, in cui piuttosto evidenti sono l’insicurezza spaziale e la durezza del trattamento pittorico del volto, solo in parte animato dal pennellare minuto (Fantelli, 1984) –, è tuttavia nei documenti di archivio che l’informazione di Moschini trova puntuale conferma. È del gennaio 1759 un documento relativo alla committenza del dipinto per l’altare della fraglia dei calzolai nel duomo di Padova (ora in S. Giorgio delle Pertiche) raffigurante i Ss. Crispino e Crispiniano martirizzati licenziato nell’ottobre del 1760 «con obbligo […] di soggettarsi per intiero della sudetta facitura al suo Maestro Signor Gio Battista Tiepolo, e nel caso ci fosse qualche cosa da regolare, sarà sempre pronto di ciò fare» (von Heyl, p. 22). Citato dunque come «suo Maestro», Tiepolo funziona quale punto di partenza nel delineare un possibile percorso formativo del giovane M., il quale, verosimilmente, affiancò Tiepolo in un apprendistato da collocarsi tra il 1753 e il 1758, ovvero tra il ritorno del maestro da Würzburg e la sua definitiva partenza per la Spagna.
Le prime notizie documentate di un’autonoma attività professionale circoscrivono il suo campo di azione a Padova.
Qui maturò una specifica propensione per temi di natura religiosa, e licenziò composte realizzazioni pittoriche, fedeli – tanto nella costruzione spaziale quanto nell’interpretazione sentimentale – a un gusto tardo barocco, solo in parte animato da espedienti tiepoleschi e invece carico di insistenti grafismi, destinati a divenire cifra stilistica personale, come dimostra il cospicuo nucleo di disegni e incisioni conservati in collezioni italiane e straniere.
Regolarmente iscritto dal 1760 al 1767 nella fraglia dei pittori padovani, estese la sua attività al restauro come attesta la «giunta» di un angelo alla pala di G.D. Tiepolo nella chiesa di S. Nicolò a Padova, datata al 1777 (Fantelli, 1984).
Tra il 1760 e il 1761 il M. fu impegnato in una commissione di prestigio, eseguendo nel duomo di Padova, la decorazione della cappella del beato Gregorio Barbarigo. Qui il M. realizzò a buon fresco le pitture della cupola, aventi per soggetto la Gloria d’angeli col Padreterno (perduta), e i pennacchi con quattro Virtù insieme con tre monocromi di grande formato con episodi tratti dalla vita del beato.
A questa prima attività si aggiungono l’affresco con il Vescovo s. Siro (in San Siro, chiesa parrocchiale); un quadro da cavalletto con S. Antonio proveniente dalla chiesa di S. Andrea a Cadoneghe, la cui ricostruzione risale agli anni Cinquanta del Settecento; l’affresco della volta della navata della chiesa di S. Andrea a Padova con Il santo portato in cielo dagli angeli, andato perduto durante il secondo conflitto mondiale.
A un periodo antecedente al 1767 (Fantelli, 1984) sono da collocare gli affreschi di palazzo Maldura a Padova, un vasto ciclo che per dimensioni e qualità costituisce un’eccezionale documentazione di mutamento del gusto nel Veneto tra la seconda metà del Settecento e il terzo-quarto decennio dell’Ottocento.
All’interno di un articolato complesso decorativo, disomogeneo per molteplicità di mani e periodi di esecuzione (il palazzo venne concluso nel 1769 per il giurista A. Maldura dall’architetto G. Novello) al M. possono ascriversi due episodi a tema mitologico, Flora e Diana sorprende nel sonno Endimione (di cui rimane la sola figura di Diana), caratterizzati, specie nel confronto con i più tardi affreschi in palazzo Priuli Manfrin a Venezia, da un segno tortuoso e segmentato, alternativi, per un’accezione di maggior rilievo grafico, al tiepolismo trionfante presente negli affreschi di Giacomo Guarana negli altri ambienti del medesimo palazzo.
Nel 1767, come dimostra l’interpretazione di alcuni documenti di natura fiscale (Olivato, 1979), il M. lasciò Padova per trasferirsi definitivamente a Venezia dove, nel medesimo anno, risulta iscritto all’Accademia di belle arti presso la quale sarebbe diventato professore il 6 genn. 1776, nonostante la sua espulsione dell’anno precedente (2 febbr. 1775), causata da azioni di boicottaggio intraprese contro specifici schemi didattici relativi alle lezioni di nudo.
Tra i primi lavori eseguiti in territorio veneziano, benché in data non ancora precisata, è la decorazione della chiesa parrocchiale di Campagna Lupia, in cui, insieme con la pala per l’altare maggiore raffigurante i Ss. Pietro e Paolo col Cristo in gloria, realizzò i due dipinti laterali del presbiterio, raffiguranti il Sacrificio d’Isacco e la Cacciata di Caino, l’affresco del soffitto della navata centrale con la Trasfigurazione di Cristo e la volta di una cappellina laterale del presbiterio con Cristo nell’orto. La pala dell’altare maggiore, raffigurante i santi titolari della chiesa, costruita sopra un impianto tradizionale che nella triangolazione e nella simmetria degli elementi ripropone modelli e atmosfere seicentesche, parla un linguaggio dalle tonalità fredde.
Databile ai primi anni Settanta del Settecento è la pala d’altare per la chiesa di S. Geremia a Venezia, raffigurante la Sacra Famiglia e assimilabile, per ragioni stilistiche, all’ Estasi di s. Teresa (oggi nel duomo di Monselice) e a un perduto S. Vitale (von Heyl, pp. 98-104).
Con il 1776 si inaugurò per il M. un periodo di grande affermazione professionale, coronato dall’investimento di rilevanti incarichi istituzionali che, sebbene lo sottraessero, rallentandola, all’attività pittorica, avrebbero contribuito a definirne il ruolo centrale all’interno del complesso sistema di relazioni politiche e sociali della Venezia del Settecento. In questo anno divenne professore e consigliere del Collegio di pittura, di cui fu vicepresidente nell’aprile del 1784. Due anni dopo, il 27 nov. 1778, ebbe il prestigioso incarico di ispettore presso gli Inquisitori di Stato, carica rimasta vacante per la scomparsa di A.M. Zanetti, al quale spetta il merito di aver avviato un piano di censimento generale delle opere conservate nella Terraferma, con la relativa nomina di ispettori responsabili in ogni città: primo schema di un’organizzazione di tutela che venne poi recepita negli ordinamenti moderni (Olivato, 1974). L’anno successivo la carica fu sdoppiata; e, mentre P. Edwards mantenne l’ufficio di «ispettore al ristauro generale delle pubbliche pitture», il M. fu nominato «ispettore sopra li quadri delli pittori più insigni esistenti nelle chiese, scuole, conventi e monasteri della dominante ed isole circonvicine» (ibid., p. 85). Il M. ebbe il compito di occuparsi, per lo più, dei quadri conservati in chiese e luoghi sacri, su istanza dei religiosi, su segnalazione di privati, ancora, o su iniziativa personale (ibid.); fu poi il responsabile e il coordinatore di una vera e propria équipe d’intervento costituita da G.M. Sasso, F. Maggiotto, A. Marinetti, G.D. Tiepolo e M. Zais, un nutrito gruppo di professionisti dai quali dipendeva il recupero e il restauro di importanti capolavori della pittura veneta del Cinquecento.
Si ricordano gli interventi sulla Resurrezione e sul cosiddetto Trittico Priuli di G. Bellini nella chiesa di S. Michele in Isola, ora conservati rispettivamente a Berlino, Staatliche Museen, e a Düsseldorf, Kunstsammlungen der Stadt (giugno e dicembre 1780); sulle opere di V. Carpaccio, M. Basaiti e G. Bellini nella chiesa di S. Giobbe, ora alle Gallerie dell’Accademia (giugno 1784); sui quadri della soppressa Scuola dei tessitori (agosto 1786), fra cui due di G.B. Cima (detto Cima da Conegliano) non identificabili con certezza e una Natività di P. Caliari, il Veronese forse da riconoscere nell’Adorazione dei pastori in Ss. Giovanni e Paolo (Olivato, 1974.).
In questo lasso di tempo, la produzione pittorica del M. subì un radicale arresto, fatta eccezione per la pala d’altare con l’Immacolata per la chiesa omonima di Maniago del Friuli, eseguita nel 1783, anno del matrimonio dell’artista con Grazia Maria Fortunata Ortes dalla quale ebbe sette figli.
Del 1787 è la decorazione ad affresco di alcune stanze del palazzo Priuli a Cannaregio, acquistato ai Venier nel giugno dello stesso anno dal ricco commerciante dalmata e collezionista d’arte G. Manfrin: della sua collezione privata, una tra le più ammirate e celebrate dalla letteratura di viaggio contemporanea, il M. fu curatore.
I lavori di decorazione murale, accordati a uno straordinario complesso di stucchi, riflettono il nuovo indirizzo estetico, in chiave classicistica, che proprio nella decorazione di interni trovò a Venezia, tra il 1780 e il 1830, una stagione di grande fioritura patrocinata da un ceto borghese committente di ornamenti semplici e subordinati alla chiarezza della struttura architettonica. I lavori, iniziati subito dopo l’acquisto del palazzo, il 24 giugno 1787, videro il M. impegnato nella decorazione a buon fresco del soffitto di quattro stanze del piano nobile con soggetti a carattere mitologico e allegorico: la Caduta di Fetonte, gli Dei che accolgono Ercole nell’Olimpo, la Gloria corona la Virtù, la Contesa tra Atena e Poseidone. Di ricercato cangiantismo con prevalenza del lilla, del violetto, del verde acqua, dell’azzurro intenso e del giallo, gli affreschi sono caratterizzati da una pennellata sottile e calligrafica non estranea al recupero di qualche sigla parmigianinesca (Pavanello, 1978).
Il 25 ag. 1793 al M. fu nuovamente attribuito un prestigioso incarico, quello di consigliere dell’Accademia di belle arti, ruolo condiviso con F. Maggiotto e consistente in attività di assistenza al presidente, di orientamento didattico e di sostegno all’amministrazione.
Tra il 1792 e il 1793 lavorò alle sue ultime importanti commissioni: da un lato, gli affreschi del soffitto del palazzo Barbarigo della Terrazza con Vulcano che consegna le armi di Enea a Venere, le figure di Apollo, Diana, Giove e Giunone nelle lunette e le Allegorie di matrimonio, eseguiti per le nozze di Giovanni Barbarigo con Chiara Pisani; dall’altro, gli affreschi a monocromo a finto rilievo per alcuni ambienti del palazzo Bellavite Baffo a campo S. Maurizio, di proprietà dell’avvocato padovano Giambattista Cromer.
Più volte citata quale cifra personale del suo stile, l’attività grafica, comprendente sia incisioni originali sia versioni calcografiche di suoi disegni preparatori, occupa un posto di primo piano nel corpus del M. (von Heyl, pp. 154-174). Peraltro, le traduzioni di suoi originali pittorici realizzate da altri artisti testimoniano dell’esistenza di dipinti altrimenti sconosciuti. È il caso di una serie di Allegorie delle Arti (Musica, Pittura, Scultura) conservata presso la Staatliche Graphische Sammlung di Monaco (ibid., pp. 362-364), eseguita a bulino dall’udinese F. Pedro che, al pari di P. De Col, lavorò nella bottega di N. Cavalli a Venezia (Violato); come pure del Ganimede, dell’Ebe e della Melpomene della Civica Raccolta delle stampe Achille Bertarelli di Milano (von Heyl, pp. 369-372).
Il M. morì a Venezia il 28 ag. 1796.
Fonti e Bibl.: G. Moschini, Guida per la città di Venezia, Venezia 1815, p. 278; F. Haskell, Patrons and painters…, London 1963, p. 575; A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano 1973, ad ind.; L. Olivato, Provvedimenti della Repubblica veneta per la salvaguardia del patrimonio pittorico nei secoli XVII e XVIII, in Memorie dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, XXXVII (1974), pp. 85-89; G. Pavanello, L’attività di G. M. a Padova, in Padova e la sua provincia, XX (1974), pp. 3-8; Id., Gli affreschi di palazzo Maldura a Padova, in Arte veneta, XXIX (1975), pp. 262-268; A. Forniz, Pittori veneti minori nel Friuli occidentale, ibid., XXXII (1978), pp. 366-370; G. Pavanello, La decorazione neoclassica nei palazzi veneziani, in Venezia nell’età di Canova (catal.), Venezia 1978, pp. 281-300; L. Olivato, Pittori e pubblici periti a Padova nel ’700. Due elenchi inediti, in Bollettino del Museo civico di Padova, LXVIII (1979), pp. 93-102; P.L. Fantelli, Le cose più notabili riguardo alle belle arti che si trovano nel territorio di Padova, in Padova e la sua provincia, XXVI (1980), 3, pp. 11-23; A. Forniz, Una pala di Giovanni Battista M. a Maniago del Friuli, in Arte veneta, XXXIV (1980), p. 200; P.L. Fantelli, Altri dipinti di Giovanni Battista M., ibid., XXXVIII (1984), pp. 119-124; Id., Pittura padovana tra ’600 e ’700, in Padova e il suo territorio, II (1987), 5, pp. 18-21; La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 792; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, II, Milano 1996, pp. 484-488; M. Bleyl, Qualche precisazione iconografica nei soffitti veneziani del Settecento, in Arte. Documento, 1999, n. 13, pp. 244-247; G. Pavanello, Monocromi veneziani di G. M., in Arte veneta, LIV (1999), pp. 137-142; U. von Heyl, G. M. 1738-1796. Umbruch zum Klassizismus in der venezianischen Malerei, Hildesheim 2002, pp. 22, 98-104, 154-174, 362-372; P. Violato, Per G. M., in Il cielo o qualcosa di più. Scritti per A. Mariuz, a cura di E. Saccomani, Cittadella 2007, pp. 406-411; U. Thieme - F.Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 388 (s.v. Mengardi, Francesco).
V. Vernesi