TIEPOLO, Giacomo
– Figlio di Pietro residente nella parrocchia di San Ermagora e di madre sconosciuta, nacque a Venezia probabilmente poco prima del 1170, se vent’anni più tardi, nel 1190, compariva come giovane mercante impegnato lungo la rotta che conduceva a Costantinopoli, potendo contare fra i finanziatori anche Pietro Ziani, figlio del doge Sebastiano, allora conte di Arbe e futuro doge a sua volta.
Sei anni dopo, nel 1196, era nuovamente in Oriente, ad Abido lungo lo stretto dei Dardanelli, come membro di una flotta i cui equipaggi si ammutinarono rifiutando di rientrare in patria per tutelare gli interessi economici dei propri componenti.
Tiepolo apparteneva a una famiglia di «populares», i cui membri erano conosciuti da circa un secolo come dediti ai traffici e ai commerci, ma che fino a quel momento erano rimasti estranei alla vita politica e non avevano ricoperto cariche pubbliche di rilievo. Nei primi anni del XIII secolo la sua ascesa sociale fu invece inarrestabile: nel 1205 iniziava infatti un prestigioso cursus honorum, figurando tra i quaranta grandi elettori che presero parte alla votazione finale che designò al ducato Pietro Ziani, il suo finanziatore di quindici anni prima. Poi, nel 1207, ricoprì la carica di giudice di Comune, mentre nel 1209 fu nominato duca di Candia, cioè governatore di Creta.
Si trattava di un incarico particolarmente delicato e impegnativo, perché la nobiltà dell’isola, che Venezia aveva acquistato pochi anni prima dal marchese Bonifacio di Monferrato, uno dei principali condottieri della quarta crociata, rifiutava di sottomettersi e, con il sostegno di corsari genovesi, contrastava con successo ogni tentativo veneziano in tal senso. Malgrado l’invio di armati dalla madrepatria nel 1211, Tiepolo non riuscì a sedare la rivolta, al punto da essere costretto a chiamare in proprio soccorso Marco Sanudo, un avventuriero veneziano che si era creato un dominio personale nell’arcipelago delle Cicladi. Sanudo intervenne, riuscendo a sconfiggere i rivoltosi, ma poi si rifiutò di evacuare l’isola, sperando di aggiungerla ai propri domini. Tiepolo agì allora con diplomazia e, sceso a patti con Sanudo nel 1213, lo convinse a rinunciare alle sue aspirazioni, assicurando quindi il dominio veneziano su Creta. Dopo aver mantenuto la sua carica per un periodo insolitamente lungo, dovuto alle contingenze in cui si trovò a operare, rientrò poi a Venezia nel 1214.
L’esperienza maturata durante il mandato cretese, gli permise però di ricoprire di lì a poco altri incarichi di rilievo nell’ambito dell’Impero latino di Costantinopoli. Nel 1218 fu infatti nominato per un biennio podestà dei veneziani residenti nella capitale. In tale occasione, egli agì con notevole autonomia nei confronti del governo centrale, stipulando nell’agosto del 1219 un trattato con Teodoro I Lascaris imperatore di Nicea, principale centro di resistenza bizantina contro i latini che avevano preso Costantinopoli nel 1204, mentre nel marzo del 1220 strinse un’intesa con Kayqubad I sovrano del sultanato turco selgiuchida di Iconio. I due accordi, che non ebbero bisogno di ratifica da parte della madrepatria, assicuravano la pace e la libertà di commercio fra i veneziani e i due potentati asiatici. È da rimarcare il fatto che Tiepolo si qualificasse orgogliosamente in entrambe le occasioni come «despota dell’Impero di Romania e dominatore della quarta parte e mezza dello stesso impero» (Urkunden zur älteren Handels- und Staatsgeschichte der Republik Venedig..., a cura di G.L.F. Tafel - G.M. Thomas, 1856, II, pp. 205 s., 221), un titolo quest’ultimo analogo a quello che spettava al doge Ziani. Egli esercitò inoltre un ruolo di primo piano, assieme al reggente Conone di Béthune dal quale ottenne garanzie a favore dei veneziani, durante la vacanza del trono successiva alla morte dell’imperatrice Iolanda di Fiandra nel settembre del 1219, come risulta da una lettera inviata al doge nel dicembre di quell’anno, con la quale lo informava in maniera dettagliata degli avvenimenti accaduti e della sua attività in quei mesi.
Finito il suo mandato, nel gennaio del 1221 si trovava a Roma fra i testimoni all’atto di rinuncia, da parte del nuovo patriarca latino di Costantinopoli, Matteo, alla pretesa di estendere la sua giurisdizione sulle istituzioni ecclesiastiche veneziane situate nell’ambito dell’impero, che sarebbero invece rimaste soggette al patriarcato gradense. Nella seconda metà di quello stesso anno fu poi podestà di Treviso, dove dovette sottoscrivere un trattato di pace sfavorevole con Bertoldo, patriarca di Aquileia, che aveva invaso il Trevigiano. Agli inizi del 1223 era però ancora a Roma, inviato dal doge per ottenere da papa Onorio III la rinuncia ad alcune sanzioni ecclesiastiche imposte ai veneziani residenti nell’Impero latino. Infine, nell’autunno di quell’anno ritornò a Costantinopoli per ricoprire eccezionalmente un secondo mandato podestarile, durante il quale, nel febbraio del 1224, ottenne dall’imperatore Roberto di Courtenay un privilegio che riaffermava la preminenza economica dei veneziani nell’Impero, rendendo loro tributari gli occidentali residenti in Costantinopoli.
A questo punto della sua carriera politica, Tiepolo era ormai entrato a far parte dei quadri dirigenti del Comune, per cui non stupisce il fatto che nel 1228 figurasse tra i componenti del Minor Consiglio, l’importantissimo organo che assisteva il doge nello svolgimento delle sue funzioni, dopo che nella primavera del 1227 aveva condotto un’altra missione diplomatica ancora a Roma e, nel corso di quello stesso anno, era stato per la seconda volta podestà di Treviso, dove si segnalò per la sua attività legislativa. Quando poi, nel febbraio del 1229, Ziani rinunciò, volontariamente o meno, alla carica, egli figurava tra i maggiori favoriti alla sua successione. Nella votazione finale i quaranta grandi elettori si divisero tuttavia a metà: venti votarono per Tiepolo e altrettanti per Marino Dandolo, figlio di Enrico il doge della quarta crociata. La votazione venne ripetuta ma il risultato non cambiò, per cui si ricorse alla sorte la quale premiò Tiepolo che il 6 marzo 1229 divenne il nuovo doge di Venezia (Andreae Danduli ducis Venetiarum Chronica..., a cura di E. Pastorello, 1938-1958, pp. 291 s.).
Il ventennale governo di Tiepolo fu caratterizzato da innovazioni e riforme destinate a durare a lungo, la più significativa delle quali fu l’ampliamento del ceto dirigente, non più limitato a esponenti di grandi famiglie abituate da tempo all’esercizio del potere o a nuovi ricchi, ma allargato a comprendere sempre più numerosi esponenti del ceto mercantile, al quale apparteneva lo stesso doge. Fu durante il suo mandato infatti che acquistarono sempre più importanza i consigli cittadini, in particolare il Maggior Consiglio, e fu istituito il Consiglio dei Pregadi, in seguito denominato Senato.
Fra i suoi primi atti di governo Tiepolo mise mano alla riforma degli statuti cittadini, promulgando nel 1229 nuove norme in materia di diritto mercantile, nel 1232 in tema di diritto criminale, e nel 1242 un corpo omogeneo di statuti civili, in luogo della normativa emanata in maniera disorganica dai suoi predecessori. Nel campo religioso, promosse invece l’insediamento a Venezia degli Ordini mendicanti, francescani e domenicani, donando loro terreni di sua proprietà nei quali essi edificarono chiese e conventi.
Consapevole, considerata la sua estrazione sociale e le esperienze amministrative vissute, che le fortune di Venezia erano strettamente legate alla libertà dei traffici e dei commerci marittimi, il doge perseguì una politica di difesa di quanto ricevuto in eredità da Ziani: assestamento e consolidamento delle conquiste conseguite con la quarta crociata, divisione delle aree di influenza con i Comuni marittimi concorrenti di Genova e Pisa, difesa militare dell’Impero latino e ampliamento delle aree commerciali con una fitta serie di trattati stipulati con potentati del Nord Africa e dell’Oriente, nonché con comunità della pianura Padana e della sponda orientale dell’Adriatico.
Questa situazione fu però turbata dall’aggressiva politica di Federico II, la cui crociata coronata dal successo mutò gli equilibri nel Levante cristiano e minacciò l’esistenza stessa dell’Impero latino, a seguito dei rapporti amichevoli intrattenuti con i bizantini di Nicea. Ben si comprende allora l’atteggiamento di freddezza di Tiepolo quando l’imperatore si recò in visita a Venezia nel 1232. Il sovrano, pur non richiesto, concesse generosi privilegi alla città lagunare relativamente ai traffici con il Regno di Sicilia, ma non ottenne nulla in cambio, fallendo nel tentativo di conseguirne l’alleanza nella sua lotta contro il Papato e i Comuni. Al contrario, negli anni seguenti Venezia appoggiò la resistenza contro l’imperatore promuovendo la nomina di propri cittadini alla carica di podestà di importanti città dell’entroterra veneto e della Lombardia, inducendole a seguire una politica antifedericiana.
Tutto ciò non fu però sufficiente e, dopo la battaglia di Cortenuova del 1237 favorevole a Federico II, si rese necessario un intervento diretto di Venezia nelle vicende belliche. Nel 1238 fu firmato un trattato di natura difensiva con il Comune di Genova, impegnandosi ad aiutarsi reciprocamente contro il comune nemico. L’anno dopo fu stipulato un altro accordo, questa volta di carattere offensivo, fra i due Comuni e papa Gregorio IX per procedere all’invasione del Regno di Sicilia che, se attuata con successo, avrebbe garantito a Venezia i porti pugliesi di Barletta e Salpi importanti per i collegamenti con l’Oriente.
La spedizione non ebbe luogo, perché gli alleati procedettero ognuno per proprio conto. Venezia attaccò Ravenna e nel 1240 occupò Ferrara, che le garantivano il controllo delle vie fluviali padane, mentre in Terrasanta ebbe parte attiva nel crollo del regime federiciano. Nel 1242 recuperò poi Pola che si era ribellata. Dopo quest’ultimo successo, il vecchio doge, rimasto vedovo, sposò Valdrada, figlia di Tancredi d’Altavilla re di Sicilia, alimentando in questo modo le voci di una sua aspirazione alla successione del regno.
A questo punto Tiepolo si trovava all’apice del successo, ma furono proprio le sue ambizioni, reali o presunte, e i costi della guerra, che alimentarono una crescente opposizione interna alla sua politica che si manifestò apertamente nel 1245, quando, come racconta il cronista contemporaneo Martino da Canal, i rappresentanti veneziani al ritorno dal Concilio di Lione (dove fu decisa la deposizione di Federico II), Marino Morosini, Ranieri Zeno e Giovanni da Canal, catturati dal conte Amedeo IV di Savoia, alleato di Federico, e liberati per intercessione dell’imperatore, si scusarono con quest’ultimo, assicurando di non aver mai avuto l’intenzione di causarne la deposizione, mentre il sovrano, dopo averli rimproverati, si dichiarava disponibile alla pace per il reciproco vantaggio di entrambe le parti (Martin da Canal, Les estoires de Venise, a cura di A. Limentani, 1972, pp. 114-121).
Si trattava di un’aperta sconfessione della politica seguita fino a quel momento da Tiepolo, essendo gli inviati personaggi di primo piano della realtà veneziana: Morosini e Zeno sarebbero diventati infatti entrambi dogi. Da quel momento, non vi fu più guerra aperta fra Venezia e l’imperatore, fino alla morte di quest’ultimo nel 1250. Un anno prima, nel maggio del 1249, il vecchio doge, ormai quasi ottantenne, si dimise dalla carica, come aveva fatto il suo predecessore.
Morì il 19 luglio di quello stesso anno e fu sepolto nella chiesa domenicana dei Ss. Giovanni e Paolo, dove la sua tomba tutt’oggi si conserva.
Giacomo aveva contratto un primo matrimonio con una donna veneziana, probabilmente di nome Maria, appartenente alla famiglia Storlato anch’essa di origine mercantile. Da lei ebbe una femmina, a cui fu dato il nome della madre, andata sposa a un Gradenigo, e tre maschi: Pietro, Giovanni e Lorenzo. Il primo, podestà di Treviso nel 1236, difese strenuamente la città dai tentativi di conquista operati dai fratelli Alberico ed Ezzelino da Romano, alleati di Federico II. L’anno dopo guidò invece i milanesi nella sfortunata battaglia di Cortenuova, a seguito della quale, sconfitto e fatto prigioniero, trascorse i successivi tre anni in carcere fino a che venne fatto giustiziare a Trani nel 1240 su ordine dell’imperatore svevo, come ritorsione per gli attacchi condotti da navi veneziane contro le coste pugliesi. Giovanni fu conte di Ragusa nel 1237-38, nel 1240 prese parte all’assedio di Ferrara, poi sconfisse una flotta pisana e condusse altre operazioni navali nell’Adriatico, ancora conte di Ragusa nel 1241, risultava conte di Ossero nel 1248, combatté ancora nel 1249 contro le truppe ezzeliniane che erano arrivate ai margini della laguna e in quello stesso anno fu tra gli elettori del doge Domenico Morosini. Venne sepolto nella tomba che ospitava le spoglie del genitore. Lorenzo (v. la voce in questo Dizionario) infine fu doge di Venezia dal 1268 al 1275.
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