SOLIMENA, Giacomo (Iacopo). – Di origine salernitana e proveniente da una famiglia attestata nella città campana dalla metà del XIII secolo (Famiglie nobili, c. 164r; di Crollalanza, 1888, p. 542), non se ne conosce la data di nascita, che può collocarsi intorno agli anni Trenta del XV secolo stando alle poche testimonianze superstiti e interpretando in senso letterale quanto scritto da Pietro Ranzano (2007, p. 178) sulla sua morte prematura. Appartenente a una stirpe di medici e di professori di medicina, era figlio di Nicola, medicinae profexor (morto ante 25 ottobre 1466, Mauro, 1926, tav. [1]), piuttosto che di Mazzeo, come suppose Salvatore De Renzi (1857, p. 583) sulla base della confusa genealogia tramandata dall’erudizione locale (Famiglie nobili, c. 164v), seguito da Camillo Minieri Riccio (1881, p. 165)
e da altri.
Le notizie biografiche su Solimena sono scarse, nonostante il prestigio di cui godette tra i contemporanei. Oltre che essere sposato con Angela Villano e aver avuto almeno tre figli maschi (Mauro, 1926, tav. [1]), si sa che fu dottore in medicina (Cannavale, 1895, p. CCLXIX, n. 2647), qualifica conseguita, forse, verso la fine degli anni Cinquanta. Benché sia verosimile che la sua formazione sia avvenuta nella città natale, presso la Scuola medica (riconosciuta come Studium generale di medicina da Carlo I nel 1280), non sappiamo se avesse acquisito qui il titolo dottorale o presso lo Studium di Napoli: qualunque fosse stata l’istituzione da lui frequentata, egli aveva seguito un cursus studiorum che contemplava anche l’apprendimento delle discipline filosofiche e letterarie, obbligatorio per coloro che diventavano artium et medicinae doctores.
A leggere le testimonianze dei contemporanei, al di là delle pur prevedibili amplificazioni retoriche, le sue competenze filosofiche e letterarie furono notevoli ed evocate spesso insieme con quelle mediche. Ci sono pervenuti, infatti, diversi giudizi elogiativi su Solimena da parte degli intellettuali che componevano il dotto ambiente della corte aragonese di Napoli, di Alfonso il Magnanimo prima e del figlio Ferrante poi. Il domenicano palermitano Pietro Ranzano (1426/1427-1492/1493) ne sottolineò la dottrina filosofica e medica (Descriptio totius Italiae, 2007, p. 178; cfr. Figliuolo, 1997, pp. 140, 406); nell’epistolario di Luigi Calenzio (1545), poeta e accademico pontaniano (1430-1502/1503), a Solimena – così è solo chiamato – sono destinate cinque lettere, che testimoniano le frequentazioni tra i due, ma soprattutto le competenze filosofiche e mediche del Salernitano, definito, per la sua eloquenza, medicorum disertissimus: a lui Calenzio si rivolse per essere curato e per raccomandare un suo conoscente, aspirante medico, ma anche per discorrere di argomenti scientifici, lodandone le doti professionali a proposito della guarigione del comune amico Furiano. Va ricordato ancora il fatto che Benedetto Gareth, poeta e uomo politico, si indirizzò a Solimena per informarlo della sua salute e per trattare di argomenti scientifici e letterari (Minieri Riccio, 1881, p. 166) e che Antonio de Ferrariis, medico e umanista, ne evocò la dottrina e le virtù morali nell’Esposizione del Pater Noster (in De Ferrariis, 1868, p. 194), mentre Masuccio Salernitano, con il quale Solimena era imparentato (Mauro, 1926, p. 11), gli dedicò una sua novella («Al prestantissimo messer Jacobo Sominena fisico salernitano», «novello Esculapio e ottimo medico»). Infine, Ceccarella Minutolo, a cui è stato attribuito un epistolario composto tra il 1460 e il 1470 circa, gli destinò una lettera in cui ne sottolineava l’ampia dottrina poetica e filosofica, chiedendogli, nel contempo, di guarirla dall’asima de core (1999, p. 63; cfr. Croce, 1942, p. 58).
Non sappiamo dove Solimena normalmente soggiornasse, ma le sue frequentazioni napoletane suggeriscono che egli avesse trascorso gran parte della vita a Napoli e non a Salerno, città dove, peraltro, egli è appena ricordato dalla storiografia erudita, edita e inedita, anche quella più informata sui medici di origine salernitana (cfr., per esempio, De Renzi, 1857, p. 583, che si limita ad attingere a informazioni di seconda mano). La presenza a Napoli è confermata dal fatto che dall’ottobre (mese in cui iniziava l’anno accademico) del 1465 Solimena fu lettore allo Studium. Se, come sembra, esso era rimasto chiuso dopo il 1455, egli fu tra coloro che furono chiamati alla ripresa delle attività didattiche all’indomani della riapertura da parte di re Ferrante. Le cedole di tesoreria (note dei registri d’introito e d’esito della Regia tesoreria) attestano la presenza di Solimena come lettore fino al marzo del 1471 e, come per i suoi colleghi, ne registrano la provisione, tra i 190 e i 300 ducati annui; tuttavia solo di rado nelle cedole si precisa il ruolo del lettore (è qualificato come medico solo nei mesi di dicembre 1465 e gennaio 1466: Cannavale, 1895, pp. XXVII s. nn. 73 e 78; Barone, 1884, p. 205), tanto che si è ipotizzato che potesse aver letto di filosofia (Scarcia Piacentini, 1980, p. 143) o persino di giurisprudenza (Origlia, 1753, p. 259).
Dopo la primavera del 1471 non si hanno più notizie di Solimena, che morì probabilmente prima del 21 luglio di quell’anno, quando i suoi figli, Francesco, abbas, rettore della chiesa parrocchiale salernitana di S. Maria de Alimundo, e Antonio, in rappresentanza anche del fratello Nicola, reclamarono la cappellania della stessa chiesa, su cui esercitavano il diritto di patronato (Mauro, 1926, pp. 11, 53 s.). Il 4 novembre 1474 comparvero come eredi «Jacobj Sulimenj artium et medicine doctoris» (pp. 54 s.). La sepoltura, se ubicata in Salerno, poteva trovarsi nella cappella di S. Caterina (nel complesso della cattedrale), eretta dal suo avo Guglielmo prima del 1414 (Braca, 2003, pp. 205-207).
L’eredità scientifica e professionale di Solimena, e soprattutto le sue virtutes, sulle quali insisterà Ranzano (2007, p. 178), furono raccolte dal figlio Antonio, la cui biblioteca (De Marinis, 1957, pp. 263-266) esemplificava la molteplicità degli interessi suoi e del padre, ma anche di altri dottori di medicina della seconda metà del Quattrocento (De Frede, 1960, p. 17; Scarcia Piacentini, 1980, pp. 143 s.) e del multiforme ambiente culturale contemporaneo. A contribuire alla notorietà di Solimena, dopo la sua morte, fu soprattutto l’umanista Giovanni Pontano, il quale, oltre a ricordarlo in una lettera a Calenzio, quando forse era già morto (Lettere di Giovanni Pontano..., 1907, p. 63 n. XXVII), gli dedicò un epigramma sepolcrale (l. II n. 59; Pontano, 1974, p. 179), in cui, pur attraverso un linguaggio immaginifico e ampolloso, espresse la sua stima personale per Solimena e la sua dottrina.
Fonti e Bibl.: Salerno, Biblioteca provinciale, Mss., 18: Famiglie nobili delli tre seggi della città di Salerno (prima metà XVIII secolo), c. 164rv; Elysii Calentii Amphratensis Epistolae, in Epistolarum laconicarum farragines duae..., Basileae 1545, pp. 393 s., 418 s., 441, 480 s.; N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli uomini illustri in Lettere di Napoli, e del Regno..., Napoli 1678, pp. 124 s.; G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, I, Napoli 1753, p. 259; S. De Renzi, Storia documentata della scuola medica di Salerno, Napoli 1857, p. 583; A. De Ferrariis, La Giapigia e vari opuscoli, trad. dal latino, III, Lecce 1868, p. 194; C. Minieri Riccio, Biografie degli accademici alfonsini, Napoli 1881, pp. 165-167; N. Barone, Le cedole di tesoreria dell’Archivio di Stato di Napoli, dall’anno 1460 al 1504, in Archivio storico per le province napoletane, IX (1884), p. 205; G.B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane, II, Pisa 1888, p. 542; E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento. 2700 documenti inediti, Napoli 1895, pp. XXII, XXV, XXVII s., XXX s., XXXVI-XLI, XLIII-XLVI, XLVIII-LI, LIII s., LVI s., LIX s., LXII-LXIV, LXVI, LXVIII-LXX, LXXII-LXXVI, LXXX s.; Lettere di Giovanni Pontano a principi ed amici, a cura di E. Percopo, in Atti dell’Accademia Pontaniana, s. 2, XII (1907), p. 63; G. Solimena, Origini, armi, feudi e giuspatronati dei Solimèna di Salerno, in Archivio storico della Provincia di Salerno, I (1921), 2-3, pp. 145-151; R. Filangieri di Candida, L’età aragonese, in F. Torraca et al., Storia della Università di Napoli, Napoli 1924, pp. 183 s.; A. Mauro, Per la biografia di Masuccio Salernitano, Napoli 1926, pp. 11, 53-55; B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, I, Napoli 1942, p. 58; T. De Marinis, La Biblioteca napoletana dei re d’Aragona, II, Milano 1957, pp. 263-266; C. De Frede, I lettori di umanità nello Studio di Napoli durante il Rinascimento, Napoli 1960, p. 17; G. Pontano, De Tumulis, a cura di L. Monti Sabia, Napoli 1974, p. 179; P. Scarcia Piacentini, Lettere di un ignoto umanista (Vat. Lat. 2906: personaggi e cultura d’area salernitana), in Humanistica Lovaniensia, XXIX (1980), pp. 104 s., 127, 135, 143 s.; P.O. Kristeller, Studi sulla Scuola medica salernitana, Napoli 1986, pp. 72 s.; B. Figliuolo, La cultura a Napoli nel secondo Quattrocento. Ritratti di protagonisti, Udine 1997, pp. 140-146; C. Minutolo, Lettere, a cura di R. Morabito, Napoli 1999, p. 63; A. Braca, Il Duomo di Salerno. Architettura e culture artistiche del medioevo e dell’età moderna, Salerno 2003; P. Ranzano, Descriptio totius Italiae (Annales, XIV-XV), a cura di A. Di Lorenzo - B. Figliuolo - P. Pontari, Firenze 2007, p. 178; Masuccio Salernitano, Il Novellino, nell’edizione di L. Settembrini, a cura di S.S. Nigro, Milano 2008, pp. 256 s.