ROSSI, Giacomo
– Nacque a Bologna il 12 settembre 1751 (Bologna, Archivio generale arcivescovile, Registro battesimale, 1751, p. 200) da Antonio e da Francesca Bazzani, residenti nella parrocchia di S. Vitale e Agricola. All’età di circa diciassette anni s’iscrisse alla scuola di figura presso l’Accademia Clementina e fu allievo di Filippo Scandellari e Domenico Piò.
Nel 1770 vinse il premio Marsili Aldrovandi per la seconda classe di scultura con un bassorilievo sul tema Endimione che dorme e Diana amorosa a lui discende; l’anno successivo ottenne ex aequo con Giovanni Lipparini l’ambito premio di prima classe con Esaù e Giacobbe s’abbracciano assieme, ma di fatto il premio non gli fu mai consegnato in quanto il bassorilievo fu dichiarato irregolare perché non cotto né dipinto, come prescritto dal regolamento.
Terminati gli studi, nel 1775 affrontò il suo primo cantiere nel palazzo Tavecchi (poi denominato Rusconi) a Cento, dove realizzò la decorazione in stucco dello scalone: i medaglioni e le statue di Euterpe, Calliope, Apollo e Afrodite con il piccolo Eros.
La sua produzione artistica fu molto ricca anche in virtù della fraterna amicizia con l’architetto Angelo Venturoli (1749-1821). Tra i due ci fu profonda stima, in forza della quale Angelo si adoperò sempre affinché nei suoi cantieri l’amico fosse chiamato a eseguire le decorazioni. Il primo lavoro in cui entrambi furono impegnati, seppur con diverse mansioni, fu l’abbellimento di casa Berti a Bologna (1777-78), eseguito sotto la guida del famoso pittore Gaetano Gandolfi. Venturoli fece il disegno della decorazione delle pareti dello scalone, mentre Rossi ebbe l’incarico di curare gli ornati in stucco attorno ai dipinti fatti da Gandolfi nello sfondato dello scalone e nel soffitto della loggia superiore: vari medaglioni, due angeli in rilievo e quattro erme.
Dopo questa esperienza condivisa, iniziò una costante collaborazione tra Venturoli e Rossi: il primo, ricevuto l’incarico di scegliere i marmi per il nuovo altare maggiore della chiesa di S. Maria della Vita a Bologna (1777-79), fece intervenire Giacomo per realizzare, nella parte alta dell’altare, due angeli in stucco che sostengono il medaglione con la figura del Padreterno benedicente che tiene in mano il globo celeste.
Il 16 gennaio 1779 Giacomo sposò Teresa Mazzoni, attrice di teatro, dalla quale ebbe prima il figlio Federico (1783-1871), che divenne maestro d’ingegneria, e, sette anni dopo, la figlia Adelaide (1790-1809), che morì a diciannove anni in seguito a un’improvvisa e violenta febbre. Il conseguente grande dolore per questa perdita potrebbe aver generato nello scultore quell’attacco apoplettico che lo colpì procurandogli una grande infermità, protrattasi fino alla morte.
Di Rossi conosciamo il ritratto che lo raffigura con la cetra poetica, eseguito da Pietro Fancelli per l’Accademia; lo scultore, infatti, amava esibirsi suonando brani di musica e declamando le tragedie di Vittorio Alfieri nel salotto letterario di casa Aldrovandi. Rossi si cimentò anche nella prosa e nella poesia: scrisse recensioni, epitalami, prefazioni e discorsi.
La collaborazione con Venturoli continuò nel cantiere di villa Guerrini (1775-80) a Calcara (comune di Crespellano), dove Rossi eseguì nella galleria al piano terra una statua in stucco raffigurante Flora e, nello scalone, altre quattro: Venere, Paride, Minerva e Il Genio, tutte con postura statica e ancheggiante (tipica della scultura barocca). Queste opere sono ben diverse da quelle, caratterizzate da atteggiamenti dinamici e ampi gesti, che furono poi realizzate da Rossi in S. Giuliano a Bologna (i profeti Daniele ed Ezechiele, in stucco) e in S. Maria Annunziata sempre a Bologna (i profeti Isaia e Geremia, in stucco).
In quest’ultima chiesa lo scultore interpretò magistralmente, in modo quasi teatrale, l’intervento divino su Isaia nella profezia dell’Annunciazione, rappresentando la sapienza di Dio con un forte vento che scompiglia la barba e le vesti del profeta e ne scuote anche la mente.
Nella ricca decorazione scultorea della chiesa di S. Giuliano (1780-81), ideata da Venturoli e costituita da otto statue in stucco (quattro Evangelisti e quattro Profeti) degli scultori Ubaldo Gandolfi, Giacomo Rossi, Petronio Tadolini e Matteo Prinetti, Rossi ebbe un ruolo più importante degli altri: oltre a realizzare le statue già citate dei due profeti (forse i suoi capolavori), fece, con ottimi risultati, anche le sculture in stucco sugli architravi dei quattro altari laterali e i bassorilievi delle relative mense. Analoghe decorazioni vennero ripetute subito dopo nei sette altari della chiesa di S. Domenico a Budrio (1781 circa) seguendo lo schema già collaudato in S. Giuliano.
L’opera più importante di Rossi è la decorazione di villa Hercolani (1784-88) a Belpoggio (Bologna), inizialmente attribuita a Giacomo de Maria. Il lavoro durò quattro anni e si svolse sia all’esterno sia all’interno del fabbricato progettato da Carlo Bianconi con la collaborazione (limitata al disegno della recinzione del parco) di Angelo Venturoli.
Sull’esterno, in facciata, lo scultore eseguì l’enorme fastigio in marogna (stucco di calce) con lo stemma della famiglia posizionato tra due Ercoli seduti, con in capo la pelle di leone e in mano la clava. Sui piloni del cancello principale realizzò in marogna due statue in posizione sdraiata, Pomona e Flora, mentre sui pilastri dei cancelli laterali fece quattro Sfingi. Delle numerose statue previste sulle terrazze laterali e sul piazzale della fontana, conosciamo soltanto il soggetto di due sculture «costruite lateralmente ai terrazzi del palazzo a Belpoggio, [...] una detta Dejanira, e l’altra Jole» (Bologna, Archivio Hercolani, Libri contabili, Mastro, 1785-1787, p. 498). All’interno della villa, Rossi rappresentò, con due statue in stucco, le virtù della famiglia Hercolani: Minerva, simbolo della Ragione, e Apollo, simbolo del Sentimento, e, con due gruppi statuari, le allegorie della Salute e Abbondanza e della Musica e Danza (Galeazzi, 2010). In queste opere Rossi dimostrò ancora una volta di essere pervaso da un’ansia di rinnovamento che lo indusse a cercare un’evidente dinamicità nei due complessi statuari, pur non rinunciando al legame con la tradizione clementina nelle posture stereotipate delle due statue singole.
Nel palazzo Pallavicini (già Alamanni) Rossi curò la decorazione in stucco del camerone e della sala dei Convitti dell’appartamento di rappresentanza (1789-92). Questi ornati costituiscono, insieme a quelli delle residenze Gnudi, Aldrovandi e Albergati a Zola Predosa, le principali realizzazioni di Rossi secondo le regole e il lessico di Carlo Bianconi.
Lo scultore intervenne anche nella decorazione della prima camera nell’appartamento nobile di palazzo Cospi-Ferretti con tre bassorilievi in stucco: La Pace e l’Abbondanza sopra il camino (Galeazzi, 2014) e due Sibille sopra le porte (Matteucci, 2002). Da attribuire sempre a Rossi «tutti li sopra usci con sculture in gesso dimostranti Puttini e Deità» di palazzo Tubertini, detto anche palazzo Ludovisi (Bassani, 1816, p. 134).
Rossi ricevette numerosi titoli e incarichi da vari enti e da prestigiose accademie: di belle arti di Milano, degli Inestricati, dei Fervidi e della Clementina di Bologna, dalla quale fu nominato accademico del Numero (30 agosto 1786), direttore con l’incarico di insegnare figura (21 ottobre 1792) e, in varie epoche, segretario e presidente. Con l’arrivo dei francesi, Rossi continuò a essere l’artista di maggior prestigio fra gli accademici bolognesi: il 28 ottobre 1796 in palazzo D’Accursio fece parte, insieme a Mauro Gandolfi, della delegazione degli artisti incaricati di accogliere e acclamare accademico d’onore il generale Bonaparte.
Con l’avvento di Napoleone, Rossi si allineò ai nuovi ideali rivoluzionari sotto la guida del conte Carlo Filippo Aldrovandi Marescotti, cui era vicino, oltre che per condivisione di idee politiche, anche per interessi poetici e soprattutto artistici (collaborò alla produzione di terraglie nel palazzo del conte in via Galliera).
Nel gennaio 1804, in qualità di segretario responsabile della direzione artistica e disciplinare della nuova Accademia nazionale di belle arti, compose l’orazione inaugurale, nella quale affermò che le arti applicate e l’architettura dovevano contribuire all’elevazione morale dell’uomo mediante la perfezione delle forme; inoltre sostenne che soltanto la natura poteva essere fedele guida e sapiente maestra degli artisti. Però in pratica non seppe rinunciare ai vecchi principi assimilati all’Accademia.
Giacomo lavorò per l’amico Aldrovandi Marescotti nella decorazione della camera con alcova del palazzo di città e fu direttore artistico, fino alla fine del 1809, nella fabbrica di ceramiche Aldrovandi, fondata nel 1794 in via Galliera. Durante questa esperienza egli trasferì, nelle piccole figure in ceramica, le linee sobrie e armoniche del linguaggio espressivo del neoclassicismo.
A differenza di altri scultori dell’Accademia, come Luigi Acquisti e Giacomo de Maria, Rossi non abbandonò mai Bologna; non si trasferì a Roma a sperimentare la tecnica della scultura in marmo presso la bottega di Antonio Canova, né andò a Milano a eseguire statue per la facciata del duomo. Solo per un brevissimo periodo si recò a Milano per organizzare la nuova Accademia nazionale di belle arti.
Rossi avrebbe potuto continuare con evidente profitto la sua attività artistica, se non fosse stato costretto a interromperla a causa del citato attacco apoplettico che lo rese completamente inabile e, dopo un lungo periodo di invalidità, lo portò alla morte il 6 gennaio 1817, nel suo appartamento a Bologna (Bologna, cimitero Monumentale della certosa di Bologna, Registro sepolcri privati 1801-1849).
Altre opere (tutte a Bologna, quando non diversamente specificato): Bononia e Parisio, in stucco, chiesa S. Nicolò, 1777 (non più esistenti); due Angeli in stucco, chiesa di S. Maria Labarum Coeli, 1780; statue per undici sepolcri in cartapesta e stucco, 1780-1800 (non più esistenti); quattro Virtù, una statua e due Angeli in stucco, chiesa di S. Margherita, 1782 (non più esistenti); due statue in stucco, casino Modoni a Medicina, 1782-84 (non più esistenti); dodici disegni preparatori ad alcune incisioni per il libro, in otto tomi, Teatro italiano antico, a cura di Tommaso Masi, Livorno 1786-1789 (in partic. cinque per il vol. I, tre per il vol. II, due per il vol. III, uno per il vol. IV, uno per il vol. VI); sei mascheroni in terracotta, facciata di palazzo Bianchetti, 1787; stucchi nella sala degli Specchi, palazzo Gnudi, 1789-90; Reliquiario di s. Ilario, chiesa di S. Mamante a Medicina, 1790-91; soffittatura a cassettoni, abbazia di S. Michele Arcangelo a Poggio Renatico (Ferrara), 1790-91 (non più esistente); decorazione della galleria, villa Albergati a Zola Predosa (Bologna), 1791; progetti di confessionali architettonici, chiesa di S. Agata e collegiata di S. Bartolomeo di Busseto, 1795; Minerva e Giunone e la Vittoria, palazzo D’Accursio, 1797; disegno e modello di medaglia in metallo dorato, celebrazione di Eustachio Zanotti, fine Settecento circa.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Fondo Aldrovandi Marescotti, n. 618, Libri contabili, Giornale 1780-1787, pp. 93 s.; Bologna, Accademia di belle arti, Atti, II, c. 104v; Archivio Fondazione collegio artistico A. Venturoli, Raccolta di lettere varie 1775-1781, 1778, 1779, 1780; Raccolta perizie, Poggio Renatico, P, 19, villa Guerrini, F, 29, villa Mòdoni, M, 102; Archivio generale arcivescovile, Registro battesimale, 1751, p. 200; Archivio Hercolani, Istrumenti, libri 166, n. 10, e 167, n. 23; Lettere da diversi, 1779, cartone 97, 1781-1782, cartone 99, 1784, cartone 102, 1785, cartone 104, 1787, cartone 108, 1788-1790, cartone 109; Libri contabili, Mastro, 1782-1784, p. 572, 1785-1787, p. 498, 1788-1790, p. 128.
P. Bassani, Guida agli amatori delle Belle Arti..., I, 1, Bologna 1816, p. 134; C. Bianconi, Guida del forestiere per la città di Bologna, Bologna 1835, p. 145; C. Ricci - G. Zucchini, Guida di Bologna, Bologna 1968, ad ind.; E. Riccomini, Vaghezza e furore. La scultura del Settecento in Emilia Romagna, Bologna 1977, p. 141; S. Tumidei, Contributo a G. R. scultore e disegnatore, in Arte a Bologna, II (1992), pp. 125-137; A.M. Matteucci, I decoratori di formazione bolognese tra Settecento e Ottocento. Da Mauro Tesi ad Antonio Basoli, Milano 2002, p. 302; S. Tumidei, Disegni di scultori bolognesi nella collezione Certani. Nuovi materiali per G. R., in Saggi e memorie di storia dell’arte, XXVII (2003), pp. 399-438; G. Galeazzi, Le trasformazioni architettoniche ed artistiche di villa Hercolani a Belpoggio, in Il Carrobbio, XXXVI (2010), pp. 69-92; Id., G. R. (1751-1817) scultore bolognese. Contributo per la biografia, in Strenna storica bolognese, LXIV (2014), pp. 165-206.