OREFICE, Giacomo
OREFICE, Giacomo. – Nacque a Vicenza il 27 agosto 1865 da Giuseppe e da Carlotta Levi, entrambi di antica e agiata famiglia di origine ebraica.
Iniziò presto gli studi musicali, poi completati al Liceo musicale di Bologna ove ebbe maestri i compositori Alessandro Busi e Luigi Mancinelli e nel 1885 si diplomò in composizione, presentando come saggio finale le brevi scene liriche L’oasi (testo di Giovanni Dal Monte). L’anno seguente si addottorò in giurisprudenza. Gli esordi nella professione musicale lo videro, come d’uso all’epoca, nelle vesti di pianista di musiche proprie, alcune delle quali figurano fra i suoi primi lavori pubblicati: Pagine d’album per pianoforte (1885), Due melodie su versi di Giovanni Prati (1893) e una raccolta di sei Bozzetti veneziani per canto e pianoforte tratti dalle Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo (1894). Praticamente inosservato passò nel 1889 il suo debutto operistico al teatro Carignano di Torino con Mariska, infocato dramma amoroso in tre atti, su libretto proprio, esemplato sui toni esotici e sensuali messi in voga dalla Carmen di Bizet. Seguirono, in una crescente attrazione per le scene, la commedia lirica Consuelo, liberamente ispirata al romanzo di George Sand (Bologna, teatro Comunale, 1895, Cesira Ferrani primadonna) e l’atto unico Il gladiatore, dalla Messalina di Pietro Cossa, classificato terzo al concorso Steiner di Vienna nel 1896. Il successo arrivò nel 1901 con l’opera Chopin, quattro quadri su libretto di Angiolo Orvieto, rappresentata al teatro Lirico di Milano e destinata a diventare la sua composizione più famosa.
A determinarne la fortuna, al di là delle intrinseche qualità artistiche, fu l’accattivante singolarità dell’opera, che mette in scena la figura di Frédéric Chopin attraverso una scelta delle sue musiche: un centinaio di estratti dalle Mazurke, dai Notturni, dagli Studi, dalla Berceuse forniscono, coniugati col belcanto, una facile quinta sonora alla vita del musicista polacco sommariamente riassunta nelle tappe salienti (la giovinezza in Polonia, Parigi, Maiorca, di nuovo Parigi per la morte), in un clima sentimentale estetizzante e crepuscolare che richiama, nel cliché della ‘vita d’artista’, gli spiriti dell’ultima Scapigliatura milanese, e non sempre riesce a sottrarsi alle insidie del kitsch. Unica delle sue opere a varcare i confini nazionali, Chopin fu replicata negli anni seguenti a Varsavia, Parigi, Praga; ancora nel 2010, nel bicentenario chopiniano, ha conosciuto un revival in Polonia.
L’opera successiva, Cecilia (4 atti, Vicenza, 1902) fu ancora un corrusco dramma storico, nella fattispecie di ambientazione rinascimentale, tratto dall’omonimo dramma in versi di Cossa che Eleonora Duse aveva riportato agli onori della scena. Ma l’amicizia con Angiolo Orvieto, il librettista di Chopin, fine intellettuale e poeta i cui versi Orefice aveva già musicato nel 1901 in una raccolta di 12 Liriche per canto e pianoforte pubblicata da Sonzogno (1903), non mancò d’influenzare le sue scelte letterarie, indirizzandolo verso nuovi orizzonti e nuove scoperte, in particolare verso la letteratura russa, che andava rivelandosi proprio allora al pubblico italiano. Al sodalizio con Orvieto si devono due lavori che si distinguono dai precedenti per nerbo drammaturgico, finezza di caratterizzazione e un uso più accorto e ponderato delle risorse musicali: il poema drammatico in 4 atti Mosè (Genova, teatro Carlo Felice, 1905), rivisitazione in chiave ebraica della vicenda mosaica in buon anticipo sul Moses und Aron di Schönberg, e l’atto unico Il pane altrui (Venezia, teatro La Fenice, 1907), adattamento di Orvieto (sulla base della versione francese) della commedia Nachlebnik (Il mangiapane) di Ivan Turgenev, dove le ascendenze veriste di Orefice ben si adattano a riprodurre il ‘realismo sociale’ dello scrittore russo. Un’ulteriore maturazione di queste premesse fu Radda, tre atti su libretto di Carlo Vallini dal racconto Makar Čudra di Maksim Gor’kij, che andò in scena al Lirico di Milano nel 1912 e che segnò di fatto la fine della sua carriera teatrale. Sebbene Radda sia un’opera aggiornata sotto il profilo musicale, non poteva sfuggire a un osservatore attento come Orefice il divario che ormai lo separava dalle tendenze imperanti nella musica italiana all’indomani della prima guerra mondiale. Due ulteriori lavori teatrali (Ugo e Parisina, 1915, da Byron, e Il castello del sogno, 1921, dal poema tragico di Enrico Annibale Butti) furono infatti lasciati inediti e ineseguiti.
A margine dell’attività teatrale Orefice si dedicò con costanza anche alla composizione strumentale; lo si annovera fra i non molti italiani che a cavallo tra Otto e Novecento s’impegnarono a recuperare in quel campo il terreno perduto. Al 1892 risale una prima Sinfonia (Do minore), un genere a cui tornò saltuariamente in seguito con una seconda Sinfonia (Re minore, 1911), la Sinfonia del bosco, premiata all’Esposizione di Torino del 1898, e le suites Anacreontiche e Laudi francescane (1920), nelle quali si rivela buon allievo di Mancinelli per l’eleganza della forma, la padronanza della tecnica orchestrale e il colorismo illustrativo già sulla linea che sarà di Ottorino Respighi. Tratti più originali presenta tuttavia la produzione da camera, che ebbe l’onore di una recensione di Alfredo Casella sul Cobbett’s Cyclopedic Survey del 1929; fra le opere edite si segnalano due Sonate per violino e pianoforte (Mi minore e Re maggiore, 1908), una per violoncello e pianoforte (Fa maggiore, 1918), un Trio in Do minore per violino, violoncello e pianoforte (1912), Riflessi e ombre (da un tema) per quartetto d’archi e pianoforte (1916). Di pari interesse sono i lavori pianistici, dove il gusto descrittivo assume tonalità impressionistiche: Due studi da concerto (Ondine, 1886; Orde barbare, 1888), Crepuscoli (1904), Quadri di Boecklin (1905), Miraggi: [10] studi pittoreschi (1906) e Preludi del mare (1913), tutti pubblicati nel 1916.
Intensa fu anche l’attività di insegnante, critico e promotore di iniziative musicali. Nel 1904 fondò l’Associazione italiana amici della musica, di cui fu presidente per vari anni; nel 1909 assunse la cattedra di composizione al Conservatorio di Milano, dov’ebbe per allievi Nino Rota, Victor de Sabata e Lodovico Rocca. Scrittore di buona penna, fu critico musicale del Secolo di Milano, collaboratore della Rivista musicale italiana e di altre riviste, in ultimo Popolo e Arte (Brescia, 1921) di ispirazione socialista. Alla morte del suo maestro pubblicò la monografia Luigi Mancinelli (Roma 1921).
In anni in cui, chiusa la parentesi risorgimentale, la cultura musicale italiana s’interrogava sulla propria identità in relazione all’Europa, Orefice intervenne autorevolmente nella discussione intellettuale. Nel 1917, in larvata polemica con le tendenze nazionalistiche rappresentate da Fausto Torrefranca e Ildebrando Pizzetti, pubblicò sulla Rivista musicale italiana (XXIV, pp. 301-315) un articolo su La crisi del nazionalismo musicale: in esso riconosceva il valore fondativo delle radici musicali della nazione, che tuttavia la musica d’arte era tenuta a trascendere in una prospettiva internazionale. Un assunto analogo era già implicito nella sua ‘riscoperta’ dell’Orfeo di Monteverdi (cfr. C. Monteverdi, L’Orfeo. Trascritta dall’edizione originale del 1609 colla realizzazione del basso continuo da Giacomo Orefice, Milano 1909, con prefazione sua), che aveva riproposto in una versione ammodernata suscitando il dissenso dei filologi, in particolare di Gaetano Cesari, il quale sottopose la trascrizione a un’agguerrita disamina.
Intimamente convinto della funzione culturale della musica e della necessità di una maggior integrazione nella vita sociale e nel dibattito delle idee, nel 1918 in un altro saggio (Conservatorio o università musicale?, in Rivista musicale italiana, XXV, pp. 461-480) Orefice criticò l’eccessivo specialismo settoriale dei corsi di composizione, suggerendo per gli studi musicali superiori un assetto più aperto e organico di tipo universitario. Ne seguì un’accesa polemica dominata dalle voci contrarie di Pizzetti e altri, raccolti attorno alla rivista fiorentina La Critica musicale (1919-20). La proposta di Orefice rimase lettera morta nella successiva riforma dei conservatori varata durante il fascismo.
Morì a Milano il 22 dicembre 1922.
Nel 1896 aveva sposato Lucia Cantoni (1871-1968), da cui ebbe i figli Alberto e Giuliana.
Il lascito musicale di Orefice è stato donato dai discendenti alla Biblioteca del Conservatorio di Milano, dov’è stato costituito un Fondo Orefice che raccoglie la quasi totalità delle opere edite e inedite. Ai titoli già citati si aggiungono: il balletto La soubrette (libretto di Achille Coppini, Milano, La Scala, 1908), l’opera in 3 atti Marcello Spada (1909, non rappresentata), la suite Tempio greco per violoncello e orchestra (1914). Per pianoforte alcuni brani salottieri giovanili: Sérénade allemande: Valse-caprice, 1886; Bolero (Jacinta) e Tarantella brillante (A Posillipo!, 1889); e un Preludio e fuga su un soggetto di Meyerbeer pubblicato nel 1919. Inoltre, per canto e pianoforte, 4 Liriche (su versi di Carducci, d’Annunzio e altri, 1919) e le raccolte postume 5 Tanke giapponesi e Sette canti da “Il giardiniere” di Tagore.
Fonti e Bibl.: G. Pan[nain], G. O., in Musica d’oggi, V (1923), pp. 10 s.; A. Casella, G. O., in Cobbett’s cyclopedic survey of chamber music, II, London 1929, pp. 210; G. Mantese, Storia musicale vicentina, Vicenza 1956, pp. 136 s.; A. Bassi, G. O.: tradizione e avanguardia nel melodramma del primo ’900, Padova 1987; O. Maione, I Conservatori di musica durante il fascismoLa riforma del 1930: storia e documenti, Torino 2005, pp. 21-25; F. Lazzaro, I meccanismi recettivi della musica antica nelle trascrizioni novecentesche dell’“Orfeo” di Monteverdi, in Il Saggiatore musicale, XVII (2010), pp. 207-209; A. Lanza, G. O., in The new Grove dictionary of Opera, 1992, III, p. 736; Id., G. O., in The new Grove dictionary of music and musicians, XVIII (ed. 2001), p. 554 s.