MUTI, Giacomo
MUTI (de Mutis), Giacomo. – Nacque intorno al 1310 dal romano Niccolò di Romano Muti, in un’agiata famiglia dell’aristocrazia cittadina del rione di S. Eustachio, la cui ricchezza derivava da attività mercantili e creditizie attestate già nel Duecento.
Il nome di famiglia solo nella letteratura moderna risulta a volte corrotto in de Militibus o Romena. Accanto a una sorella di nome Margherita, si conoscono tre fratelli: il chierico Angelo (che divenne canonico di S. Pietro), Giovanni Paolo e Romanello (quest’ultimo continuò la famiglia). Probabilmente fu cugino di Silvestro Muti, attivo nella vita politica del Comune di Roma; i due figurano insieme in alcuni atti notarili stipulati fra il 1356 e il 1368, in cui Silvestro appare come testimone, segno di una certa familiarità; le carriere dei due rappresentano esempi dell’ascesa sociale del loro ceto tramite l’impegno negli studi giuridici e negli uffici pubblici del Comune romano, svantaggiato economicamente dall’assenza del papato residente ad Avignone, da cui tuttavia traeva anche opportunità politiche.
Forse dopo una prima frequentazione dello Studium Urbis a Roma, nel 1339 Muti risulta studente all’Università di Perugia. Già legum doctor, giunse alla Curia papale ad Avignone nel 1344 come ambaxiator Romani populi presso papa Clemente VI; in questa occasione ottenne in data 13 aprile la gratia expectativa per un canonicato nella chiesa di S. Eustachio a Roma e uno ad Assisi (Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Reg. Suppl. 6, c. 286v; Reg. Vat. 158, c. 194r; Reg. Vat. 161, c. 440r-v).Nel 1346 divenne arcidiacono di Palermo. Nel 1351, con Angelo Filippi, canonico di S. Maria Maggiore, risulta documentato come vicario generale del cardinale vescovo di Ostia e Velletri, Bertrand du Poujet. Fu nominato docente di diritto civile presso lo Studium Urbis – più precisamente per due officia, doctoratus nuncupata, da tenere rispettivamente di mattina e di pomeriggio – la prima volta nel 1348 da Clemente VI e successivamente nel 1354 da Innocenzo VI. Nel 1355 è menzionato come auditor del cardinale vescovo di Ostia Pierre Bertrand du Colombier. Saltuariamente risulta anche impegnato come giudice a Roma, come accadde il 16 settembre 1360, quando emise un arbitrato in una lite riguardante la portio canonica fra i canonici di S. Cecilia in Trastevere e il convento delle clarisse di S. Lorenzo in Panisperna.
Fra il 1360 e il 1361, Innocenzo VI impegnò Muti come commissario, ossia officialis,della Camera apostolica a Roma. Sotto Urbano V, il 10 giugno 1363, iniziò il servizio ad Avignone come uditore della Rota (causarum palatii apostolici auditor) e ottenne il titolo di capellanus honorispapae. In data 23 settembre e 1° ottobre il pontefice, insieme al salvacondotto, dette notizia al popolo romano e ad altre autorità laiche ed ecclesiastiche della missione di Giacomo Muti di preparare il ritorno del papa a Roma e di sondare l’acquisto di Castel Sant’Angelo dagli eredi di Napoleone Orsini. Pochi giorni dopo, il 9 ottobre, Urbano V incaricò Muti di negoziare una pace o una tregua fra Pisa e Firenze (il 30 agosto 1364 venne conclusa la pace fra i due Comuni, ma per merito soprattutto del successore di Muti nel ruolo di mediatore, il generale dei francescani Marco di Viterbo). Probabilmente anche come riconoscimento per i suoi numerosi servigi, Muti, il 13 ottobre dello stesso anno, fu nominato dal papa vescovo dei Marsi. Fra i benefici che si liberarono in questa occasione va ricordata la vicaria dei Ss. Sergio e Bacco a Roma (che aveva ottenuto nel 1355). Alla fine del 1365 divenne vescovo di Arezzo, ma rimase probabilmente ancora ad Avignone, dato che nel 1366 Urbano V lo nominò consiliarius Camere Apostolice.
Non si sa molto circa l’importanza che ebbe il suo governo sulla vita diocesana di Arezzo dove, a quanto pare, non risedette mai. Tuttavia nei registri delle lettere papali si è conservato un mandato del 16 gennaio 1366 rivolto al cardinale legato Androin de la Roche, con il quale Muti ricevette l’incarico di informarsi su due nobili aretini, Azzo e Farinata degli Ubertini, che avevano occupato quattro castra (Castellare, Serravalle, Marciano e Corgna), appartenenti alla mensa episcopale di Arezzo. Sicuramente su iniziativa di Muti i due nobili furono minacciati di scomunica nel caso in cui non avessero restituito nell’arco di un mese i beni occupati. Lo stesso giorno il papa, sempre tramite il suo cardinale legato, offrì al Comune di Firenze due mesi di tempo per la restituzione di alcuni castra del vescovo di Arezzo e per la compensazione di eventuali danni (a tale offerta seguì l’appello, nel 1368, intentato dalla repubblica di Firenze contro il vescovo presso il cardinale legato Guillaume Sudre, anche se non se ne conosce l’esito). Nel 1370 risulta che, per motivi non chiari, il vescovo aveva sottoposto all’interdetto il Comune terre Castillionis, situato nella sua diocesi e allora occupato dai perugini.
Muti tornò con papa Urbano V a Roma nel 1368, dove, fino al 1372, funse da suo vicario generale in spiritualibus in Urbe, importante carica implicante un intenso coinvolgimento in questioni giuridiche. Il pontefice gli indirizzò numerose lettere anche in merito agli eventi politici interni a Roma. Così, specialmente nell’estate del 1370, quando Urbano V si trovò a Montefiascone, il vicario, su incarico papale, cercò di rassicurare il popolo romano deluso per il ritorno del papa ad Avignone. In quell’occasione, durante il mese di agosto, fra il pontefice e i romani irrequieti furono discussi e poi conclusi alcuni capitula, portati a Roma da Muti e dal vescovo di Lucca (Guillaume de Lordat). Ai due prelati fu anche dato il potere di sciogliere e annullare confederazioni e congiure dei romani. Il 16 aprile 1369 Muti ricevette dal papa la facoltà di decidere a Roma tutte le cause fra chierici e laici romani pendenti davanti a uditori della Rota o davanti all’uditore della Camera apostolica. Nel 1369 fu chiamato da tre romani (il chierico Niccolò del fu Paolo Muti Pappazurri contro i fratelli Oddo e AmateschusPetri Errici) come arbitro in una lite. Il 16 aprile 1370, accanto a tre cardinali e ai vertici del Comune di Roma, assistette al ritrovamento e alla traslazione delle teste degli apostoli martiri Pietro e Paolo dalla cappella del Sancta Sanctorum all’altare maggiore della basilica di S. Giovanni in Laterano. Tre settimane dopo la sua elezione, il 21 gennaio 1371, il nuovo papa Gregorio XI lo confermò nel suo ufficio di vicario papale in spiritualibus a Roma.
Nella sua funzione di vicario ebbe numerosi compiti riguardanti la giurisdizione sui chierici e la distribuzione di una serie di benefici ecclesiastici riservati al vicario papale; la decisione di questioni ereditarie (specialmente se i legati testamentari erano di rilevanza per enti ecclesiastici); la conclusione di matrimoni fra parenti per riconciliare famiglie baronali in lite (Stefaneschi-Annibaldi nel 1368, Conti-Savelli nel 1369, di Vico-Orsini nel 1371); nonché l’ordine e la disciplina nei monasteri romani (nel 1368, su interessamento del cardinale titolare Androin de la Roche, gli fu affidata la sorveglianza sul passaggio della chiesa di S. Marcello da un collegio di canonici a una comunità di frati dell’Ordine dei servi di Maria). Inoltre il pontefice più volte gli conferì l’incarico di executor di lettere papali riguardanti l’assegnazione di benefici ecclesiastici e gli trasmise anche processi e inchieste di diversa natura, a volte anche con rilevanza fuori Roma, che dimostrano l’alto apprezzamento di cui godeva Muti. In più era stato nominato dal papa tra i conservatores per la salvaguardia degli interessi del potente ospedale romano di S. Spirito in Sassia.
Da alcune lettere papali si evince che Muti si impegnò per una vita corretta del clero di Roma, lottando contro chierici concubinari o violenti (che a volte si appellarono al papa contro le condanne del vescovo). I processi di cui si dovette occupare a volte furono assai lunghi e non trovarono una soluzione durante la sua vita, come accadde per una lite fra Francesco e Battista di Vico da un lato e Giovanni detto Topone di Tolfa Nuova, domicello viterbese, dall’altro, per il castrum Carcari (nei pressi di Tolfa) nella diocesi di Sutri.
Nel 1371 fu trasferito da Gregorio XI a Spoleto mantenendo però la sua funzione di vicario pontificio a Roma. Si trattava del terzo vescovado pertinente direttamente alla Sede apostolica che resse per volontà papale. Non è senza interesse che fu presente al castrum Galeria accanto a Latino Orsini il 12 gennaio 1372, quando Francesco e Battista di Vico accesero un’ipoteca sul castello di Bieda a garanzia della dote di Perna Orsini, sorella di Francesco di Giordano Orsini (del rione Ponte) e sposa del suddetto Francesco di Vico.
Morì probabilmente a Roma nel 1372 (e non nel 1374 come scrive F. Ughelli), forse il 7 luglio, avendo ormai acquistato la fama di «homo magne scientie, magni consilii et etiam magne industrie» (D. Williman, The right of spoil of the popes of Avignon, 1316-1415, Philadelphia 1988, p. 152).
Fu sepolto nella sagrestia di S. Pietro in Vaticano e lasciò a questa basilica 88 libre d’argento (ma i collettori papali ne detrassero 40) per la celebrazione di un anniversario e di tre messe nella cappella dei Ss. Processo e Martiniano (P. Egidi, Necrologi e libri affini della provincia romana, I, Roma 1908, pp. 228 s).
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Reg. Suppl., 39, c. 89v; 45, c. 89; Reg. Vat., 158, c. 194r; 161, c. 440; 184, c. 166r ep. 379; 170, c. 79; 177, c. 106; 229, cc. 221v-222r; 245, cc. 180v, 256v-257v, 262r-264v; 249, cc. 116, 132v; 250, cc. 107v-108r, 117, 118, 129v, 132v-133r, 136, 140v, 145v-146r; 264, c. 32v; Reg. Aven., 155, c. 102r; 168, c. 450v; 187, cc. 516v-517r; Biblioteca apostolica Vaticana, Arch. del capitolo di S. Angelo in Pescheria, I/6, notaio A. Scambi, cc. 36r, 78v; Ottob. lat. 2549/2, p. 724; Roma, Archivio storico Capitolino, Arch. Urbano, I/649, notaio P. Serromanni, 7, cc. 73v-74v; 8, c. 118r-v; 9, cc. 66r, 68r, 91r, 116; 10, c. 51r; Archivio di Stato, Archivio dell’Ospedale del Ss. Salvatoread Sancta Sanctorum, cass. 505, n. 1308; collez. pergamene 61/148; S. Ammirato, Vescovidi Fiesole, di Volterra et d’Arezzo, Firenze 1637, pp. 223 s.; F. Ughelli, Italia Sacra, I, Roma 1644, coll. 475, 983, 179*; A. Borgia, Storia della Chiesa e citta di Velletri, Nocera 1723, p. 308; F.M. Renazzi, Storia dell’Università degli studi di Roma, I, Roma 1803, pp. 269 s., doc. 31; A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, II, Roma 1862, p. 401 doc. 365; A. Di Pietro, Catalogo dei vescovidella diocesi dei Marsi, Avezzano 1872, pp. 118 s.; C. Calisse, I prefetti Di Vico, in Archivio della Società romana di storia patria, X (1887), p. 538; E. Werunsky, Geschichte Kaiser Karls IV. und seiner Zeit, III, Innsbruck 1892, pp. 312 s.; K. Eubel, Series Vicariorum Urbis a. 1200-1558, inRömische Quartalschrift, VIII (1894), p. 497; F. Savio, Simeotto Orsini e gli Orsini di Castel S. Angelo, in Bollettino della Società umbra di storia patria, I (1895), pp. 541 s.; Lettres secrètes et curiales du pape Urbain V (1362-1370) se rapportant à la France, a cura di P. Lecacheux, Paris 1902, nn. 623-635, 640-646; C. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, I, Münster 1913, pp. 104, 327, 461; E. Cerchiari, Capellani papae et apostolicae sedis auditores causarum sacri palatii apostolici seu Sacra Romana Rota, II, Roma 1921, pp. 30, 32; K.H. Schäfer, Die Ausgaben der Apostolischen Kammer unter den Papsten Urban V. und Gregor XI. (1362-1378), Paderborn 1937, p. 28; Lettres communes. Urbain V (1362-1370), a cura di M.-H. Laurent, 12 voll.,Paris 1958-89, nn. 9559, 17058, 18243, 22418, 23895, 24317, 24342, 24464, 26655, 26689 s., 26706, 26838, 27074, 27095, 27102, 27347 s.;Lettres secrètes et curiales du pape Grégoire XI (1370-1378) intéressant les pays autres que le France, a cura di G. Mollat, Paris 1962-65, nn. 10, 155, 720; R. Mosti, I protocolli di Johannes Nicolai Pauli, un notaio romano del ’300 (1348-1379), Rome 1982, p. 79 doc. 174; A.Tafi, I vescovidi Arezzo, Cortona 1986, p. 96; Lettres communes. Grégoire XI (1370-1378), éd. par A.-M. Hayez, Rome 1992, nn. 5566, 11189, 11231, 11577, 11868 s., 11926, 12095, 12104, 12166, 14601, 14541 s., 20851; 27256, 27337; M. Bertram - A. Rehberg, Matheus Angeli Johannis Cinthii. Un commentatore romano delle Clementine e lo Studium Urbis nel 1320, inQuellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXXVII (1997), p. 115 n. 93; A. Rehberg, Kirche und Macht im römischen Trecento. Die Colonna und ihre Klientel auf dem kurialen Pfründenmarkt (1278-1378), Tübingen 1999, pp. 281, 384 n. 111, 397; Id., Die Kanoniker von S. Giovanni in Laterano und S. Maria Maggiore im 14. Jahrhundert. Eine Prosopographie, Tübingen 1999, pp. 133, 184, 221, 253, 298, 303, 324, 338, 369, 390, 410 s., 414, 417, 423, 461; Id., I papi, l’ospedale e l’ordine di S. Spirito nell’età avignonese, in Archivio della Società romana di storia patria, CXXIV (2001), pp. 82, 126 s.; Id., Laportio canonica, le clarisse, il legato papale, il vicario di Roma e un arbitro: spigolature intorno ad un documento inedito del 1360, inQuellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXXXV (2005), pp. 467-489; I. Lori Sanfilippo, Notai e certificazione delle reliquie: il ritrovamento romano delle teste dei martiri Pietro e Paolo, in Notai, miracoli e culto dei santi. Pubblicità e autenticazione del sacro tra XII e XV secolo, a cura di R. Michetti, Milano 2004, p. 607; A. Rehberg, Roma 1360: Innocenzo VI, lo status popularise gli statuti di Roma, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, CX (2008), pp. 250 s.