GIOVANNINI (Gioannini), Giacomo Antonio
Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo pittore specializzato nella quadratura attivo, tranne rare eccezioni, con il fratello Antonio Francesco, nella prima metà del XVIII secolo in Piemonte e nel Varesotto.
Nel corso del tempo, e anche più di recente (Barberis), si è affermata la convinzione che i due artisti provenissero dall'Emilia, dove tradizionalmente era coltivata la pittura illusionistica e prospettica. Già Crespi (1769), che erroneamente li ricordava quali figli del pittore Carlo Cesare Giovannini, Chenna (1786) e poi, derivando la notizia da quest'ultimo, De Giorgi (1836) ne avevano affermato l'origine emiliana, e dato la notizia che sarebbero stati allievi dell'architetto e scenografo Francesco Galli Bibiena. Tuttavia, tra la fine del Seicento e i primi anni del secolo successivo, quando si deve porre il periodo di formazione dei Giovannini, il genere pittorico della quadratura era largamente praticato anche al di fuori dell'ambito dei Galli Bibiena, dando luogo, specialmente nell'Italia settentrionale, al fiorire di numerose botteghe specializzate in quel campo. In Lombardia e in Piemonte, per esempio, proprio in quel frangente, erano stati attivi Giovanni Battista e Girolamo Grandi, maestri quadraturisti originari di Varese e titolari di una bottega, presso la quale si è supposto che fossero stati avviati anche il G. e Antonio Francesco (Colombo, p. 319). Bartoli (1776-77), inoltre, li menzionava sistematicamente come i "Fratelli Giovannini da Varese"; e quest'origine è stata accettata anche da Baudi di Vesme (Schede Vesme). Non essendoci, però, alcun supporto documentario a favore dell'una o dell'altra ipotesi, la questione è al momento irrisolta.
La prima attività nota del G. è documentata in Piemonte, ad Alessandria. A partire dal 1713, con il fratello, fu coinvolto nei lavori di rinnovamento della cattedrale voluti dal vescovo Francesco Giuseppe Arborio di Gattinara, che, come segnala un inventario del 1726, commissionò al G. alcuni affreschi nel palazzo vescovile, oggi quasi totalmente perduti (Barberis). Al 1713 risale dunque la decorazione della rinnovata cappella di S. Giuseppe, che prevedeva la realizzazione da parte del pittore astigiano Giovanni Carlo Aliberti di un complesso decorativo - la Gloria del santo nella volta e i grandi riquadri con storie della vita sulle pareti - inserito all'interno degli scenari architettonici e prospettici messi in opera dai Giovannini. Ancora con Aliberti, nel 1723, il G. affrescò la cappella di S. Andrea. L'anno successivo fu decorata la cappella della Beata Vergine della Salve, dove il G. eseguì le quadrature per le figure del comasco Giuseppe Bianchi.
Gli affreschi del G. per la cattedrale, andati distrutti con la demolizione della chiesa ordinata da un decreto napoleonico nel 1803, dovevano costituire il frutto di una particolare cultura pittorica, improntata a un gusto per la quadratura spettacolare e spregiudicata, che si stava affermando ad Asti, Vercelli e a Torino, a opera degli stessi artisti.
Mentre era in corso la sua attività ad Alessandria, infatti, il solo G. si presentava sulla scena torinese in qualità di scenografo per il teatro Carignano. Come risulta dai libretti delle opere, realizzò infatti le scene (delle quali non rimane alcuna documentazione illustrativa) per la Ifigenia in Tauride di Domenico Scarlatti e per La fede tradita e vendicata di Francesco Gasparini, rappresentate durante il carnevale del 1719, nonché per l'Anagilda di Luca Antonio Predieri, messa in scena in quello stesso anno.
Nell'estate il G. era a Carignano. Il 16 luglio 1719 sottoscriveva con il fratello il contratto per la realizzazione degli affreschi nella volta della chiesa dello Spirito Santo, che la Confraternita dei battuti bianchi affidava loro, come si dichiarava esplicitamente in un verbale di qualche giorno prima (edito in Lusso), sulla base dei lavori di decorazione condotti con successo dai "due sigg. Pittori di architettura in detta sua arte eccellenti" in alcune residenze signorili (dei "conti di Cervere" e del "senatore Provana"), ma anche dietro valutazione di un "disegno" elaborato dagli stessi artisti. Saldate il 26 nov. 1720, queste decorazioni, dal colorito fresco e delicato, nella composizione vivace e leggiadra denotano un estro già barocchetto, che sarà così tipico della loro produzione successiva.
A parte la parentesi di Lugano, che nel 1734 portò l'artista a realizzare e firmare con il fratello le architetture dipinte della chiesa di S. Antonio, intorno alla metà del quarto decennio il G. è ricordato ad Asti da Bartoli, che riferiva ai fratelli Giovannini alcune imprese decorative realizzate in tempi diversi in città, tutte con la collaborazione del figurista Michele Antonio Milocco. I lavori in S. Martino, relativi alla decorazione della volta, furono portati a termine con ogni probabilità entro la data di consacrazione della chiesa, nel 1736. Se della notizia riguardante gli affreschi per una cappella in duomo non si hanno ulteriori specificazioni, delle architetture prospettiche dipinte che inquadravano le Storie della Vergine di Milocco nella Ss. Annunziata (distrutte nel 1959 insieme con la chiesa) è noto che furono realizzate intorno alla metà del secolo; mentre al 1760 risale la decorazione della Ss. Trinità. Ad Asti i tre pittori avrebbero anche eseguito dei soprapporte in palazzo Mazzetti (Mossetti, 1990, p. 51).
Alternando la presenza ad Asti, nel 1745 il G. e il fratello terminarono la decorazione della parrocchiale dell'Assunta di Ghemme insieme con Francesco Maria Bianchi (Pacciarotti) che dipinse le quattro grandi figure illustranti le Virtù della beata Panacea sui pennacchi della cupola e la Gloria della stessa sulla volta, mentre i Giovannini eseguirono le quadrature in un frizzante stile barocchetto.
Il 21 sett. 1752 il G. stipulò, sempre con il fratello, un contratto per la decorazione delle volte e delle pareti della chiesa di S. Cristoforo a Vercelli, rinnovando la collaborazione con Bianchi per le figure. Gli affreschi, firmati e datati dal G., furono terminati nel 1756.
Alcune imprese del G., eseguite con il fratello, non sono datate: la decorazione della chiesa parrocchiale di Biumo Inferiore, in provincia di Varese; le quadrature ora non più esistenti delle volte nella chiesa di S. Tommaso a Torino (Schede Vesme); le spettacolari architetture in S. Martino a Varese, andate perdu-te insieme con le opere che inquadravano (la Gloria del santo di Pietro Antonio Magatti e gli episodi del martirio di s. Bartolomeo e di s. Lorenzo eseguiti da Francesco Maria Bianchi: Colombo, p. 325). È molto probabile che quest'ultima opera del G. debba essere ricondotta a una fase tarda della sua attività, quando cioè la collaborazione con Bianchi si rinnovò in più occasioni, facendo pensare a una sorta di sodalizio. Altri lavori, come quelli condotti per la chiesa di S. Pietro a Como, sono ricordati solo dalle fonti (Bartoli).
Non è nota la data di morte del G., come neppure quella del fratello Antonio Francesco.
Fonti e Bibl.: L. Crespi, Vite de' pittori bolognesi, Roma 1769, pp. 125 s.; F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture ed architetture che ornano le chiese, e gli altri luoghi pubblici di tutte le più rinomate città d'Italia, I, Venezia 1776, pp. 59-62; II, ibid. 1777, p. 121; G.A. Chenna, Vescovato, vescovi e chiese della diocesi d'Alessandria, II, Alessandria 1786, pp. 36, 38 s.; G.A. De Giorgi, Notizie sui celebri pittori e su altri artisti alessandrini, con note di C. Mantelli, Alessandria 1836, p. 83; D. Soria, Guida di Vercelli, Vercelli 1857, p. 40; R. Bossaglia, Riflessioni sui quadraturisti del Settecento lombardo, in Critica d'arte, s. 4, VII (1960), pp. 378, 380, 385; L. Mallè, Le arti figurative in Piemonte. Dalle origini al periodo romantico, Torino 1961, pp. 383 s.; Schede Vesme. L'arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, II, Torino 1966, p. 534; G.B. Lusso, Carignano. I "luoghi pii", Pinerolo 1971, pp. 207 s.; N. Gabrielli, Arte e cultura ad Asti attraverso i secoli, Torino 1977, pp. 20 s.; S. Colombo, Dall'età dei Borromei a quella di Francesco III d'Este. Profilo delle vicende artisti-che del borgo di Varese e delle sue castellanze: dal manierismo al barocchetto, in Varese. Vicende e protagonisti, a cura di S. Colombo, II, Bologna 1977, pp. 319, 325; M. Viale Ferrero, La scenografia dalle origini al 1936, in Storia del teatro Regio di Torino, a cura di A. Basso, III, Torino 1980, pp. 90, 93-95; C. Spantigati, "Staziella carità sorger lo feo": dipinti, sculture e arredi tra antica e nuova sede, in La cattedrale di Alessandria, Torino 1988, pp. 117-119, 135; C. Mossetti, La pittura del Settecento in Piemonte. L'Astigiano, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, I, pp. 46, 48, 51; C. Spantigati, La pittura del Settecento in Piemonte. Alessandria, il Monferrato e l'area ligure, ibid., p. 54; P. Astrua, La pittura del Settecento in Piemonte. Vercelli, Biella e la Valsesia, ibid., p. 59; A. Barberis, Giovannini, Giacomo Antonio e Antonio Francesco, ibid., II, p. 738 (con bibl.); C. Mossetti, Un committente della nobiltà di corte: Ottavio Provana di Druent, in Torino 1675-1699. Strategie e conflitti del Barocco, a cura di G. Romano, Torino 1993, p. 351; G. Pacciarotti, Pittori varesini del tardo Seicento e del Settecento nel Novarese, in Artisti lombardi e centri di produzione italiani nel Settecento. Interscambi, modelli, tecniche, committenti, cantieri. Studi in onore di Rossana Bossaglia, a cura di G.C. Sciolla - V. Terraroli, Bergamo 1995, p. 227; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 149 (s.v. Giovannini, Carlo Cesare).