SCELSI, Giacinto Francesco Maria
– Nacque l’8 gennaio 1905 a Pitelli, frazione del comune di Arcola presso La Spezia, primogenito di Guido, ufficiale di marina, e di donna Giovanna, discendente dei marchesi d’Ayala Valva.
Il nonno paterno, Giacinto Ignazio Maria, di idee liberali e vasta cultura umanistica, ebbe parte nelle vicende risorgimentali e fu senatore del Regno d’Italia.
Scelsi trascorse l’infanzia con la sorella Isabella nell’antico castello di famiglia a Valva, nella valle del Sele, istruito da un precettore privato che gli insegnò il «latino, ma soprattutto gli scacchi e la scherma» (G. Scelsi, Il sogno 101, a cura di L. Martinis - A.C. Pellegrini, 2010, p. 224). Negli stessi anni, manifestò uno spontaneo interesse per il pianoforte, senza tuttavia ricevere una specifica educazione musicale. A parte ciò, poco si sa della sua formazione, di impronta squisitamente aristocratica, compiuta al di fuori di qualsivoglia ordine scolastico. Questo anche in seguito allorché, adolescente, si stabilì a Roma con la propria famiglia. Fu lì che conobbe Giacinto Sallustio, compositore legato a Ottorino Respighi e Riccardo Zandonai, che a partire dal 1922 impartì a Scelsi le prime lezioni di composizione, di contorno a un percorso nel quale a essere di primaria importanza non furono tanto gli studi formali quanto piuttosto l’esperienza cosmopolita a contatto con i più raffinati cenacoli culturali del tempo. In questo senso, fu rilevante l’assidua frequentazione del milieu parigino in cui Scelsi, giovanissimo, recepì il gusto per l’avanguardia e le suggestioni dell’ambiente francese, in particolare l’esotismo di Claude Debussy, la «lezione ritmica» di Igor′ Stravinskij (Pellegrini, 2013, p. 89) e il macchinismo futurista di Arthur Honegger e Aleksandr Mosolov.
Più in generale, l’intellectualité française plasmò il suo peculiare modo d’essere. Fu, dunque, emblematico in quegli stessi anni l’incontro con Jean Cocteau e, su tutt’altro fronte, l’assorbimento del pensiero di René Guénon che accese in lui l’interesse per le declinazioni culturali del sacro: un interesse che lo avrebbe poi accompagnato per tutta la vita e che, nel medesimo periodo, si acuì in seguito a un viaggio (compiuto nel 1927 tra Egitto, Palestina, Siria, Turchia e Grecia) in cui, al di là del ricco itinerario tra luoghi intrisi di suggestioni mistico-spirituali e saperi antichi, esperì per la prima volta sonorità rituali di matrice extraeuropea.
Il sentire musicale di Scelsi discese dunque da un vasto complesso di vissuti che certo ne delineò l’estro, ma per converso non favorì l’espletarsi di quella componente di esercizio che sta di norma alla base della formazione di un compositore; anzi, implicitamente, limitò le sue stesse possibilità all’improvvisazione su tastiera. E, questo, suo malgrado. Nel senso che, comunque, l’improvvisazione per Scelsi non fu mai un fine; evidentemente, egli recepì dalla sua formazione una concezione dell’opera d’arte musicale che comportava ipso facto l’aspirazione alla scrittura in quanto specifica modalità ideativa, delle cui tecniche tuttavia egli non acquisì mai il pieno magistero. Talché la sua prassi fu segnata da una sostanziale lacuna di mestiere, tradottasi nella necessità di annotare in vario modo le proprie idee e affidarne poi a terzi la composizione stricto sensu. Dai documenti oggi disponibili non risulta che Scelsi abbia mai compiuto su carta alcuna partitura del proprio opus. Più precisamente, sappiamo che a partire dalla fine degli anni Quaranta egli, straordinario improvvisatore, cominciò a utilizzare la tecnologia di registrazione per fissare e selezionare le proprie invenzioni musicali, determinando così, attraverso il materiale sonoro da trascrivere o da sviluppare parzialmente, l’azione dei suoi collaboratori. Con riferimento alla stagione giovanile, è invece impossibile formulare più che mere ipotesi. Una delle più plausibili è che Scelsi, com’è tipico di tutti gli improvvisatori, utilizzasse delle ‘formule’ personali per dare alle sue creazioni estemporanee un’identità che i collaboratori cercavano poi di restituire nella composizione, muovendo da alcuni appunti loro forniti dal musicista assieme a una serie di indicazioni e idee per lo sviluppo, dissolte tuttavia nell’oralità che regolava l’intero processo.
I suoi primi lavori nacquero così con l’aiuto di Sallustio. Tra essi sono da ricordare la lirica per violino e pianoforte Chemin du cœur (1929) e Rotativa nella versione per tre pianoforti, fiati e percussione (1930): la prima esecuzione di questo brano, avvenuta a Parigi nel 1931 sotto la direzione di Pierre Monteux, coincise anche con il debutto di Scelsi nel mondo musicale. Un episodio, questo, da non confondere tuttavia con l’incipit di una carriera o di un percorso compositivo organico; almeno non così come delineato dall’esegesi o dalle datazioni ufficiali. Già solo perché è poi emerso che Scelsi riassemblò a posteriori o addirittura retrodatò molti lavori che volle attribuire all’epoca giovanile, come ad esempio le Suites nn. 2, 5, 6 e 7, il trittico Hispania e le Sonate nn. 2 e 3: tutte opere per pianoforte che i cataloghi e le edizioni a stampa datano anni Trenta ma che certamente furono compiute solo dopo il 1950 e sono, dunque, palesemente scollegate dalle composizioni realmente ideate nella prima stagione.
Tra queste ultime sono da ricordare i brani per voce e pianoforte Tre canti di primavera (1932), L’amour et le crâne (1933), Tre canti dal Poema paradisiaco di Gabriele d’Annunzio (1934) e molti inediti concepiti per vari organici tra il 1932 e il 1936; anni in cui, peraltro, Scelsi trovò in molti musicisti italiani di spicco (tra loro Willy Ferrero e Ornella Puliti Santoliquido) i primi interpreti delle sue musiche.
Comunque, ciò che più importò in questo periodo, al di là del dato compositivo, fu il continuo stratificarsi di esperienze che modellarono il pensiero dell’autore. Agli anni Trenta risale la profonda amicizia con Henri Michaux e soprattutto la recezione del pensiero teosofico cui fu iniziato a Ginevra da Egon Köhler e poi da Walter Klein, compositore austriaco conosciuto a Londra nel 1934. Klein, dell’entourage di Alban Berg, introdusse inoltre Scelsi alla dodecafonia e ai portati della Scuola di Vienna contribuendo ad ampliare la sua consapevolezza delle tendenze contemporanee.
In tal senso fu rivelatrice un’iniziativa del 1937. Scelsi promosse, a proprie spese, una serie di concerti in Roma con la collaborazione di Goffredo Petrassi per divulgare l’opera di compositori quali Luigi Dallapiccola, lo stesso Petrassi, Zoltán Kodály, Arnold Schönberg, Dmitrij Šostakovič, Jacques Ibert e altri, all’epoca pressoché sconosciuti in Italia. L’esperienza, tuttavia, si interruppe con l’entrata in vigore delle leggi razziali.
Scelsi riparò in Svizzera e con Dorothy Kate Ramsden (1903-1978), la nobildonna inglese ch’egli sposò il 4 giugno 1940, si stabilì a Losanna per tutto il tempo del conflitto. La permanenza fu tuttavia tormentata dagli immediati dissapori coniugali (si separarono dopo la guerra), che alimentarono nel musicista un perdurante stato depressivo. Una crisi psichica e, insieme, creativa che comunque acuì il suo già vivo interesse per le problematiche dell’inconscio, per l’esoterismo e la mistica orientale; ne affinò inoltre le facoltà d’introspezione e, non ultima, la riflessione.
In quegli stessi anni Scelsi elaborò anche un prezioso corpus di testi nei quali condensò il percorso intellettuale di oltre un ventennio. Si tratta di tre scritti, concepiti in lingua francese per alcune conferenze da lui tenute a Losanna tra il 1942 e il 1944, e che nell’insieme permettono una visione olistica della prima stagione, da considerare anche in rapporto ai periodi successivi.
In ordine cronologico, il primo dei tre scritti fu Sens de la musique, poi pubblicato nel 1944 su Suisse contemporaine (1° gennaio) arricchito dalle riflessioni che furono alla base degli altri due saggi, tra loro pressoché coevi: Évolution de l’harmonie ed Évolution du rhytme (rimasti inediti fino al 1992; pubblicati poi in Les anges sont ailleurs..., a cura di S. Kanach, 2006a).
Ristabilitosi a Roma alla fine del conflitto, compì il Quartetto n. 1 (1944) e La Nascita del Verbo (1948), cantata per coro e orchestra, il cui testo (un composto di fonemi astratti da cui affiorano le parole Deus, Amor, Lux e la frase Domine in te speravi) fu senza dubbio influenzato dagli assidui rapporti che, negli anni Quaranta, Scelsi intessé con il gruppo parigino Littérisme, in particolare con Gabriel Pomerand e Jean Carteret. All’elaborazione della cantata parteciparono molti giovani musicisti romani. Tra essi, vi fu Vieri Tosatti, che nel 1947 rielaborò anche alcune bozze già accumulate da Scelsi negli anni addietro, portando così a compimento le opere uscite in quell’anno presso l’editore De Santis (tra cui i Quattro Poemi, una Sonata e le Variazioni e fuga per pianoforte).
Quella con Tosatti fu la più stabile e feconda collaborazione instaurata da Scelsi: durata fino al 1974 e arricchita da una documentata amicizia, essa assunse ben presto i tratti di una vera e propria sinergia creativa.
In quello stesso periodo Scelsi trovò nella tecnologia un mezzo efficace per concepire e abbozzare le proprie opere. Dapprima si limitò a un uso piuttosto convenzionale dei primi strumenti di registrazione domestica, con cui fissava e selezionava le improvvisazioni da far trascrivere (a Tosatti e a Sergio Cafaro). Nacquero così le opere per pianoforte degli anni Cinquanta, tra cui la Suite Bot-Ba (ossia Tibet, in sanscrito) del 1952, i Cinque incantesimi (1953) e le Quattro illustrazioni sulle metamorfosi di Visnù (1953) nonché le già menzionate composizioni retrodatate. In un secondo momento attinse invece a una vera e propria prassi sperimentale combinando l’utilizzo di due registratori Revox e di un singolare strumento a tastiera, l’ondiola, un progenitore del sintetizzatore analogico che permetteva di simulare vari timbri orchestrali e controllare, in tempo reale, l’inviluppo e l’intonazione del suono. Prima del 1957 Scelsi ne acquisì due. Acquistò inoltre un secondo registratore, che usò per manipolare le linee da lui improvvisate sulle ondiole e comporle in suggestivi collage elettroacustici: veri e propri abbozzi su nastro magnetico da far sviluppare poi su carta per vari organici. A cambiare fu, anzitutto, il suo modo di improvvisare, sempre più influenzato dalle filosofie orientali e volto a perseguire quella radicale rarefazione discorsiva poi assurta a cifra stilistica della successiva stagione. Preannunciata dal secondo dei Quattro pezzi per corno (1956) e poi inaugurata dai Quattro pezzi per orchestra, ciascuno su una sola nota (1959), essa fu il frutto del lungo percorso, cominciato in gioventù, attraverso cui Scelsi maturò gradualmente una specifica concezione dell’arte come forma sintetica di conoscenza (noèsis), in grado di ricondurre le culture e le loro rispettive linee di sviluppo storico a una radice comune.
Lo rivelano due scritti del 1954, Son et musique e Art et connaissance (poi pubblicati a Roma nel 1981 e attualmente raccolti in Les anges sont ailleurs..., cit.), ma soprattutto l’atteggiamento sincretico che pervase la produzione musicale successiva al 1956, incentrata su una nozione di suono espressamente volta alla tradizione vedico-brahmanica e restituita alla koinè d’Occidente attraverso gli strumenti e le tecniche a essa proprie ma, soprattutto, per mezzo di un preciso artificio concettuale, la ‘sola nota’, porzione di un Klang da comporre attraverso la reciproca interazione delle comuni altezze usate come parziali di una sorta di cluster in continuo divenire timbrico e dinamico.
Non si trattò, comunque, di sperimentazione fine a sé stessa ma di una ricerca espressamente orientata a delineare dei percorsi sonori il cui «senso vero» è dischiuso da una misteriosa storia, «se storia si può chiamare, e cioè la progressiva liberazione». «E chi» parlando della sua musica «si limiterà al fatto acustico o a ciò che può essere considerato una ricerca strumentale, non avrà capito un bel niente» (Il sogno 101, cit., pp. 329 s.). Scelsi identificò infatti l’essere musicista con il sacerdozio di una sorta di rivelazione: Evam mayā śrutam («così ho udito»); e la partitura con una scrittura del «suono giusto» (p. 7): dhvani, tonus per evocare quella «forza sonora che è alla base di tutto, che crea e che sovente trasforma l’uomo» (p. 6). La realizzazione sonora di tutto ciò avvenne attraverso un sapiente utilizzo dei valori simbolici assunti dalle note, o dalla strumentazione, nei saperi coltivati da Scelsi.
In questo senso, il lavoro svolto da Tosatti a partire dai nastri non può essere assimilato a una mera opera di trascrizione; fu infatti una vera e propria azione ideativa, per molti versi maieutica, che costituì una condizione necessaria per la genesi delle maggiori partiture scelsiane. Necessaria ma, certo, non sufficiente. Perché quelle musiche furono comunque il frutto di un processo orale, vivo e irripetibile causato ab origine da Scelsi che volle, e seppe, riferire i propri lavori alle radici rituali dell’arte e declinarli secondo il paradigma del sapere religioso-orientale. Da qui, il suo concetto di arte come strumento interculturale, «per la realizzazione della coscienza dell’uomo»; un’arte che «non dice mai “Io”» e, questo, proprio perché «è sempre non individuale e riesce in modo tanto più intenso, più perfetto, in quanto la si spersonalizza» (Il sogno 101, cit., p. 279).
Nel 1974 Tosatti interruppe la collaborazione. Venne dunque a cessare una stagione straordinaria, iniziata nel 1947 e nella quale Scelsi, in disparte dalla vita musicale corrente, conseguì molti esiti: innanzitutto una vasta produzione che, oltre ad alcune importanti composizioni per archi, tra cui un Trio (1958), tre Quartetti (1961-64) e Xnoybis (1964) per violino solo, include i Canti del Capricorno (1962-72) (venti canti per voce femminile e strumenti realizzati in sinergia con la cantante giapponese Michiko Hirayama); poi, molti capolavori orchestrali, tra cui i già menzionati Quattro pezzi per orchestra (1959), Hurqualia (1960), Aiôn (1961), Uaxuctum (1961), Anahit (1965), Konx Om Pax (1969), Pfhat (1974): si tratta di composizioni per differenti organici, le cui risonanze esoteriche sono intuibili fin dalle arcane titolazioni.
Ma gli esiti significativi di questo lungo lasso temporale non furono solo di natura musicale: in questo senso vanno ricordate anche le tre raccolte di poesia concepite in lingua francese, pubblicate a Parigi da Guy Lévis Mano: Le poids net (1949), L’archipel nocturne (1954) e La conscience aïgue (1962; sono in Les anges sont ailleurs..., cit.). Infine, il fatto che insieme con la compagna di allora, Frances McCann (1919-2008), diede vita alla Rome New York Art Foundation (1957-62), nel quale ambito i due organizzarono, tra l’altro, una mostra di pitture e disegni del poeta indiano Rabindranāth Tagore nonché il primo concerto italiano di Ravi Shankar (1958).
Scelsi fece tutto questo senza mai cercare il consenso né il sostegno delle istituzioni.
Nel corso degli anni Sessanta – anche in seguito al disgelo delle tendenze europee più rigoristiche –, conscio di essere un outsider della musica del Novecento, intuì la possibilità di inserirsi nei decorsi della storia di allora. Ricevette significative attenzioni internazionali, e anche in Italia, perlopiù grazie all’interessamento di Franco Evangelisti, si ebbero le prime esecuzioni di sue musiche nell’ambito dell’associazione romana Nuova Consonanza. Sapeva, altresì, che il mondo musicale d’Occidente non avrebbe mai accettato la sua peculiare identità di musicista e, tantomeno, la sua prassi compositiva, già da tempo fatta oggetto di mormorii.
La strategia che egli adottò di conseguenza emerge dalle memorie dettate al magnetofono nel 1973 (pubblicate in Il sogno 101, cit.), nelle quali pare evidente la sua intenzione di confondere particolari biografici e avvincenti manifestazioni di pensiero in un amalgama dalle tinte mistiche, ben presto sfumate in coloriture mitiche. Scelsi ammantò insomma la propria storia, e soprattutto le proprie modalità di comporre, di una sorta di sacra ispirazione che venne perlopiù intesa, o travisata, come un atteggiamento postmoderno, se non una maschera a celare il volto dell’ennesimo mistico che, per divergenza, dichiarava di non essere un compositore ma un semplice medium: «nato nel 2637 a.C. in Mesopotamia» (Giacinto Scelsi. Viaggio al centro del suono, 2001, p. 21) e reincarnato sacerdote di un misterioso «circolo di vibrazioni» ed energie sonore (Il sogno 101, cit., p. 8).
Gli ultimi anni di vita, segnati da un crescente successo, furono avvolti da un alone di leggenda.
Dopo il 1974 Scelsi accumulò ancora alcuni lavori, elaborati perlopiù da Riccardo Filippini (tra di essi va senza dubbio ricordato il Quartetto n. 5 «alla memoria di Henri Michaux», del 1984). In quegli stessi anni, alla stesura delle sue partiture collaborarono anche Frances-Marie Uitti e Fernando Grillo. Intanto, l’incantevole residenza di Scelsi, da lui stesso stabilita negli anni Sessanta sul Palatino, di fronte ai fori imperiali, divenne centro di una vivace circolazione di artisti e interpreti della sua musica, sempre più apprezzata dai maggiori circuiti europei d’inizio anni Ottanta.
Promossa da personalità quali Harry Halbreich, Adrian Jack e Wolfgang Becker, essa destò letterale meraviglia tra differenti generazioni di compositori, tra i quali spiccano John Cage, Iannis Xenakis, i musicisti dell’ensemble L’Itinéraire e, ancora, Alvin Curran e Michael Radulescu. Nello stesso periodo l’editore Salabert di Parigi iniziò la pubblicazione sistematica delle sue partiture.
Nel 1987 Scelsi istituì l’omonima fondazione, intitolata alla sorella (deceduta nel 1976), con l’obiettivo di sostenere e promuovere le arti contemporanee. Lo stesso anno, a Colonia, la International Society for contemporary music volle dedicare alla musica di Scelsi un intero concerto, al termine del quale il musicista ottuagenario ricevette una vera e propria ovazione: culmine di una carriera e, per molti versi, di una vita estetizzante che ormai volgeva al termine.
Morì a Roma, colpito da ictus, il 9 agosto 1988.
Edizioni degli scritti. Les anges sont ailleurs... Textes et inédits, a cura di S. Kanach, Arles 2006; L’homme du son. Poésies, a cura di L. Martinis - S. Kanach, Arles 2006; Il sogno 101, a cura di L. Martinis - A.C. Pellegrini, Macerata 2010.
Fonti e Bibl.: Le principali fonti, sonore e cartacee, sono custodite nel Fondo Giacinto Scelsi (Archivio della Fondazione Isabella Scelsi) a Roma e nell’Archivio Le parole gelate di Aquileia. In particolare, per il catalogo completo delle opere: http://www.scelsi.it/it/catalogo-delle-opere/tutti/ (19 marzo 2018).
A. Cremonese, Giacinto Scelsi: prassi compositiva e riflessione teorica fino alla metà degli anni ’40, Palermo 1992; Giacinto Scelsi, im Innern des Ton, a cura di K. Angermann, Hofheim 1993; Giacinto Scelsi. Viaggio al centro del suono, a cura di P.A. Castanet - N. Cisternino, La Spezia 2001; F. Jaecker, Der Dilettant und die Profis. Giacinto Scelsi, Vieri Tosatti & Co., in MusikTexte. Zeitschrift für Neue Musik, 2005, n. 104, pp. 27-40 (trad. it. ‘Il dilettante e i professionisti’. Giacinto Scelsi, Vieri Tosatti & Co., in Musica/Realtà, 2009, n. 88, pp. 93-122.); Scelsi incombustible, in Filigrane. Musique, esthétique, sciences, société, a cura di M. Solomos - A.C. Pellegrini, 2012, http://revues.mshparisnord.org/filigrane/index.php?id=485 (19 marzo 2018); A.C. Pellegrini, Rotativa e dintorni. Uno sguardo al primo Scelsi, in Quaderni dell’Archivio Scelsi, 2013, n. 1; Music as dream: essays on G. S., a cura di F. Sciannameo - A.C. Pellegrini, Lanham 2013; S. Marrocu, Il regista e il demiurgo. Giacinto Scelsi e Vieri Tosatti: una singolare sinergia creativa, diss., Università di Roma Tor Vergata, 2014; Klang und Quelle: ästhetische Dimension und kompositorischer Prozess bei Giacinto Scelsi, a cura di F. Celestini - E. Reissig, Wien 2014.