GEZONE
Conosciuto anche come Everardo (sottoscrive: "Heverardus"), G., di cui si ignorano data e luogo di nascita, è passato alla storia grazie al racconto di Liutprando di Cremona (Antapodosis, III, 38-41) relativo a un deciso intervento nella vita politica del Regno italico da lui tentato presumibilmente nell'anno 927. L'autore lo presenta come una delle personalità di maggior rilievo fra i giudici di Pavia all'inizio del X secolo, benché in secondo piano rispetto al giudice Valperto, che godeva nella capitale di una "praepotentia" cui G. si limitava a partecipare. Ambedue sono figure rappresentative di quel ristretto gruppo di "pratici" del diritto nominati dal re - il loro titolo di "iudices domini regis" fa riferimento, infatti, a questa autorità - e formatisi nel palazzo, i quali, a partire dagli anni Ottanta del IX secolo, succedendo ai vecchi "scabini" carolingi, contribuirono a modernizzare in tutto il Regno le procedure giudiziarie e la loro registrazione. Negli anni 910-920, trascorsa una generazione dal primo gruppo di nomine di questi giudici reali, l'eccellenza nella professione e l'alto livello culturale raggiunto avevano portato i loro frutti in campo economico (proprietà di case a Pavia e di "curtes" rurali), sociale (alleanze con famiglie comitali ed episcopali, reclutamento di vassalli) e politico, rendendoli una vera e propria "aristocrazia della scrittura e della cultura scritta documentaria", cementata dalla padronanza della cancelleresca palatina (Petrucci - Romeo), e costituendoli in una vera e propria "nobilitas". Per il prestigio e per la rete di conoscenze e di rapporti, Valperto e G. appartenevano, dunque, all'élite di questo gruppo.
Il primo aveva percorso una lunga carriera e compare nei placiti regi fin dal 901, figurando sistematicamente nei più alti ranghi nella sottoscrizione degli atti. Inoltre egli era riuscito a sistemare il figlio al vescovato di Como e a sposare la figlia, Rotruda-Roza, con il conte di palazzo Giselberto, cui Ugo di Provenza, incoronato re il 6 luglio del 926, aveva rinnovato in quello stesso anno l'incarico. Questa parentela gli facilitò forse i contatti con il potere regio, come anche il fatto che Rotruda divenne l'amante di Ugo (dalla loro unione nacque una figlia). Di fatto a Pavia la sua notorietà era tale che tutti ricorrevano a lui per regolare le loro controversie.
La documentazione su G. è invece più scarsa. Legato a Valperto da un'imprecisata parentela ("Quaedam affinitas", scrive Liutprando), ma a lui inferiore (era senz'altro più giovane), G. figura in tre soli placiti: nel 912 a Corteolona, in occasione di un'udienza presieduta da Berengario I; nel 915 a Lucca, in margine al viaggio a Roma per l'incoronazione imperiale di Berengario; infine nel maggio 927, sotto l'autorità del conte di palazzo Giselberto. In tutte queste occasioni la sua sottoscrizione compare molto più in basso rispetto a quella di Valperto, ma si distingue, soprattutto in quella del 927, per la particolare eleganza della scrittura.
Questo ruolo di secondo piano fu, secondo Liutprando, la molla che scatenò l'aggressività di Gezone. In realtà il vescovo di Cremona lo dipinge a fosche tinte, denunciandolo come ambizioso e "corruttore del diritto", nel tentativo di salvaguardare la figura del suo mentore, piuttosto passivo in occasione degli avvenimenti del 927.
All'epoca la situazione del Regno era incerta. Pavia era stata incendiata dagli Ungari tre anni prima, nello stesso anno che aveva visto l'assassinio di Berengario I; Ugo di Provenza si era insediato da pochi mesi: sbarcato a Pisa nel giugno 926, era stato incoronato a Pavia il 6 luglio, in una città che per più di sei mesi aveva chiuso le porte a Rodolfo di Borgogna nel corso della lotta con Berengario. Anche la popolazione di Pavia, pronta a dividersi in fazioni, sembrava essere stata facilmente coinvolta nell'attività politica; i giudici, in assenza di ogni altra autorità, erano tra coloro che potevano controllare la città ed era a loro che la fragilità del potere centrale portava maggiori vantaggi. Il 927 fu un anno particolarmente difficile per re Ugo: l'alleanza conclusa qualche mese prima a Mantova con il pontefice Giovanni X, suggellata dalla nomina del fratello di questo, Pietro, alla testa del Ducato di Spoleto, per assicurarsi l'appoggio di Roma - e forse in seguito la corona imperiale - e per fare uno sgarbo a Guido marchese di Toscana, non aveva avuto alcun seguito. Pietro era rimasto fuori Roma, controllata dalla senatrix Marozia, che aveva appena sposato Guido, e quando riuscì a entrarvi fu ucciso da quest'ultimo, mentre una nuova incursione ungara obbligava Ugo ad allentare la pressione sui suoi nemici, senza che peraltro egli riuscisse a fermare i barbari. La relativa impotenza del nuovo sovrano fu senza dubbio l'elemento che convinse G. ad agire, verosimilmente nel corso dell'autunno o dell'inverno del 927.
Non è nota la data precisa dell'avvenimento. La cronologia ha oscillato a lungo tra il 927 e il 933. Il placito del 14 marzo 927, in cui appaiono insieme per l'ultima volta G., Valperto e il conte di palazzo Giselberto (quest'ultimo, secondo Liutprando, deceduto al momento in cui si svolsero i fatti), fornisce il terminus post quem. Contro la corrente storiografica dominante, risalente a L.A. Muratori e ancora seguita da G. Fasoli, che situava gli eventi nel 929-930, per la prossimità con lo scontro per il possesso dei beni fondiari dell'abbazia di Bobbio (di cui il conte di palazzo Sansone era stato indiretto protagonista), C.G. Mor ha sostenuto, con argomenti abbastanza validi, la data del 927. Il contesto sfavorevole di quell'anno si presta meglio, infatti, all'insorgere di una rivolta; certo più di quello del 928, quando l'assemblea di Verona del 12 febbraio permise a Ugo di rafforzare il suo potere. Comunque bisogna riconoscere che non si possiedono elementi sufficienti a risolvere la questione. La successione degli eventi così come è riportata da Liutprando è risultata troppo spesso erronea perché si possa attribuirle una grande attendibilità. Un terminus ante quem certo è dato dalla prima menzione di Sansone come conte di palazzo al posto di Giselberto il 19 nov. 929, il che, obiettivamente, lascia aperte tutte e tre le soluzioni che Mor dà come possibili, tenendo conto della presenza di Ugo a Pavia: agosto 927 - gennaio 928, maggio-luglio 928, marzo-agosto 929.
G. volle approfittare del fatto che re Ugo aveva con sé solo un ristretto manipolo di fedeli per scatenare la rivolta, ma lo stato d'animo di Valperto fece perdere del tempo. Nel frattempo Ugo era stato avvertito del progetto sedizioso e di una riunione dei congiurati che era in corso presso Valperto. Fece comunicare di essere pronto ad ascoltare le critiche che gli erano rivolte: il che calmò gli animi, con l'eccezione di G., che continuò a sostenere la necessità dell'attacco e dell'assassinio del re. Ugo, allontanatosi tranquillamente da Pavia, si rifugiò in un luogo sicuro e richiamò i suoi milites, primo fra tutti il conte Sansone, nemico giurato di G., il quale, una volta sicuro che sarebbe stato padrone delle sorti di quest'ultimo nel caso fosse riuscito ad arrestarlo, suggerì il seguente piano: il re avrebbe dovuto far ritorno a Pavia, e ciò avrebbe costretto le maggiori personalità cittadine, quali che fossero le loro intenzioni, a uscire dalle mura in corteo per accoglierlo, come era costume; si doveva quindi chiedere al vescovo Leone, notoriamente in pessimi rapporti con i due giudici, di chiudere le porte per bloccare la ritirata quando si fosse dato inizio alla cattura dei congiurati. E così fu fatto. Sansone accecò G. con le sue stesse mani - una sorta di grazia per un colpevole, che avrebbe meritato la morte per il delitto di lesa maestà - e gli tagliò anche la lingua per aver bestemmiato contro il re; i suoi beni furono confiscati. Quanto a Valperto, fu decapitato, il suo enorme tesoro confiscato e la moglie torturata affinché rivelasse dove erano nascoste le sue altre ricchezze. Gli altri ribelli vennero imprigionati e Sansone ricompensato con la carica di conte di palazzo, in cui successe al genero di Valperto. La punizione fu efficace poiché suscitò timore e insieme riverenza non solo a Pavia ma in tutta l'Italia. Dopo questa vicenda non si hanno più notizie di Gezone.
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