Gerusalemme
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Gerusalemme è un luogo chiave per la cultura cristiana e diviene ben presto meta di pellegrinaggi, sin dall’epoca dell’amministrazione romana. Dopo il concilio di Nicea, iniziano a sorgere sui luoghi simbolo della vicenda umana di Gesù chiese e basiliche: il culto delle reliquie cristologiche si intensifica nel corso dei secoli, e la complessa liturgia stazionale di Gerusalemme diviene un modello per tutto l’ecumene.
L’importanza di Gerusalemme per la cultura cristiana si lega principalmente al fatto di essere stata luogo della passione, morte e resurrezione di Cristo. In un sito conosciuto con i nomi di Golgota e di Calvario, altura appena esterna alle mura occidentali sulla via di Damasco, Cristo viene crocefisso e sepolto attorno al 30. I racconti dei tre Vangeli sinottici e di quello di Giovanni convengono nell’individuare, come luogo dell’esecuzione, un’area suburbana, e nel descrivere la forma della tomba come un vano di modeste dimensioni scavato nella roccia, con un letto funerario ad arcosolio ricavato nella parete destra, e una pietra che, rotolata, serviva a chiudere l’angusto ingresso: forma canonica per le sepolture ebraiche di Gerusalemme nel periodo del II Tempio. La cerchia muraria di Erode Agrippa I, nipote di Erode il Grande, ingloba nel 44 la zona del Calvario, senza che essa venga toccata da edilizia residenziale, come testimoniano le ispezioni archeologiche. Una rivolta popolare, scoppiata 22 anni dopo contro l’amministrazione dei procuratori romani, viene soffocata dalle truppe di Tito che nel 70 mettono a ferro e fuoco la città e distruggono il Tempio, da allora mai più riedificato.
Gerusalemme viene ricostruita da Adriano attorno al 130, con il nome di Aelia Capitolina, sul consueto impianto a maglie ortogonali con due assi principali, cardo massimo e decumano massimo, il cui incrocio in prossimità del foro è segnato da un tetrapilo. È forse a quest’epoca che il Golgota viene ricoperto da un terrapieno, su cui si erige un’area sacra pagana. Agli ebrei e ai giudeo-cristiani è vietato di risiedere in Aelia, ma di fatto già dalla seconda metà del II secolo tanto gli uni quanto gli altri tornano a cercarvi le tracce della loro religione, obliterata dall’edilizia pagana adrianea. Non si spegne, però, nella comunità cristiana, la memoria del luogo in cui Cristo aveva sofferto la croce ed era stato sepolto. Da subito in effetti il Golgota diviene meta di un pellegrinaggio locale, e il suo interramento, nel 135 circa, non riesce a farne sparire il ricordo. Come a Roma per la piccola edicola che nella necropoli vaticana segna il luogo di sepoltura dell’apostolo Pietro, anche a Gerusalemme è la tradizione orale che conserva memoria dei luoghi santi, fino alla loro “riscoperta” e trasformazione in monumentali edifici di culto in età costantiniana.
Attorno al 160 – dunque pochi decenni dopo l’interramento del sito da parte di Adriano – Melitone, vescovo di Sardi, accenna rapidamente, nel suo scritto Peri Pascha, alla posizione del luogo del Calvario. Nel secolo successivo Alessandro I, vescovo di Cesarea in Cappadocia, si muove verso Gerusalemme per vedere e adorare i sacri luoghi, ed Eusebio di Cesarea, nel suo Onomastikon, conferma l’esistenza di una memoria locale, tenacemente resistente, dell’ubicazione del Calvario.
Quando, al ritorno dal concilio di Nicea del 325, il vescovo di Gerusalemme Macario riceve il permesso da parte di Costantino di demolire il Capitolium adrianeo, l’identificazione del sito con quello della crocefissione di Cristo è dunque condivisa.
Eusebio ci ha lasciato un dettagliato, benché a tratti poco chiaro, resoconto dei lavori di scavo avviati da Costantino, che portano all’insperato ritrovamento della tomba e dello sperone del Golgota. È possibile che un ruolo nella promozione dei lavori sia stato giocato dall’anziana madre dell’imperatore, Elena, pellegrina a Gerusalemme nel 326, a cui una leggenda che venne a costruirsi già a partire dal V secolo attribuisce il ritrovamento avventuroso dei Santi Chiodi e della Vera Croce, un grosso pezzo della quale Elena avrebbe portato a Roma per dotare la chiesa palatina di Santa Croce.
Costantino vuole esaltare il luogo della morte e della resurrezione di Cristo con “la più bella tra tutte le basiliche”: in verità due chiese allineate, una basilica a cinque navate, absidata, nota come Martyrium, e una rotonda con deambulatorio e copertura conica, aperta al centro da un grande occhio, eretta attorno all’edicola del sepolcro di Cristo (Anastasis). Nei due secoli successivi alla realizzazione del complesso dell’Anastasis, Gerusalemme si arricchisce di molte altre chiese commemorative. Sul Monte degli Ulivi viene eretta per volere dell’imperatrice Elena, stando a quanto scrive Eusebio, una chiesa a tre navate preceduta da un atrio, sulla grotta ove Cristo aveva istruito gli apostoli sui misteri della fede. A poca distanza, entro la fine del IV secolo, un sito riconosciuto dalla devozione popolare come quello dell’Ascensione viene recintato da una struttura a pianta circolare (Imbomon), su commissione dalla matrona romana Poemenia, e trasformato in chiesa. Arculfo, pellegrino del VII secolo e autore di un resoconto di viaggio (trascritto da Adamnano nel De locis sanctis) che ha enorme diffusione nel Medioevo, ci ha lasciato la descrizione di un insolito impianto martiriale circolare con deambulatorio anulare, ma aperto nello spazio interno. A Sion viene più volte ricostruita tra IV e V secolo la chiesa di Santa Maria, legata alla memoria della dormitio Virginis, ma ritenuta anche luogo dell’istituzione dell’Eucarestia, di riunione degli apostoli, e della discesa dello Spirito Santo. Attorno al 450 l’imperatrice Elia Eudocia, sposa di Teodosio II, è committente di un gran numero di edifici, tra cui la basilica della piscina di Siloe, venerata dai cristiani per il miracolo della guarigione del cieco nato (Giovanni 9, 7).
Questa fitta trama di chiese è teatro di una straordinaria liturgia stazionale, nota soprattutto per l’accurata descrizione che ne ha fatto una pellegrina occidentale, forse galiziana, della fine del IV secolo, di nome Egeria. Le due chiese dell’Anastasis e del Martyrium costituiscono le due aule di una cattedrale doppia, e hanno dunque funzioni distinte: la basilica a cinque navate è luogo della celebrazione festiva domenicale, mentre nella rotonda, aperta ai fedeli, si svolgono gli offici quotidiani del vescovo.
Spettacolari sono le forme della celebrazione nei momenti più importanti dell’anno liturgico. Nella Settimana Santa la possibilità, che solo la comunità cristiana di Gerusalemme ha, di rivivere la storia sacra nei luoghi stessi in cui essa si era compiuta, porta a una liturgia itinerante in cui il vescovo e il suo clero, con la partecipazione di tutto il popolo, si muovono da una chiesa all’altra, con interminabili processioni giornaliere e notturne, per seguire anche fisicamente l’esatta sequenza del racconto evangelico. La notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo, ad esempio, la folla peregrina tra le basiliche della grotta sull’Eleona, dell’Imbomon e dell’Agonia a Getsemani, e, dal V secolo in poi, altre stazioni sul Monte Sion, per riattualizzare, nei luoghi che ne erano stato teatro, e con il costante riferimento del Vangelo di Matteo, il ricordo dell’Ultima Cena, della cattura di Cristo e della sua traduzione al sinedrio e davanti al procuratore di Giudea. Ridiscesi al Santo Sepolcro i fedeli adorano la Croce nei pressi della roccia del Golgota, ubicata nel portico tra Martyrium e Anastasis: dal primo mattino all’ora sesta (circa mezzogiorno) il popolo sfila davanti alla reliquia per toccarla con la fronte e baciarla.
Diretta conseguenza di una simile prassi rituale è anche l’identificazione popolare, che nel corso del Medioevo diviene parossistica, di molti altri luoghi evangelici nella topografia urbana di Gerusalemme, e la “materializzazione” di una infinità di reliquie cristologiche. Nell’870 al pellegrino Bernardo viene fatto vedere sul Monte degli Ulivi, dove ormai erano state costruite più di venti chiese, sedi di comunità monastiche e celle di eremiti, il luogo in cui era stata condotta l’adultera davanti a Cristo e l’iscrizione incisa nel marmo da Gesù per scacciare i farisei. A Sion molto presto (IV sec.) si giunge, invece, all’identificazione delle case di Caifa, di Anna, della colonna della flagellazione, che alcuni pellegrini ricordavano di aver visto ancora segnata dal sangue di Cristo. Si mostrano ancora ai fedeli il cenacolo, i luoghi esatti in cui san Pietro aveva rinnegato il Maestro, e aveva pianto al canto del gallo (monastero di San Pietro in Gallicantu), e persino, nella chiesa della Santa Sion, la corona di spine e il bacino di cui Gesù si era servito per la lavanda dei piedi.