GERSON
. Jehan Le Charlier nacque nel 1363, da Arnolfo ed Elisabetta, nel villaggio di Gerson (presso Rethel, Champagne) da cui doveva prendere il nome. Dopo i primi studî, fu posto quattordicenne nel Collegio di Navarra, a Parigi, dove conseguì i varî gradi accademici, fino al dottorato in teologia, e insegnò, succedendo al suo maestro Pietro d'Ailly nel cancellierato dell'università (1395). Protetto dal duca Filippo di Borgogna, diventava decano di S. Donatien a Bruges (1397-1401) e predicatore di corte di Carlo VI, debole di mente e conteso fra la contrastante influenza dello zio borgognone e del fratello, Luigi d'Orléans. Contrario al rifiuto d'obbedienza da parte della Francia a Benedetto XIII (il pontefice avignonese nel grande scisma d'Occidente) e moderato nel giudicare i due partiti, G. dopo la restituzione dell'obbedienza a Benedetto fu da questo nominato curato di Saint-Jean-en-Grève, a Parigi (1403). Ma soprattutto, uscito da una famiglia di lavoratori, G. non tace la sua protesta contro l'oppressione fiscale degli umili che vivono nell'angoisseuse doubte continuelle d'estre pillez par prince ou par gens d'armes... tant que... plusieurs sont cheuz en desespoir et se sont occis: egli rappresenta l'aspirazione degli umili verso il ritorno alla pace e all'unità, nella Chiesa dilaniata dallo scisma, nella Francia lacerata dalle lotte tra Armagnacchi (v.) e Borgognoni, le quali riaprivano le porte allo straniero. Si tratta di rafforzare il potere centrale contro le forze disgregatrici: in politica, il re, contro la risorgente anarchia feudale; nella Chiesa, falliti i tentativi per ottenere la rinuncia dell'uno o dell'altro papa e per una composizione amichevole (missioni a Benedetto XIII, 1407 e a Gregorio XII, 1408) il Concilio ecumenico, che a G. e a molti contemporanei apparve non solo il mezzo più idoneo a superare le difficoltà presenti, ma vero depositario della sovranità e supremo organo giurisdizionale nella Chiesa.
Aspirazioni a un ritorno all'ideale medievale e insieme al nuovo ideale nazionale, che possono apparire, nei loro motivi più profondi, in contrasto insanabile; ma proprie d'un'epoca, come quella, di più rapida transizione. Ché G. si oppone invano al rinnovo del rifiuto d'obbedienza a Benedetto, onde uno scisma minore nel più grande e a chi vuol dare alla "Chiesa gallicana" una costituzione propria; ma, se in ciò avversa il duca d'Orléans, dopo l'assassinio di lui (23 novembre 1407) per mandato del nuovo duca di Borgogna, egli non esita a chiedere ed ottenere dall'università la condanna delle proposizioni di Jean Petit, che, a discolpa di Giovanni Senza Paura, sostiene la liceità del tirannicidio. G. s'attirava così l'inimicizia del Borgognone, che doveva costargli cara. Inviato dall'università parigina al concilio di Costanza, fu l'anima e la voce del concilio in tutte le questioni più gravi (abdicazione di Giovanni XXIII, proclamazione della superiorità del concilio sul papa, condanna di Hus e Girolamo da Praga) ma vi contrastò anche gl'lnglesi, vi fece rinnovare la condanna del Borgognone. Per sottrarsi alla vendetta di questo - ora alleato degl'Inglesi già vincitori ad Agincourt - allo sciogliersi del concilio, G. non osò ritornare in una Francia, dove il re era prigioniero, il Delfino (poi Carlo VII) privato d'ogni diritto. Cercò rifugio in Austria, nella Badia di Mölck (allora [1418] riformata con l'invio di monaci sublacensi, da Costanza) e nella "studiosa Vienna"; e nell'esilio, paragonatosi a Gersom "forestiero in terra straniera" (Esodo, II, 22), scriveva, a imitazione di Boezio, il De consolatione theologiae. Solo dopo l'uccisione di Giovanni (1419) tornava in Francia, ma a Lione, presso un fratello priore nel convento dei celestini; quivi moriva il 12 luglio 1429.
I numerosi, e per lo più brevi, scritti di G. si possono distinguere in tre categorie: opere morali e sermoni latini e francesi; trattati e discorsi su questioni presenti (scisma e governo della Chiesa, processo di Jean Petit, ordine e indirizzo degli studî teologici e questioni dogmatiche); opere mistiche (ed esegetiche) in prosa e in verso (Josephina, intorno alla dimora della Sacra famiglia in Egitto). Questi ultimi scritti, oltre alle sue dottrine conciliari, hanno procurato a G. maggior fama e il soprannome di Doctor consolatorius. La sua teologia morale e mistica si muove su basi occamistiche: l'azione buona è tale in quanto voluta da Dio, la consolazione della teologia comincia là dove termina quella della filosofia, la quale fa le sue dimostrazioni experimentali ratione e non può condurre alle verità supreme, che sono rivelate dalla Theologia supernaturaliter infusa (ed. Dupin, I, col. 133); la vera conoscenza di Dio non è quella, concettuale e astratta, fornita dalla teologia scientifica, ma la experimentalis Dei perceptio. Dio si conosce nell'intimo dell'animo, mediante l'amore, abbandonata ogni determinazione razionale tolta dal mondo delle creature; l'anima si lascia così rapire "nella caligine divina" e in tale stato l'amore si libera, giunge a quel "trasporto" (supermentalis excessus) in cui s'unisce a Dio. Puramente intuitiva, questa conoscenza di Dio è accessibile anche agl'indotti, è un'unione mistica della volontà umana con la divina, rapporto paragonabile a quello che si stabilisce tra l'anima e la grazia nella giustificazione. Cosicché, quando questa unione si verifichi, nell'atto d'amore di Dio, le azioni umane perdono ogni valore, come perdono ogni ragion d'essere le "tentazioni", consistenti nel dubbio intorno al proprio destino eterno: anzi, quanto più forti sono le tentazioni d'ogni genere, quanto più frequenti le cadute, tanto maggiore dev'essere la fiducia in Dio misericordioso, minore la speranza in sé stesso (ed. Dupin, I, col. 139 seg.; II, 242). Così, dall'occamismo che gli fa esaltare Buridano, Durando di S. Pourçain e Guglielmo di Parigi, attraverso l'influsso dei mistici più antichi, da S. Bernardo e Riccardo di S. Vittore ad Alessandro di Hales e S. Bonaventura (ed. cit., I, 106-109; 117), G. giunge a una dottrina che presenta singolari punti di contatto con quella di Lutero. Questi ricorda G. come uno dei suoi ispiratori, mentre le dottrine conciliari e antipapali resero G. assai accetto ai riformati francesi. Circa l'attribuzione a G. dell'Imitazione di Cristo, v. imitazione di cristo.
Ediz.: In mancanza d'un'edizione moderna, la più completa, ma difettosa, è quella di E. Dupin, Anversa 1706, voll. 5; ristampa, L'Aia 1727; inoltre, Harengue faicte au nom de l'université par maistre J. G., ecc., Parigi 1824; The "Ad Deum vadit" of J. G., pubblicato da D. H. Carnahan, Urbana 1917 (University of Illinois Studies in Language and Literature, III, 1); il Trattato contro il Roman de la Rose, ed. E. Langlois, in Romania, 1918-19, p. 23.
Bibl.: E. Bourret, Essai... sur les sermons français de J. G., Parigi 1858; J. B. Schwab, J. G., Würzburg 1858; V. Leclerc, in Hist. litt. de la France, XXIV, Parigi 1896; Denifle-Chatelain, Chartularium univ. paris., III-IV; A. L. Masson, J. G., Lione 1894; A. Lafontaine, J. G., Parigi 1906; L. Salembier, in Dictionn. de théol. cathol., VI, i; E. Buonaiuti, Il misticismo medievale, Pinerolo 1928, c. 8; J. L. Connolly, J. G., Lovanio 1928.