DORIA, Gerolamo
Nacque a Genova alla fine del XV secolo da Agostino e Pellegrina, entrambi della famiglia Doria. Giovanissimo, sposò Luigia, unica figlia ed erede di Battista Spinola, dalla quale ebbe quattro figli e cinque figlie. Fu avviato alle magistrature cittadine e nel 1527 fu chiamato a far parte della Balia, il Consiglio ristretto che doveva provvedere alla riforma delle leggi e del governo di Genova.
Si era allora nella fase del trapasso dall'influenza francese a quella spagnola. Il D. e i suoi colleghi si opposero strenuamente alla volontà francese di costituire uno Stato indipendente nella Liguria occidentale, retto da Savona ritenuta più fedele alla Francia. In questo frangente Andrea Doria passò al servizio dell'imperatore, assicurando contemporaneamente i magistrati della Balia del suo rispetto per la città di Genova. I Doria scrissero a Francesco I, riaffermandosi servitori fedelissimi della Francia, ma, quando Andrea sbarcò a Sampierdarena, gli inviarono incontro il fratello del D., Giovan Battista. In tutta la vicenda il D. fu probabilmente l'uomo dell'ammiraglio nel governo cittadino, come si deduce dalla richiesta di una pensione di 3.000 scudi a suo favore, fatta da Andrea Doria a Carlo V.
Nel 1528 il D. rimase vedovo. L'anno seguente abbandonava lo stato laicale per divenire cardinale di Clemente VII, con il titolo diaconale di S. Tommaso in Parione, "in gratia a instantia de messer Andrea Doria" (Sanuto, XLIX, col. 422). Questi promise al pontefice una grossa partita di grano per far fronte alla carestia che affliggeva Roma. Numerosi cardinali si dichiararono contrari, ma Andrea Doria vinse ogni resistenza versando 40.000 scudi quale garanzia della consegna di "10 milia ruggii di formento" (ibid., col. 384). Nel febbraio del 1529 il D. giungeva a Roma: il 15 novembre ricevette la porpora.
Da Roma il D. si spostò a Bologna, dove Andrea Doria era già in attesa di Carlo V, che doveva essere incoronato ufficialmente imperatore. Durante i preparativi della cerimonia il D. accompagnò a Genova Andrea Doria, improvvisamente ammalatosi, ma fu di ritorno per l'incoronazione, alla quale prese parte come assistente dell'imperatore. A questo Andrea Doria chiese nuovi benefici per il congiunto. Carlo V, che già nel 1529 si era detto disposto a concedere l'arcivescovato di Taranto con 500 scudi di rendita, gli fece avere l'amministrazione di alcune diocesi spagnole, che però il D. governò da lontano.Il 26 genn. 1530 Carlo V scrisse da Bologna al luogotenente generale della Catalogna per far avere al D. la diocesi di Elne con tutte le rendite annesse. Nominato il 12 gennaio, la presa di possesso avvenne il 12 aprile dello stesso anno: nell'agosto del 1532 il D. risultava ancora vescovo, ma dovette rinunciare alla diocesi nel settembre, quando ormai i canonici della cattedrale erano in aperta rivolta contro l'amministratore lontano. Nell'ottobre del 1532 gli furono date le diocesi di Jaca e Huesca, che egli tenne sino al 1534 insieme con una rendita di 1.000 ducati. Nel 1534 infine il D. ebbe l'amministrazione della diocesi di Tarragona, che mantenne sino alla morte. Anche a Tarragona non si recò mai, provocando come a Elne alcuni disordini: in particolare il clero locale non gradì la scelta iniziale di alcuni vicari non spagnoli. A Tarragona fece celebrare alcuni concili provinciali (1536, 1543, 1553, 1555, 1556), emise delle Constitutiones provinciales e ordinò l'edizione di un Missale Ecclesiae Tarraconensis, stampato a León nel 1550. Promosse infine la pubblicazione a stampa di tutti i concili della Chiesa tarragonese.
In Italia il D. risiedé sempre a Genova, tranne alcuni viaggi a Roma, dove si recò nel 1532 per riportare a Genova la somma necessaria all'armamento di alcune galeire contro i Turchi. Nel 1534 divenne amministratore anche della diocesi di Noli, che tenne sino al 1549, quando la passò a Massimiliano Doria. Intanto agì spesso come ambasciatore della sua città.
Nel 1535 i rapporti tra il D. e Andrea Doria iniziarono a incrinarsi, perché il primo fece sposare il figlio Nicolò con Camilla Fieschi, contro la volontà del secondo.
Alla morte di Clemente VII il D. prese parte al conclave da cui uscì eletto Paolo III. Inizialmente considerato come membro del partito imperiale, si spostò dopo pochi giorni nel partito "italiano", insieme con Agostino Spinola, per poi appoggiare il Farnese, dal quale ebbe in cambio l'amministrazione della diocesi di Nebbio in Corsica (1536-1537). Nel frattempo si interessò sempre di più dell'andamento della diocesi genovese, in particolare per quanto riguardava la riforma dei monasteri femminili nel 1538.
Nel decennio successivo si interessò soprattutto, sia pure da lontano, dell'amministrazione delle diocesi di Noli e Tarragona. Nel 1543 incontrò Paolo III a Parma. Nel 1547 fu coinvolto nella congiura dei Fieschi.
Nella notte della congiura fu inviato a sedare gli animi in nome della Repubblica: era infatti imparentato con Gian Luigi Fieschi, fratello di Camilla. La missione di pace non ebbe alcun esito: il D. fu fermato per strada dalla folla e un uomo del suo seguito ucciso. Rientrato nel suo palazzo, seppe che Andrea Doria era vivo, mentre il Fieschi era annegato. Subito dopo la congiura, il D. sostenne insieme con il figlio la necessità di costruire a Genova una fortezza munita di un presidio spagnolo. La proposta, condivisa dagli Spagnoli, fu infine respinta da Andrea Doria. Nel frattempo contro di questo si rivoltò Nicolò, figlio del D., ma fu costretto alla fuga. A questa data si interrompeva definitivamente il lungo sodalizio fra il principe di Melfi e il cardinale di S. Tommaso in Parione. D'altra parte la fuga di Nicolò confermò i sospetti nella partecipazione, sia pure indiretta, del D. e di suo figlio alla congiura dei Fieschi.
Nel 1549 il D. ritornò a Roma per il conclave seguito alla morte di Paolo III, che aveva incontrato a Bologna pochi mesi prima. Inizialmente fu fautore del card. R. Pole, ma dalla vigilia di Natale al febbraio dell'anno successivo fu impossibilitato a partecipare perché gravemente ammalato. Negli anni successivi la sua attività fu quasi inesistente. Prese parte ai conclavi di Marcello II e Paolo IV, del quale fu acceso sostenitore, ma non soggiornò quasi mai a Roma, tanto che un breve del 16 luglio 1556 lo richiamava alla Curia, nell'ambito dei provvedimenti dei Carafa contro i cardinali assenti. Dovrebbe essere tuttavia rimasto a Genova, dove morì il 25 marzo 1557.
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