DE FORNARI, Gerolamo
Nacque a Genova nella seconda metà del sec. XV. Compiuti gli studi giuridici, venne chiamato a rivestire la carica di censore nel 1503 e nel 1514.
I documenti contemporanei ricordano due membri della famiglia De Fornari con lo stesso nome ed entrambi iscritti nel Liber Nobilitatis della Repubblica: il D., di cui si ignora la paternità, e il figlio di Baliano, attivo mercante (una sua nave è ricordata in viaggio da Chio a Genova nel 1513). Fu probabilmente quest'ultimo ad essere proposto come podestà di Chio nel 1513 e nel 1515. Egli ebbe tre figli, Antonio e Gaspare, iscritti nel Liber Nobilitatis, e Nicolò; morì nel 1536.
Per il 1516 gli Annali di Agostino Giustiniani ricordano un Gerolamo De Fornari come comandante di una galea nella flotta armata da Ottaviano Fregoso per dare la caccia al corsaro turco, detto Cortogoli. Questi infestava il Tirreno, ponendo serie difficoltà all'approvvigionamento cerealicolo di Genova; la cattura di diciotto navi cariche di grano siciliano spinse il governo della Repubblica ad allestire una flotta agli ordini dell'arcivescovo Federico Fregoso. Toccata Bonifacio e poi Biserta, l'armata riuscì a sorprendere il corsaro con le navi in disarmo; datisi al saccheggio della costa e delle navi nemiche, i soldati persero tempo prezioso, permettendo ai Turchi di organizzarsi e di difendere Biserta. La spedizione terminò, così con un nulla di fatto.
Non è chiaro quale dei due personaggi sia stato eletto nel 1514 anziano della Repubblica ed ufficiale di Balia, nel 1517 membro dell'officium Sanitatis, nel 1523 membro dell'officium Gazarie e, due anni dopo, commissario di Savona.
Più sicura è l'attribuzione delle altre vicende, dato che le fonti indicano il D. come giureconsulto. Nell'agosto 1528, insieme con Agostino de Scrinis, venne inviato a Savona, allora sotto il controllo francese, per presentare al governatore il decreto con cui Francesco I restituiva la città alla Repubblica di Genova e per sollecitarne l'esecuzione.
I due ambasciatori furono accolti con molta freddezza e, con la scusa che provenivano da una città colpita dalla peste, alloggiati in una casa appartata. Chiesta udienza al governatore, essi si trovarono di fronte all'ovvio rifiuto di porre in atto il decreto, con l'obiezione che lettere recenti giunte dalla Francia avrebbero sostenuto il contrario di quanto voluto da Genova.
Nell'ottobre dello stesso anno, il D. ebbe l'onore di pronunciare l'orazione ufficiale nella solenne cerimonia in cui venne incoronato il primo doge biennale Oberto Cattaneo Lazzari, voluto dal nuovo assetto istituzionale genovese, dopo la conquista del potere da parte di Andrea Doria. Sempre nello stesso anno, insieme con Giovan Battista Lercari, si occupò del recupero di Gavi Ligure.
Infatti, durante la crisi che colpì lo Stato genovese dopo il passaggio dalla Francia allo schieramento spagnolo, alcune località dell'Oltregiogo ligure vennero occupate da avversari del regime doriano. Iniziata la faticosa opera di riconquista, ci si dovette occupare anche di Gavi, delicata posizione strategica di cui si era impadronito il conte Antonio Guasco. Per recuperarne il controllo, tuttavia, non fu necessario usare la forza, perché il Guasco preferì lasciare la rocca dietro compenso pecuniario, versato dall'ufficio di S. Giorgio, cui la località venne ceduta; a prendere possesso della fortezza vennero inviati il D. e il Lercari come commissari.
Sempre nello stesso anno, egli sarebbe stato mandato come ambasciatore al re di Francia, insieme con Agostino Lomellino, ma di questa missione non si hanno notizie. Negli anni seguenti, il D. fu ripetutamente membro delle assemblee della Repubblica: fece parte del Consiglio maggiore nel 1528, 1529, 1533, 1537 e 1541; venne chiamato nelle "mude" di ventotto cittadini incaricati di procedere al rinnovo di alcune magistrature minori nel 1535 e nel 1537 e in quelle create per nominare i senatori eletti ogni semestre nel 1530, 1532, 1533 e 1535. Nel 1529 pronunciò l'orazione di circostanza per la nomina di tre nuovi membri del Senato.
Assai delicata fu la sua missione in Francia, avvenuta due anni dopo. Passata Genova allo schieramento imperiale, le floride relazioni con la Francia conobbero gravi difficoltà: in particolare, le fiere di cambio di Lione, tradizionale meta dei banchieri genovesi, furono loro interdette. Il governo genovese tentò di riallacciare trattative con Francesco I: approfittando della solenne incoronazione della regina Eleonora, a Parigi vennero inviati il D. e Gerolamo Grimaldi.
Giunti nella capitale alla fine di gennaio, essi sperimentarono subito l'ostilità della corte francese: dapprima si impedì loro di presentarsi a Francesco I, con la scusa che non lo permettevano i preparativi per la cerimonia; poi, nel marzo, li si invitò ad esporre le loro richieste non al re, ma al Consiglio di Stato, negando implicitamente ai due rappresentanti genovesi la qualifica di ambasciatori. Nel frattempo, essi ebbero l'incarico di adoperarsi perché i mercanti loro concittadini, che frequentavano Lione, subissero i minori danni possibili; furono informati inoltre dal governo che, per ogni evenienza, la fiera di agosto sarebbe stata convocata a Montluel, una piccola località vicino a Lione, ma in territorio sabaudo; a loro toccò il compito di darne notizia ai mercanti in modo prudente, per far sì che essi liquidassero i loro affari e si ponessero in salvo coi loro beni prima delle temute rappresaglie francesi (istruzioni del 17 maggio 1531). Il problema di procedura sollevato dalla corte francese finì col bloccare la missione dei due rappresentanti genovesi: Francesco I continuò a rifiutarsi di riceverli, mentre essi insistettero per esporre direttamente al re le loro richieste, senza che dal governo genovese venissero consigli concreti. Nell'aprile, ai due fu riferito in via ufficiosa che essi erano stati licenziati dalla corte; tardiva risultò anche la disposizione governativa di utilizzare intermediari per sondare le intenzioni del sovrano; nel maggio, visti inutili tutti i tentativi, i due chiesero licenza, ma ottennero come risposta che il re pensava che essi avessero lasciato Parigi già da tempo: ebbero, pertanto, l'intimazione di abbandonare la città entro due giorni e di lasciare quindi la Francia.
Arrivati nel giugno a Montluel, essi informarono il governo della situazione di Lione, dove si agiva per mezzo di un commissario contro i mercanti genovesi, costretti a fuggire dalla città e a tenersi nascosti. Nel luglio, essi si trasferirono a Chambéry. Qui il D. fu incaricato di incontrare Carlo III, duca di Savoia, nel cui territorio passava la strada diretta alle fiere d'Oltralpe, percorsa dai mercanti genovesi.
Il D. si adoperò perché venissero tolti i pedaggi imposti sulle loro merci, ma ebbe come risposta la disponibilità sabauda a ciò, purché il governo genovese eliminasse a sua volta i pedaggi gravanti sulle merci dei sudditi del duca. Più importante fu l'assicurazione data al D. che non sarebbero state attuate nel territorio sabaudo le rappresaglie volute dalla Francia contro i Genovesi. Infine, il D. si trovò di fronte alla richiesta di un consistente prestito avanzata dal duca; in cambio, veniva offerta a Genova la gabella del sale per dieci anni. Tale questione provocò serie preoccupazioni nel governo genovese, poco disposto ad un esborso di danaro, e causò all'ambasciatore un duro rimprovero per essersi impegnato in un affare per il quale non aveva ricevuto nessun mandato.
Alla fine di luglio, il D. lasciò Chambéry, ponendo termine al suo incarico. Nel 1532, ritornato a Genova, fece parte della processione che accompagnò il Senato in S. Lorenzo per la messa solenne di Pasqua. Nel 1533 venne chiamato a sostituire i tre ambasciatori inviati a Bologna, dove si stavano svolgendo intense trattative per arrivare ad una lega guidata dall'imperatore Carlo V; al D. fu dato l'incarico di seguirne gli sviluppi e, in modo particolare, di evitare che sul problema di Savona si arrivasse ad un accordo senza tener conto degli interessi genovesi. Nello stesso anno, egli fece parte di una ambasceria inviata a Savona per incontrare Clemente VII, proveniente da Marsiglia. Nel 1534 venne chiamato nell'ufficio di Guerra, creato per opporsi alle scorrerie del corsaro turco Barbarossa. Nel 1540 fu designato a prendere parte alla solenne processione per il Corpus Domini; non si hanno altre sue notizie dopo questa data.
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