Geometria algebrica
La geometria algebrica è un naturale sviluppo della geometria analitica. Essa studia i sottoinsiemi dello spazio a un numero qualunque di dimensioni, definiti da equazioni polinomiali. Tali sottoinsiemi sono detti 'varietà algebriche'. Il confine tra geometria analitica e geometria algebrica si attraversa quando si passa dallo studio delle coniche a quello delle curve di grado tre. Ciò è stato fatto già nell'antichità: Diofanto (III sec. d.C.) ha studiato le equazioni di grado tre con due variabili e ha usato alcune trasformazioni che, con terminologia moderna, coincidono con la duplicazione di un punto di una curva cubica considerata come varietà abeliana. Questo è stato il punto di partenza degli studi di Pierre Fermat (XVII sec.) e di Leonhard Euler (XVIII sec.); quest'ultimo ha considerato anche gli integrali ellittici, cioè le forme differenziali sulla curva cubica. Niels H. Abel, in un articolo del 1826, ha generalizzato tutto ciò a curve algebriche qualunque: egli ha considerato i divisori, la nozione di equivalenza tra questi e la nozione di genere.
Nell'Ottocento sono emerse due tendenze, con molte interazioni tra loro, ma ancora ben chiaramente distinguibili. La prima, di carattere più analitico, fa uso di funzioni analitiche, equazioni differenziali alle derivate parziali e talvolta di specifici suggerimenti provenienti dalla fisica. Tale tendenza, che ha avuto inizio con due articoli pubblicati da Bernhard Riemann nel 1851 e nel 1857, è stata continuata da Felix Klein (specialmente nelle sue lezioni del 1891-1892) e da Hermann Weyl. In questo contesto è stata creata la teoria delle varietà analitiche complesse di dimensione uno. Nel caso di dimensione superiore, un notevole impulso è stato dato dal lavoro di William Hodge (articoli del periodo 1950-1970). Attualmente i loro continuatori sono i matematici e i fisici che lavorano sulle relazioni tra la geometria algebrica e la teoria quantistica dei campi.
La seconda tendenza è quella geometrico-sintetica, inaugurata da Alfred Clebsch (lavori del periodo 1863-1872) e sviluppata da Max Noether (lavori del periodo 1870-1890). Gli studiosi di geometria che hanno seguito questo approccio hanno sviluppato la teoria geometrica delle curve algebriche e introdotto alcune fondamentali nozioni per le varietà di dimensione superiore. Probabilmente il successo più rilevante mai ottenuto in geometria algebrica si deve al lavoro, effettuato tra la fine del XIX sec. e la prima metà del XX, dalla scuola italiana: Guido Castelnuovo, Federigo Enriques, Francesco Severi e i loro allievi. Questi hanno creato quasi tutta la teoria delle superfici algebriche e le loro idee si sono finora dimostrate fondamentali anche in dimensioni più alte. Dopo il 1950, i lavori di André Weil, Jean-Pierre Serre e Alexander Grothendieck, operando una nuova compenetrazione di idee topologiche, analitiche, algebriche e geometriche, hanno dato una forma completamente nuova alla geometria algebrica. Probabilmente, ciò che ha determinato i progressi più importanti è stata l'idea che i gruppi di omologia potessero definirsi in modo puramente algebrico per le varietà algebriche; tale idea risale ad alcuni lavori di teoria dei numeri di Weil. Gli ultimi trent'anni hanno visto un nuovo potente avanzamento della disciplina e alcuni vecchi problemi, considerati assai difficili perfino dai maestri della scuola italiana, sono stati finalmente risolti: per esempio, l'esistenza della risoluzione delle singolarità provata da Heisuke Hironaka e il fatto che ℳg è di tipo generale per g abbastanza grande. La classificazione delle 3-varietà, usando le contrazioni e la teoria dei raggi estremali, si deve soprattutto all'apporto di Shigefumi Mori. In ogni modo, i problemi che si presentano in geometria algebrica sono ben lungi dall'essere definitivamente risolti. Si sa molto poco sulle sottovarietà di codimensione maggiore di uno, sugli spazi di moduli delle superfici algebriche o sulla struttura delle varietà più interessanti ai fini della classificazione, quelle con ϰ=1 o 0.
1. Oggetti e strumenti principali . 2. Teoria generale . 3. Curve, superfici, n-varietà. □ Bibliografia.
In geometria algebrica si sceglie di lavorare con lo spazio proiettivo complesso, perché in esso le proprietà di intersezione sono più uniformi: per esempio, nella geometria analitica due rette distinte nel piano affine si intersecano usualmente in un punto, ma talvolta possono essere parallele; nel piano proiettivo, invece, si intersecano sempre in un punto. Si sceglie poi di lavorare coi numeri complessi per la stessa ragione: già dall'algebra sappiamo che un'equazione polinomiale di grado n ha n radici, a condizione di considerare anche le radici complesse. Si noti che le radici dell'equazione f(x)=0 sono i punti di intersezione delle curve algebriche y=f(x) e y=0. Inoltre, come spazio topologico, lo spazio proiettivo complesso è compatto, mentre lo spazio affine non lo è. Vi sono due problemi principali in geometria algebrica: la classificazione delle varietà a meno di isomorfismo birazionale o a meno di isomorfismo. Due varietà sono birazionalmente isomorfe se, e soltanto se, i loro campi delle funzioni razionali ℂ(X) e ℂ(Y) sono isomorfi su ℂ. Da un punto di vista geometrico, un isomorfismo birazionale tra X e Y è equivalente all'esistenza di due sottovarietà X′⊆X e Y′⊆Y di dimensione più bassa, in modo tale che X−X′ e Y−Y′ siano isomorfe. Uno dei principali invarianti birazionali di una varietà è la dimensione: essa è uguale al grado di trascendenza di ℂ(X) su ℂ. Le varietà birazionalmente isomorfe allo spazio proiettivo sono dette 'razionali'. Ciò equivale a dire che il campo delle funzioni razionali ℂ(X) è isomorfo al campo ℂ(t1,…,tn) delle funzioni razionali in n variabili indipendenti. Si pone così l'importante problema della razionalità: come si fa a determinare quando una varietà è razionale per mezzo dei suoi invarianti geometrici?
Per studiare una varietà algebrica X si studiano le sottovarietà Y⊆X. Quelle più semplici sono le sottovarietà di codimensione uno. Per esempio, per una varietà definita da una singola equazione in ℙN(ℂ), tutte le componenti irriducibili hanno codimensione uno. Tali sottovarietà sono dette 'ipersuperfici'. In generale, tutte le componenti irriducibili dell'intersezione di una varietà irriducibile X con un'ipersuperficie che non la contenga hanno codimensione uno in X. Il contrario è vero, ma solo localmente e solo per le varietà lisce. Per ogni varietà liscia X, data una sottovarietà irriducibile Y⊆X di codimensione uno e un punto x∈Y, esiste una funzione razionale f regolare in x tale che Y è definita dall'equazione f=0 in un intorno di x. Questa funzione può essere scelta in modo, per così dire, minimale, cioè in modo tale che per ogni funzione razionale u regolare in x si abbia u=frv per qualche intero r≥0, con v regolare in x e non identicamente nulla su Y.
Ogni funzione razionale è quoziente di due funzioni regolari in x, e dunque una rappresentazione di questo tipo esiste per ogni funzione razionale, ma con r intero. Benché la scelta di f non sia per nulla unica, il numero r è indipendente dalla scelta di f e del punto x. Se r>0, l'intero r è detto 'ordine di zero' di f lungo Y; se r〈0, allora −r è l'ordine di polo. Per una data funzione non nulla f, il numero r è diverso da zero solo per un numero finito di sottovarietà irriducibili, Yi, i=1,…,m. Se ri sono i numeri corrispondenti, si scrive (f)=r1Y1+r2Y2+…+rmYm. Questa espressione viene detta 'divisore corrispondente alla funzione f'.
Due divisori D1 e D2 sono detti equivalenti se D1−D2=(f) per qualche f. Per studiare la geometria di una varietà algebrica risulta particolarmente importante la nozione di applicazione razionale, definita a partire dalla classe di equivalenza di un divisore, in quanto ogni varietà liscia determina intrinsecamente e in modo univoco una ben precisa classe di equivalenza e questa a sua volta dà luogo a una ben determinata applicazione razionale definita sulla varietà. Questa classe è correlata alle forme differenziali sulla varietà.
Ogni varietà algebrica, in quanto sottoinsieme di uno spazio proiettivo complesso, è anche uno spazio topologico. Una varietà proiettiva è compatta, una varietà algebrica irriducibile è connessa e si può triangolare. Una varietà algebrica liscia X ha un'orientazione naturale, e ciò è conseguenza del fatto che localmente X è come ℂn, e ℂn ha un'orientazione naturale, tale che, per ogni base e1,…,en di ℂn su ℂ, la base e1,…,en,ie1,…,ien di ℂn su ℝ ha orientazione positiva; è facile vedere che la definizione non dipende dalla scelta della base e1,…,en. Sia Y una sottovarietà irriducibile k-dimensionale di una varietà algebrica liscia X. Si può effettuare una triangolazione di X tale che Y−Sing(Y) consista di simplessi. Usando l'orientazione naturale di Y−Sing(Y), si possono orientare i simplessi di questo spazio. In tal modo si associa a Y una catena Y di dimensione 2k che, di fatto, è un ciclo il quale determina un elemento del gruppo H2k(X,ℤ), che si denota con il simbolo [Y] o semplicemente con Y. Per esempio, data una curva algebrica X, si ha H2(X,ℤ)=ℤ e per ogni divisore D=r1P1+…+rmPm si ha [D]=r1+…+rm, intero che si denota con il simbolo deg(D). Per una varietà proiettiva liscia X, si ha KX=−c1, dove c1 è la prima classe di Chern di X.
Sia X una varietà algebrica liscia e ne siano Y e Z sottovarietà tali che dimY+dimZ=dimX, allora Y e Z si intersecano in un numero finito di punti semplici sia su Y sia su Z e, in ciascuno di questi punti, gli spazi tangenti a Y e a Z si intersecano solo nell'origine. L'indice di intersezione topologico (Y.Z) eguaglia il numero dei punti di intersezione contati con molteplicità +1 o −1. Dall'esistenza di un'orientazione naturale segue immediatamente che nel nostro caso queste molteplicità sono tutte +1 e dunque l'indice di intersezione è uguale al numero dei punti di intersezione. Sia X una varietà proiettiva di dimensione n in ℙN(ℂ). Poiché H2n(ℙN(ℂ),ℤ)=[L]ℤ, dove L è un sottospazio lineare n-dimensionale, si ha X=d[L] in H2n(ℙN(ℂ), ℤ) per qualche intero d. Si può scegliere un sottospazio lineare M di dimensione N−n che interseca X trasversalmente. Ne segue che (X.M)=d e quindi d>0. L'intero d è detto 'grado' di X. Per esempio, il grado di un'ipersuperficie determinata da un polinomio irriducibile è uguale al grado del polinomio. Ora, se X e Y sono curve proiettive irriducibili in ℙ2(ℂ) di gradi m e n, allora X=mL, Y=nL e (X.Y)=m.n(L.L)=m.n (due rette si intersecano in un punto!).
Questo risultato non è altro che il teorema di Bézout: il numero dei punti di intersezione di due curve eguaglia il prodotto dei loro gradi (se esse si intersecano trasversalmente; altrimenti i punti di intersezione devono essere contati con molteplicità come le radici multiple dei polinomi). Esso rappresenta solo il più semplice esempio di proprietà di intersezione di varietà algebriche che può essere dedotto in questo modo. Ogni varietà algebrica liscia è anche una varietà analitica complessa. Una varietà proiettiva eredita dallo spazio proiettivo ambiente una metrica kähleriana. In particolare, la sua coomologia possiede la decomposizione
[1] Hk(X, ℂ) = ∑Hp,q(X, ℂ), p + q = k.
Ogni divisore determina una classe di omologia [D]∈H2n−2(X,ℂ) e, per dualità di Poincaré, una classe in H2(X,ℂ). È facile vedere che, nella decomposizione di cui sopra, la classe corrispondente a un divisore, cioè il gruppo di Severi, SX, appartiene a H1,1(X,ℂ). Resta aperto il problema di verificare se un fatto analogo valga anche per sottovarietà di codimensione più alta, almeno per H2k(X,ℚ) (congettura di Hodge). K. Kodaira ha dimostrato che le varietà proiettive lisce sono caratterizzate, tra tutte le varietà kähleriane, dalla proprietà che la classe di tipo (1,1) corrispondente alla metrica kähleriana è intera.
Il nucleo Cl0(X) dell'omomorfismo h: Cl(X)→H2n−2(X,ℤ) appare 'naturalmente' parametrizzato dai punti di una varietà liscia e irriducibile. Per comprendere il significato di questa affermazione è opportuno premettere la definizione di varietà abeliana. In generale, una biiezione tra gli elementi di un gruppo astratto e i punti di una varietà proiettiva liscia A induce una struttura di gruppo anche sui punti di A. Siano A×A→A e A→A le applicazioni che definiscono la moltiplicazione e il passaggio all'inverso di un elemento nel gruppo. È naturale assumere che entrambe queste applicazioni siano applicazioni regolari di varietà algebriche: le varietà proiettive che hanno questa proprietà sono dette abeliane. Si può provare che esse sono sempre commutative; ciò è ovvio nel caso di Cl0(X). Dire che esiste una parametrizzazione naturale di Cl0(X) significa dire che esiste una varietà abeliana, che si denota con Pic0(X), e un divisore D sul prodotto X×Pic0(X) con la seguente proprietà: siano p1 e p2 le proiezioni di Dsul primo e sul secondo fattore di X×Pic0(X); si scel-ga un punto a0 in Pic0(X); allora si vede facilmente che, per ogni a∈Pic0(X), la classe di p1(p2−1(a)−p2−1(a0)) sta in Cl0(X). La proprietà basilare è che l'applicazione a→[p1(p2−1(a)−p2−1(a0))] è un isomorfismo tra Pic0(X) e Cl0(X). Questa proprietà caratterizza univocamente Pic0(X), che è detta varietà di Picard di X. La sua dimensione è uguale a quella q dello spazio delle 1-forme regolari su X. Inoltre, b1=2q, dove b1 è il primo numero di Betti di X.
Sia X una varietà quasi-proiettiva. Una varietà liscia X′ e un'applicazione regolare f: X′→X è detta risoluzione delle singolarità di X se f è un isomorfismo birazionale ed è un isomorfismo tra X−Sing(X) e f−1(X−Sing(X)). Heisuke Hironaka ha dimostrato che ogni varietà quasi-proiettiva possiede una risoluzione delle singolarità. Un isomorfismo birazionale f : X′→X può non essere un isomorfismo, perché f o il suo inverso possono non essere regolari. Il caso più semplice è quello in cui f è regolare ma f−1 non lo è. Secondo un teorema dimostrato in una situazione più generale da Oscar Zariski, non si ha soltanto un'affermazione negativa di non regolarità, ma in realtà la f realizza una specie di 'chirurgia'. Cioè, se X è liscia e f−1 non è regolare, allora esiste una sottovarietà Z di codimensione 1 in X′ tale che f(Z) ha dimensione più piccola di quella di Z, ossia f 'contrae' Z. Un altro teorema di Hironaka, detto teorema dell'eliminazione dei punti di indeterminazione, asserisce che, per ogni applicazione razionale di varietà proiettive f: X→Y, esiste un'applicazione regolare s: X′→X che è una composizione di un numero finito di dilatazioni, tale che l'applicazione h: X′→Y, con h=f ∘s, è regolare. Nel caso delle curve lisce non vi sono dilatazioni e quindi ogni applicazione razionale definita su una curva liscia è regolare; in particolare, per le curve lisce proiettive gli isomorfismi birazionali coincidono con gli isomorfismi. Un'applicazione birazionale regolare tra superfici algebriche è una composizione di dilatazioni. Dunque, ogni applicazione birazionale tra superfici è il prodotto di dilatazioni, e di loro inverse. Non è noto se ciò sia vero anche per varietà di dimensione più alta.
Alcune proprietà importanti delle applicazioni razionali e birazionali, definite su una varietà liscia proiettiva X, sono correlate alle curve che appartengono a X e alle loro intersezioni con i divisori di date classi di equivalenza. Denotiamo con NE(X) il sottoinsieme di H2(X,ℝ)=H2(X,ℤ)⊗ℝ, che consiste di tutte le combinazioni lineari con coefficienti positivi delle classi corrispondenti a curve algebriche C⊆X. Naturalmente, si tratta di un cono convesso che è un nuovo invariante, molto importante, della varietà X. Sono particolarmente importanti gli elementi di NE(X) che corrispondono alle immagini di applicazioni birazionali di ℙ1(ℂ) in X, che sono dette 'curve razionali'. Si prova che ogni applicazione birazionale regolare di X, che non sia un isomorfismo, contrae a un punto qualche curva razionale C⊆X tale che (C.KX)〈0. Ciò giustifica l'interesse nelle curve C tali che (C.KX)〈0. Il numero di intersezione (C.KX) è ben definito giacché possiamo considerare C come un elemento di H2n−2(X, ℤ). È più facile lavorare con la chiusura NE(X) di NE__(X) in H2(X,ℝ). Il sottoinsieme di NE(X) definito dalla condizione (x.KX)〈0 viene denotato col simbolo NE__(X)−. Una direzione di ricerca iniziata da Hironaka e sviluppata da Mori e altri ha condotto ai seguenti risultati. Il cono NE__(X)−, se non vuoto, è localmente poliedrale. Ciascuno dei suoi raggi estremali è generato da una classe corrispondente a una curva razionale C con 0>(C.KX)≥−dimX−1. Un raggio estremale ha un piano di supporto generato da un elemento in H2n−2(X, ℤ), corrispondente a un divisore D tale che l'applicazione ϕmD sia regolare per qualche m>0 e contragga a un punto esattamente le curve la cui classe in H2(X,ℤ) appartiene al corrispondente raggio estremale. Comunque, l'immagine di ϕmD è in genere singolare.
Una curva algebrica liscia proiettiva è, dal punto di vista topologico, una superficie orientabile compatta. Essa ha un solo invariante topologico, e cioè il genere g. Poiché tutte le curve lisce birazionalmente isomorfe sono isomorfe, il genere è un invariante birazionale. Per una curva liscia C, la condizione ϰ=−∞ è equivalente a g=0; in tal caso C è isomorfa alla retta proiettiva. La condizione ϰ=0 equivale a g=1; in tal caso C è una varietà abeliana di dimensione uno. Le curve con g=1, dette curve ellittiche, sono isomorfe a una curva liscia di grado tre in ℙ2(ℂ). Il semipiano superiore di Siegel H1 è l'ordinario gruppo modulare. Dunque, le curve ellittiche non isomorfe sono in corrispondenza biunivoca con i punti di H/Γ. La funzione j, detta invariante modulare assoluto, determina un isomorfismo j: H/Γ→C. Il caso rimanente ϰ=1 corrisponde a g>1, e allora la curva è una varietà di tipo generale. Ciò significa che per n sufficientemente grande l'applicazione pluricanonica ϕnK è un isomorfismo con una curva C in uno spazio proiettivo ℙN(ℂ). Qui si ha N=l(nK)−1 e dal teorema di Riemann-Roch segue facilmente che l(nK)=(2n−1)(g−1) se n≥2. Il grado d della curva C è n(2g−2). Inoltre, dallo stesso teorema segue facilmente che è anche possibile prendere n=3 affinché ϕnK sia un isomorfismo. Dunque, la classificazione birazionale delle curve algebriche di genere g>1 è equivalente alla classificazione, a meno di trasformazioni proiettive, delle curve 3-canoniche di grado 6(g−1) e genere g in ℙN(ℂ), con N=5g−4.
Già nel caso g=1 abbiamo visto che queste curve sono descritte dai punti di una varietà algebrica. Nel caso generale di curve di genere g, diremo che una varietà ℳg è uno per tali curve se esiste una corrispondenza biiettiva 'naturale' ψ tra le classi di equivalenza birazionale di curve di genere g e i punti della varietà ℳg. Naturale significa che se f : X→S è un'applicazione regolare di varietà algebriche tale che f−1(s) è una curva liscia proiettiva di genere g per ogni s∈S, cioè se si ha una 'famiglia' di curve algebriche parametrizzate da S, allora l'applicazione s→ψ(f−1(s)) di S in ℳg è regolare. Secondo un risultato basilare provato da David Mumford, lo spazio dei moduli delle curve di genere g>1 esiste ed è una varietà quasi-proiettiva di dimensione 3g−3. La dimostrazione è basata sulla considerazione delle curve 3-canoniche di cui sopra e sul fatto che le curve di dato grado in uno spazio proiettivo si possono rappresentare con i punti di una varietà algebrica H (il che è possibile, più in generale, per varietà algebriche di dimensione qualunque), interpretando l'equivalenza proiettiva di curve in ℙN(ℂ) come l'azione del gruppo G delle trasformazioni proiettive di ℙN(ℂ) su H e costruendo la varietà quoziente H/G usando la teoria degli invarianti. Pierre-René Deligne e David Mumford hanno dimostrato che la varietà ℳg è irriducibile.
Un'altra strada, di tipo analitico, per studiare lo spazio ℳg è quella proposta da Oswald Teichmüller; essa è basata sulla rappresentazione di ℳg come quoziente Tg/Γ di un dominio limitato Tg⊆ℂ3g−3 per un gruppo discreto di automorfismi Γ. La varietà ℳg ha ϰ=−∞ per g≤12, ma è una varietà di tipo generale per g≥24. Essa ha degli aspetti in comune con i quozienti di domini omogenei limitati in ℂn per l'azione di gruppi discreti di tipo aritmetico. Per esempio, per la sua caratteristica di Eulero si ha e(ℳg)=B2g/(4g(g−1)), dove B2g è il numero di Bernoulli, dunque un numero legato in modo naturale alla teoria dei numeri. In questo caso e(ℳg) è definito come nella teoria degli orbifold: se ℳg=Tg/Γ e G è un sottogruppo di indice finito in Γ che agisce liberamente su Tg, allora e(ℳg)=e(Tg/Γ)/(Γ:G), dove e(Tg/Γ) è la caratteristica di Eulero. In ogni caso, Tg non è omogeneo: tutti i suoi automorfismi sono contenuti nel gruppo discreto Γ.
Per superficie intenderemo qui una superficie liscia e proiettiva. In questo caso incontriamo per la prima volta le dilatazioni. Se σ: X→Y è una dilatazione di una superficie, allora σ contrae una curva C a un punto e pertanto si ha rank(SY)=rank(SX)−1 e X non è isomorfo a Y. Questo procedimento si può ripetere e si ottiene così, a differenza del caso delle curve, un numero infinito di superfici birazionalmente equivalenti ma a due a due non isomorfe: …X2→X1→X→Y. Di conseguenza, ci imbattiamo qui in due problemi: descrivere gli isomorfismi birazionali tra superfici e classificare le classi di equivalenza birazionale delle superfici mediante i loro invarianti (per es., ϰ). Se una superficie X ammette un'applicazione birazionale regolare X→Y, che non sia un isomorfismo, su una superficie Y allora rank(SY)〈rank(SX). Dunque, si può procedere finché si ottiene una superficie per cui non esistono tali applicazioni: una superficie siffatta si dice . Tutte le altre sono ottenute da un modello minimo con una successione di dilatazioni; tuttavia, una superficie può a priori essere birazionalmente equivalente a molti diversi modelli minimi. Ciò dipende dalla sua classe canonica.
In generale, un divisore D su una varietà proiettiva liscia X si dice 'numericamente effettivo' o, in breve, nef, se si ha (C.D)≥0 per ogni curva C⊆X. Per varietà lisce proiettive di dimensione qualunque, due modelli minimi, le cui classi canoniche sono nef, sono isomorfi se sono birazionalmente equivalenti. Dunque, superfici X con KX nef hanno un unico modello minimo. Se KX non è nef, si può applicare la teoria descritta nel par. 2. Si ha un raggio estremale generato da una curva razionale C con (C.KX)=−3,−2 o −1. Nel primo caso, la corrispondente contrazione f manda tutto X in un punto e X è isomorfo a ℙ2(ℂ): la superficie è razionale. Nel secondo caso, la contrazione f manda X su una curva liscia E, f−1(e) è isomorfo a ℙ1(ℂ) per ogni e∈E e X è birazionalmente isomorfo a E×ℙ1(ℂ). Queste superfici sono dette 'rigate'. Nel terzo caso, la contrazione è una dilatazione. Ripetendo l'argomento possiamo escludere che avvenga questo caso. Quindi le superfici che hanno un unico modello minimo sono le superfici razionali e le rigate. Queste sono le superfici con ϰ=−∞, che sono caratterizzate dalla condizione Pm=0 per ogni m>0, dove Pm indica l'm-simo plurigenere di X. Tuttavia, già la condizione P12=0 è sufficiente a caratterizzarle. Le superfici razionali sono caratterizzate dalle condizioni q=0, P1=P2=0, con q l'irregolarità di X.
Il caso in cui KX è nef coincide con il caso ϰ≥0. Se ϰ=0, si hanno, innanzitutto, le superfici con KX=0, che sono superfici abeliane, ovvero semplicemente connesse; nel secondo caso, esse sono dette superfici K3. Queste ultime hanno uno spazio dei moduli che è un quoziente di un dominio omogeneo 19-dimensionale per un gruppo discreto. Tutte le altri superfici con ϰ=0 sono ottenute da superfici abeliane o da K3 come quozienti per l'azione di un gruppo finito di automorfismi. Nel caso ϰ=1, qualche applicazione pluricanonica f=ϕmK manda X su una curva C in modo che per tutti i punti c∈C, tranne al più un numero finito, la fibra f−1(c) è una curva ellittica. Nel caso ϰ=2 si hanno superfici di tipo generale. Esse possono essere studiate in modo analogo a quello usato per le curve di genere g>1. Si potrebbe sperare che l'invariante fondamentale _ si possa ricostruire dalla topologia alla superficie algebrica, così come accade nel caso delle curve (ϰ=−∞,0,1 a seconda che g=0,1,>1). Ma non è così: esistono superfici algebriche omeomorfe con diversi invarianti ϰ. Per contro, ϰ è determinato dalla struttura della superficie come 4-varietà differenziabile. Rimane aperto il problema di vedere se lo spazio dei moduli delle superfici di tipo generale tra loro diffeomorfe è irriducibile, così come accade nel caso delle curve.
In linea di principio, le considerazioni svolte per la teoria delle superfici algebriche possono essere applicate anche alle varietà di dimensione superiore. La difficoltà maggiore sta nel fatto che una contrazione trasforma una varietà liscia in una che può avere delle singolarità e, se si vuole ripetere il procedimento, si è obbligati a lavorare con varietà singolari. Dunque, il problema è quello di trovare una classe di singolarità tali che, su varietà con singolarità di questa classe, si possa sviluppare lo stesso macchinario di cui si dispone nel caso delle varietà lisce, e cioè esistenza della classe canonica, dell'indice di intersezioni di curve con divisori, ecc., e validità dei principali teoremi sulle contrazioni, in modo che non sorgano i problemi indicati (cioè introduzione a mezzo di contrazione di nuovi tipi di singolarità). Varietà siffatte sono state trovate e chiamate 'terminali'. In realtà, una contrazione può produrre varietà non terminali anche partendo da varietà terminali, ma sono stati individuati certi tipi di trasformazioni birazionali, detti flips, che riportano le suddette varietà nella classe di quelle terminali. In linea di principio, questo metodo può essere applicato a varietà di dimensione qualunque e si spera che per tale applicazione le difficoltà da risolvere siano per lo più tecniche. Questa linea di indagine è detta programma di Mori.
Finora i risultati più precisi sono stati ottenuti per le 3-varietà. Essi includono la caratterizzazione delle 3-varietà (terminali) per cui la classe canonica non è nef, che coincidono con le 3-varietà con ϰ=−∞. Per una 3-varietà proiettiva liscia si ha ϰ=−∞ se, e soltanto se, essa è ricoperta da curve razionali, il che significa che per ogni punto della varietà passa una curva razionale. Rimane da vedere se ciò valga anche in dimensione maggiore. Se la classe canonica è nef, si ha 0≤ϰ≤3. Nel caso ϰ=0 non si sa quasi nulla. In dimensione ≤3 la congettura della generazione finita è stata provata. Pertanto, l'anello canonico ⊕L(nKX) è finitamente generato e la varietà algebrica corrispondente a questo anello viene detta modello di Iitaka I(X) di X. Se dimI(X)=ϰ=1, allora I(X) è una curva liscia e, data l'applicazione f : X→I(X), le varietà f−1(y) sono superfici lisce con ϰ=0 per tutti gli y∈I(X), tranne al più un numero finito. Per ϰ=2, la superficie I(X) può essere singolare. Per ogni y∈I(X)−C, dove C è un'opportuna curva su I(X), la varietà f−1(y) è una curva ellittica. Nel caso ϰ=3 si ha una varietà di tipo generale, l'applicazione f : X→I(X) è un isomorfismo birazionale e le singolarità di I(X) sono descritte.
Varietà algebriche immerse in spazi proiettivi diversi possono essere isomorfe e dunque è naturale ricercare una definizione di varietà algebrica che sia indipendente dalla sua immersione in uno spazio proiettivo, così come si ha una definizione degli spazi topologici o delle varietà differenziabili che non presuppone la loro immersione in ℝn. Tale definizione di varietà astratta è stata suggerita da André Weil, Jean-Pierre Serre e Alexander Grothendieck. La nozione cui si perviene è in verità più generale, ossia vi sono varietà astratte che non sono isomorfe a varietà quasi proiettive. Per esempio, su una varietà astratta compatta possono esistere curve C (necessariamente riducibili) che, come cicli, sono omologhe a 0, mentre su una varietà quasi proiettiva questo è impossibile, perché C è una curva proiettiva e l'indice di intersezione (C.L) con la classe di un iperpiano L è positivo ed è uguale al grado di C. In ogni modo, una varietà astratta è birazionalmente equivalente a una proiettiva.
Una varietà liscia (quasi-proiettiva o astratta) è una varietà analitica complessa. Nel caso delle varietà lisce compatte (in particolare di quelle proiettive), le loro proprietà come varietà algebriche e analitiche si accordano bene. Per esempio, una funzione meromorfa su una varietà algebrica liscia e compatta è una funzione razionale, un'applicazione olomorfa coincide con un'applicazione regolare, in particolare l'isomorfismo, nel senso delle varietà analitiche o algebriche, coincide. Una sottovarietà analitica complessa di una varietà proiettiva è essa stessa una varietà proiettiva liscia. Per ogni varietà analitica complessa connessa e compatta X, il campo delle funzioni meromorfe M(X) è isomorfo al campo ℂ(X0), con X0 varietà algebrica (possibilmente di dimensione inferiore a quella di X) determinata a meno di isomorfismi birazionali. Ogni curva complessa compatta (una superficie di Riemann) è isomorfa a una curva proiettiva (teorema di esistenza di Riemann). Kodaira ha sviluppato una classificazione alquanto dettagliata delle superfici analitiche complesse compatte, che ricorda la classificazione delle superfici algebriche. Il ruolo dell'invariante ϰ è svolto qui dall'invariante a=dimX0, dove X0 è la varietà algebrica introdotta prima. Se il primo numero di Betti b1 della superficie è pari (come accade per le superfici proiettive dove b1=2q), essa è una 'deformazione' di una superficie algebrica, ed è altresì kähleriana. Le superfici con b1 dispari non sono neanche omeomorfe a superfici proiettive, e non si è ancora riusciti a descriverle completamente.
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