GENTILI (Gentile)
Famiglia di ceramisti attiva a Castelli (presso Teramo) dalla seconda metà del XVII a tutto il XVIII secolo. Le sorti dei G. si intrecciano con quelle di altri due importanti gruppi familiari castellani anche loro dediti per generazioni alla produzione e decorazione della maiolica, i Grue e i Cappelletti, con i quali erano legati anche da vincoli di parentela.
Recenti studi attestano che la famiglia era originaria di Anversa degli Abruzzi, un piccolo paese della valle del Sagittario in cui è stata riscoperta e documentata un'antica tradizione di lavorazione della ceramica (De Pompeis, pp. 7-10); e questo dato contraddice l'opinione che rivendica origini campane al gruppo familiare (Donatone, pp. 74-76, 83-85).
Appartenne forse alla famiglia il maiolicaro "maestro Berardino de' Gentili di Anversa" attestato a Tivoli nel 1568 in quanto impegnato, per conto del cardinale Ippolito d'Este, nella realizzazione di "quadroni in terra cotta depinti et invedriati" (Campori, p. 44). Ma il vero capostipite, attivo a Castelli, fu Bernardino il Vecchio. Non si conosce la sua data di nascita; si sa tuttavia che sposò Giustina Cappelletti e che da lei ebbe quattro figli: Giacomo e Carmine, che ne proseguirono l'opera, e le gemelle Maddalena e Maria.
La sua figura di artista (Rosa, p. 99) rimane tuttavia ancora poco definita e legata a un circoscritto numero di opere documentate: la grande targa, firmata e datata 10 febbr. 1672, raffigurante La Madonna del Carmine e i ss. Domenico e Francesco della collezione Acerbo (Arbace, 1993, p. 32 n. 32); la modesta mattonella intitolata Cristo in croce firmata e datata 1670 (Polidori, 1952, p. 16, tav. 15a); le due targhe votive raffiguranti rispettivamente S. Benedetto della collezione Paparella Treccia di Pescara (Moccia, 1965, p. 37 n. 112) - recentemente donata al convento benedettino di Montecassino (Arbace, 1999, p. 13 n. 1) - e la Madonna col Bambino con cornice della collezione Bindi di Atri, datata 1659. Nuove ipotesi attributive mirano tuttavia a riconoscere al capostipite della famiglia G. una più articolata capacità compositiva e una vena artistica orientata verso la definitiva sperimentazione dell'istoriato castellano. Bernardino morì a Castelli il 12 maggio 1683.
L'unico lavoro certo di Giacomo il Vecchio, nato a Castelli nel settembre 1668, è il grande tondo policromo in ceramica smaltata con lumeggiature in oro, raffigurante la Madonna del Carmelo, recante la scritta "G.G.P. 1713" della collezione P. Filiani di Silvi (Moccia, 1965, p. 37 n. 113); i confronti stilistici con quest'opera hanno permesso di confermare alcune attribuzioni tradizionali riferite alla sua produzione.
Si tratta di un gruppo di dodici mattonelle istoriate della collezione Acerbo che propongono temi iconografici sacri e profani assai noti, quali: il Trionfo di Galatea, il Trionfo di Venere, due gruppi di Amorini festanti su tralci di vite e fiori, Il martirio di s. Lorenzo, Giuditta alle porte di Betulia, Davide che suona l'arpa e La Vergine col Bambino appare a s. Martina (Arbace, 1993, pp. 56-59).
Da una lettera che il marchese Mendoza y Alarcón, feudatario di Castelli, gli indirizzava nel 1707 da Tossicia per sollecitarlo a completare la lavorazione e a inviargli quanti più "vasi storiati" fosse in suo potere (Rosa, p. 100), si apprende che Giacomo intratteneva rapporti diretti con una committenza prestigiosa per la quale procurava vasellame della migliore produzione castellana; in tale missiva egli è chiamato "maestro figulo", quindi esperto vasaio ma si desume che fosse dedito alla foggiatura e alla cottura delle forme ceramiche piuttosto che alla decorazione pittorica vera e propria.
D'altra parte la critica tradizionale praticamente lo ignora come artista-ceramista e gli riconosce un ruolo di secondo piano rispetto al fratello Carmine (Minghetti, p. 212). Giacomo morì a Castelli il 17 sett. 1713.
Diverso il profilo artistico-professionale di Carmine, nato a Castelli il 16 luglio 1678, che fu allievo di Carlo Antonio Grue, nonché prestigioso e originale interprete della lezione pittorica del maestro.
Rimasto molto presto orfano di padre, fu affidato dalla madre Giustina, cognata di Superna Grue, alle cure del fratello di quest'ultima, Carlo Antonio, che lo iniziò alla decorazione della ceramica, facendolo lavorare nella sua bottega. Sposò intorno al 1715 Caterina Amicucci da Canzano e da questa ebbe sette figli: Caterina, Mansueta, Leonilda, Maria Giovanna e Giustina e i due maschi, Giacomo e Bernardino che operarono a lungo nella bottega paterna e lo affiancarono nella produzione.
Intorno al 1723 Carmine era all'apice della notorietà e ricopriva anche un'importante carica pubblica a Castelli presso il Pubblico Consiglio e Parlamento locale (Nicodemi). La sua bottega aveva una fiorente attività artistica ed era orientata verso una produzione ceramica di qualità, al servizio esclusivamente di una committenza selezionata.
La produzione ceramica a lui riferita è stata definita sovrabbondante sul piano quantitativo, considerando, naturalmente, il massiccio contributo fornito dai figli e dai maiolicari operanti per decenni accanto a lui.
Le ragioni del suo grande e duraturo successo sono state individuate nel dono di una mano felice sempre in grado di associare un buon disegno a una ben calibrata capacità compositiva memore della retorica barocca dei gesti e degli affetti e sensibile alle istanze di un'Arcadia estetizzante e teatrale; proprio tale eclettismo gli permise sempre di affrontare, e di tradurre brillantemente su ceramica, "i temi più disparati che spaziano dalla storia sacra alla storia contemporanea, dalla mitologia alle scene di genere, al paesaggio" (Fittipaldi, p. 116 n. 146).
Suoi manufatti sono conservati in collezioni pubbliche e private: particolarmente nota la sua prima opera firmata, la celebre targa di proprietà del Museo nazionale di S. Martino a Napoli, intitolata Il trionfo di Bacco e Arianna, datata 1717. Il tema è tratto dall'incisione di Gérard Audran da un perduto dipinto di Antoine Coypel (ibid., p. 137).
La fortunata maiolica policroma, caratterizzata da una tavolozza sgargiante (Polidori, 1952, p. 20) che riproduce con gusto tardobarocco la complessa iconografia riferita al celeberrimo tema tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, viene considerata dalla critica una delle opere più rappresentative della storia della ceramica castellana, oltre che del corpus di Carmine: un capolavoro di pittura su maiolica che si esprime al limite del virtuosismo e delle capacità tecniche del maestro e che interpreta in chiave cromatica e luministica le intensità pittoriche dell'incisione, in cui i richiami alla pittura romana e rubensiana sono mediati dal suo maestro Carlo Antonio Grue (Fittipaldi, p. 137 n. 243). La composizione venne replicata numerose volte dallo stesso Carmine e da artisti della sua bottega; noto è l'esemplare in cui tuttavia sono presenti delle sostanziali varianti al modello originario, della collezione Acerbo (Arbace, 1993, p. 164) firmato e commentato dall'autore per mezzo di un'iscrizione riportata in basso lungo il bordo della cornice.
Agli anni più felici e creativi della produzione di Carmine appartengono ancora la pittura su maiolica con La Vergine e il Bambino Gesù della collezione Acerbo desunta, con qualche piccola variante, da un'incisione di Ludovico Carracci (De Grazia Bohlin, pp. 484 s.) e il tondo con il Cristo profano, conservato nel Museo C. Barbella di Chieti, tratto invece dall'incisione di Jan Sadeler su disegno di Bartholomaeus Spranger, di cui esiste una versione inedita conservata nel Museo nazionale del Palazzo di Venezia a Roma (inv. P.V. BA.37).
Di particolare interesse storico artistico documentario e da annoverare tra le più antiche creazioni di Carmine, è il vassoio da parata del Museo di S. Martino a Napoli: il manufatto reca la rappresentazione dell'Allegoria con Giove e l'aquila, due figure femminili e tre maschili con capra su sfondo di paesaggio marino con barche, edifici e figurine; tale composizione, documentata in numerose repliche eseguite dallo stesso Carmine, da Liborio Grue e da Candeloro Cappelletti, è riferibile a un'incisione in controparte di Charles Audran tratta da un disegno con una Allegoria per la famiglia Barberini di Pietro Berrettini da Cortona conservato all'Accademia Albertina di Vienna (Fittipaldi, pp. 122 s.). Ancora si ricorda tra le sue opere più riuscite il "presentatoio di Sassocorvaro", un disco-tazza quasi piatto dal bordo appena rialzato e leggermente estroflesso, recante la raffigurazione di Venere e tritoni con ritocchi in oro al terzo fuoco (Polidori, 1948, pp. 112 s.).
Si trova in collezione privata l'istoriato intitolato Sacra Famiglia con s. Anna e s. Giovannino, firmato sul retro da Carmine e datato 1725-30; l'opera, desunta da un'incisione di Pietro Facchetti è riferita alla composizione di Giulio Romano (Arbace, 1998, p. 70).
Repliche del tema Venere che fustiga Amore da un'incisione di Giovanni Luigi Valesio sono ravvisabili in tre prototipi castellani conservati in altrettante collezioni storiche: un piatto del Museo di S. Martino proveniente dalla raccolta di Ferdinando Calabrò di Moliterno, parte di un importante servizio da tavola composto di circa quaranta esemplari; una mattonella autografa di Carmine oggi al Museo C. Barbella di Chieti e ancora il piatto della collezione Paparella Treccia conservata a Pescara dall'omonima fondazione (Moccia, 1969, p. 47 n. 155)
Un modello incisorio di Michel Dorigny, tratto dal dipinto di Simon Vouet Didone abbandonata, è il fortunato soggetto riportato da Carmine e dalla sua bottega in diversi spolveri (Fittipaldi, p. 135 n. 237), utilizzato in tre maioliche istoriate: il disco conservato nel Museo di S. Martino databile intorno al 1740; la targa della collezione Acerbo e quella della collezione Fuschi in deposito presso il Museo delle ceramiche di Castelli (Arbace, 1998, pp. 86 s.).
Ancora da Vouet, tradotto e divulgato da un modello incisorio di Dorigny, deriva il tema della competizione musicale tra Apollo circondato dalle Grazie e Pan con accanto il dio montano Tmolo giudice della gara, riportato con qualche piccola variante e dipinto su maiolica dalla bottega di Carmine: si tratta del vaso con coperchio del Museo nazionale dell'Aquila, del piatto di pregevole fattura della collezione Paparella Treccia di Pescara (Paparella Treccia, 1970, tav. LXVIII), del mattone del Museo Duca di Martina (Arbace, 1996, p. 152 n. 217), del piattino del Museo di S. Martino a Napoli (Fittipaldi, p. 143 n. 271), della mattonella della collezione Acerbo (Arbace, 1993, p. 172 n. 159) e di altri esemplari di cui uno conservato nel Museo capitolare di Atri (Franceschilli, p. 24 n. 38) uno nella Galleria regionale a Palazzo Abatellis di Palermo (Fittipaldi, p. 143 n. 271).
Anche le mattonelle col tema di Diana al bagno, le Ninfe e un amorino e le Allegorie della Gloria e della Potenza, sempre della raccolta Acerbo, sono tradizionalmente ascritte alla mano del maestro maiolicaro o comunque alla collaborazione con i suoi figli Giacomo e Bernardino (Arbace, 1993, pp. 60, 168-171). Tra le opere tarde, invece, la critica colloca la coppia di vasi del Museo di S. Martino di Napoli recanti uno la complessa iconografia di Selene seduta sulle nubi e Diana dormiente, l'altro La toletta di Didone (Fittipaldi, pp. 116 s. nn. 146 s.).
Carmine morì a Castelli nel 1763 lasciando i due figli, Giacomo e Bernardino a capo della solida e bene avviata bottega.
Giacomo il Giovane sopravvisse al padre solo di due anni e quindi la sua produzione ceramica si sovrappone per almeno un trentennio a quella paterna, anche perché non firmò alcun esemplare. Sappiamo che nel settembre 1748 si recò a Napoli per vendere il vasellame artistico prodotto dalla sua bottega (Rosa, p. 138).
La critica tuttavia gli ha attribuito una considerevole quantità di manufatti (Fittipaldi, pp. 140-142), tra cui i sei piattini del Museo di S. Martino di Napoli le cui decorazioni sono tratte da incisioni di Odoardo Fialetti della serie dedicata agli Scherzi d'Amore; un altro piatto che raffigura Venere che flagella Amore sorretto da un puttino ha come riferimento un'incisione di Agostino Carracci (De Grazia Bohlin, p. 296). Gli vengono riferiti inoltre i piattini con Susanna e i vecchioni, Tritone, Nereide e putti, Anchise in atto di allacciare il sandalo a Venere, sempre del Museo di S. Martino.
Anche il tondo istoriato con L'adorazione del vitello d'oro conservato nelle Raccolte d'arte applicata dei Civici Musei del Castello Sforzesco di Milano è riferito alla mano di Giacomo: questo reca sul retro una scritta, non coeva alla realizzazione dell'opera, che riproduce il suo nome (Arbace, 1993, p. XLIX).
Sono ancora attribuiti a Giacomo sia l'Adorazione dei pastori sia l'Adorazione dei magi della collezione Acerbo: entrambe le composizioni riproducono con grazia le suggestioni dei presepi visti verosimilmente nel suo viaggio a Napoli (ibid., pp. 178 s.).
Tra le numerose opere attribuite alla sua mano si ricordano infine il piatto con Galatea ed Aura e l'ovale che raffigura la Battaglia tra iTurchi e i cavalieri cristiani del Museo di S. Martino.
Ancora più scarsi sono i dati biografici dell'altro figlio di Carmine, Bernardino il Giovane, nato a Castelli nel 1727. Sappiamo che sposò Teresa Paolini e che adottò come figlio Michele De Dominicis.
All'interno della sua abbondante produzione ceramica si deve distinguere tra le opere realizzate da lui autonomamente (alcune sono firmate), quelle dipinte con il fratello Giacomo e, infine, quelle di bottega caratterizzate per lo più da un repertorio comune e manierato.
La più nota maiolica tra le sue opere firmate è il Massacro di s. Orsola, conservata presso il Museo nazionale di S. Martino a Napoli. L'impianto compositivo di questa maiolica istoriata è tratto da un'incisione datata 1685 di Giovanni Antonio Lorenzini, ricavata da un dipinto di Lorenzo Pasinelli.
In quest'opera Bernardino si è cimentato in una composizione pittorica complessa, emulando alcune opere di Carmine, non riuscendo tuttavia a mantenere la raffinatezza del modello incisorio (Fittipaldi, p. 145 n. 276).
Altre tre mattonelle decorate con lo stesso soggetto sono conservate rispettivamente nel Museo capitolare di Atri, nel Museo Correale di Sorrento, nel Victoria and Albert Museum di Londra anche se con qualche variante rispetto al modello (Rackam, 1940, p. 385 n. 1160).
I quattro piccoli dischi intitolati Contadinello in atto di bere da un orcio, Pastorella filatrice seduta, Contadinella con canestro, Pastorella con brocca, sia per i caratteri stilistici delle pitture, sia per i contenuti tematici delle raffigurazioni, fanno parte di una stessa serie; e sono stati ascritti dubitativamente alla fase matura di Bernardino, in cui appare maggiore l'influenza del padre Carmine (Fittipaldi, p. 146).
A lui vanno ancora ascritte due targhe pendant che raffigurano Abramo scaccia Agar e Ismaele e Incontro di Rebecca ed Eliezer, sempre del Museo di S. Martino, caratterizzate però da uno stile consumato e da un corrente schematismo della rappresentazione.
Sono caratterizzate da un accento più marcatamente devozionale la targa intitolata Il giudizio di Salomone e l'altra con S. Raffaele e Tobiolo datata all'ultimo quarto del XVIII secolo (ibid.).
Bernardino morì a Castelli nel 1813.
Fonti e Bibl.: C. Rosa, Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono, Napoli 1857, pp. 99 s., 138; G. Campori, Notizie storiche e artistiche della maiolica e la porcellana di Ferrara nei secoli XV e XVI. Con una appendice di memorie e di documenti relativi ad altre manifatture di maiolica dell'Italia superiore e media, Pesaro 1879, pp. 43 s.; L. De Mauri, L'amatore di maioliche e porcellane, Milano 1924, pp. 289 s.; A. Nicodemi, Francescantonio Grue nella rivolta di Castelli al marchese Della Valle Siciliana, Castellammare Adriatico 1926, p. 41; B. Rackam, Victoria and Albert Museum, Guide to Italian maiolica, London 1940, p. 385; C.G. Polidori, Un "Carmine Gentile" nella Rocca di Sassocorvaro, in Faenza, XXXIV (1948), 4-6, pp. 112 s.; Id., La maiolica antica abruzzese, Milano 1952, pp. 16, 20; Mostra dell'antica maiolica di Castelli d'Abruzzo (catal.), a cura di L. Moccia, Castelli 1965, p. 37; R. Paparella Treccia Le antiche maioliche di Castelli, in Faenza, LIII (1967), 1, pp. 7-15; L. Moccia Le antiche maioliche di Castelli d'Abruzzo, Roma 1969, p. 47; R. Paparella Treccia, La maiolica di Castelli d'Abruzzo, in S. Levy, Maioliche settecentesche, Milano 1970, pp. 49-64; V. Franceschilli, Le antiche ceramiche d'Abruzzo nel Museo capitolare di Atri, Atri 1976, p. 24; D. De Grazia Bohlin, Prints and related drawings by the Carracci family (catal.), Bloomington-London 1979, pp. 296, 484 s.; La ceramica di Castelli. Museo nazionale d'Abruzzo (catal.), a cura di C. Tropea - E Amorosi, Roma 1986, p. 80; Il Museo d'arte "Costantino Barbella", Chieti 1992, pp. 61, 63 s., 67, 69 s.; T. Fittipaldi, Ceramiche: Castelli, Napoli, altre fabbriche, Napoli 1992, pp. 116 s., 122 s., 135, 137, 140-146; G. Donatone, La maiolica napoletana del Rinascimento, Napoli 1993, pp. 74-76, 83-85; L. Arbace, Maioliche di Castelli: La raccolta Acerbo, Ferrara 1993, pp. XLIX, 32, 56-60, 164, 168-172, 178 s.; Id., La maiolica italiana. Catalogo della raccolta del Museo Duca di Martina di Napoli, Napoli 1996, p. 152; M.E. De Pompeis, Scoperta di un'antica produzione di maiolica in Anversa degli Abruzzi, in Quaderni del Museo delle genti d'Abruzzo, 1998, n. 26, pp. 7-10; L. Arbace, Nella bottega dei G. Spolveri e disegni per le maioliche di Castelli, Teramo 1998, pp. 70, 86 s.; Id., Maioliche a Montecassino, Montecassino 1999, p. 13; U. Thieme - F. Becker, Künsterlexikon, XIII, pp. 413 s.; Enc. biogr. e bibliogr. "Italiana", A. Minghetti, Ceramisti, pp. 211-213.