VITIELLO, Gennaro
– Nacque il 15 ottobre 1929 a Torre del Greco da Luigi, titolare di un’impresa edile, e da Ermelinda Forte, casalinga. Ebbe quattro fratelli, Pietro, Rachele, Mario e il prediletto Umberto, di due anni più giovane, poi laureato in francese e in lingue slave e preside di istituti superiori.
Dopo aver conseguito la maturità classica, si diplomò nel 1956 in scenografia all’Accademia di belle arti di Napoli e iniziò a insegnare disegno ornato presso il liceo artistico della stessa città. Nel 1964 sposò la tedesca Uta Rieger, conosciuta dieci anni prima in un campo di lavoro per universitari vicino a Parigi dov’era stato ammesso grazie a Umberto, in seguito lettrice all’Orientale di Napoli in inglese e tedesco, e da cui ebbe due figlie, Cordelia ed Elisabetta, quest’ultima in un secondo tempo maritata con il pittore Gaetano Fiore, allievo del suocero.
Appassionato di letteratura, antica e moderna sino all’esistenzialismo, apprendista di lingue, cultore del cinema d’essai, Vitiello leggeva i testi cogliendone gli snodi narrativi, pronti per essere trasformati in materia teatrale. La magrezza del corpo minuto, l’aspetto emaciato e le dense occhiaie nel volto pasoliniano gli conferivano un’aura fascinosa da intellettuale inquieto e tormentato. Studente ginnasiale, frequentò il santuario del Buon consiglio della contrada Leopardi di Torre del Greco, proponendosi come animatore culturale. E proprio qui, nella saletta dell’orfanotrofio, sempre affollata, fece il suo debutto di regista.
Come pittore, promosse nel 1953 una mostra di suoi quadri raffiguranti le grandi religioni, presso la galleria milanese Il Giorno, tra cui La shoah, simbolo dell’ebraismo, e La Ruota della Vita, per il buddismo. Lo stesso anno eseguì il mirabile ritratto-collage del fratello Umberto, coniugando in un certo senso l’influsso di Felice Casorati e di Georges Braque. Quello fu altresì l’anno della visita esaltante a Roma della mostra picassiana.
Nel 1954, per il teatro dell’Accademia di belle arti di Napoli, Vitiello realizzò la scenografia del dramma Il lungo pranzo di Natale di Thornton Wilder e de I due Pierrot di Edmond Rostand; nel 1955, la scenografia e i costumi dell’opera I combattimenti di Tancredi e di Clorinda di Claudio Monteverdi, e l’anno dopo per l’opera Il ladro e la zitella di Gian Carlo Menotti. Nell’estate del 1956 in Spagna, alla villa rinascimentale di Cadalso de los Vidrios, un’ottantina di chilometri a sud-est di Madrid, Vitiello incontrò lo scultore Juan Cristóbal, padre di un’amica di Umberto e autore del monumento al Cid di Burgos, oltre che sodale e concittadino di Federico García Lorca e di Pablo Picasso. Nonostante la dittatura franchista, proprio grazie a Cristóbal conobbe molti giovani rappresentanti del dissenso culturale, artistico e politico.
Nel 1957 partecipò alla mostra di scenografia dell’Associazione italoamericana Incontro col teatro americano, realizzando per il teatro dell’Aquilone la scena di Sera d’inverno di Sigfrido Geyer, e nel 1958, per il teatro Mignolo, quella di La chitarra di Bed di Carlo Maria Pensa e di L’inventore del cavallo di Achille Campanile. Nel 1958-59 fece parte come scenografo del direttivo del teatro universitario napoletano, di cui divenne direttore nel 1959-60 e dove promosse, nel 1960, un ciclo di conferenze sul teatro moderno e contemporaneo, allestendo poi, per il Collettivo teatrale scenografia delle belle arti di Napoli il Don Giovanni di Molière, con musiche di Enzo Salomone.
Nel 1962 decorò due libri per l’infanzia: L’Incantesimo e Racconti italiani di ieri. Nel 1963 illustrò con immagini di Napoli l’Almanacco Torriani, prima copia dedicata al presidente della Repubblica. Nel frattempo collaborò alla rivista Tempo di letteratura, diretta da Nullo Minissi dell’Istituto universitario Orientale, mentre si legava sempre più a un gruppo di amici, docenti o ex allievi dell’Accademia di belle arti di Napoli, con cui progettò fin da allora la nascita di un teatro laboratorio di formazione e ricerca, il futuro Centro Teatro Esse.
«Esse» stava per «sperienzia», nel lessico di Leonardo da Vinci. L’intento era quello di aprire la cultura della città, di rompere con una tradizione di teatro dialettale meramente finalizzato alla ricerca di un facile e irrilevante consenso. Dunque, la sua era una strategia ostile al dominio eduardiano, ai moduli recitativi prudenti e rallentati sul proscenio, esigendo viceversa una sarabanda incessante di segni e di suoni. Forte, specie all’inizio, l’opzione figurativa per la preminenza data alla visualizzazione della scena. Ma la sua era ogni volta l’esplosione di un’energia direzionata alla totalità dello spettacolo, dai bozzetti scenografici all’adattamento-traduzione e alla regia dei testi, esaltando le proprie competenze anche letterarie. Tra i collaboratori fedeli vi furono, infatti, gli scenografi Giovanni Girosi e Carlo de Simone, la costumista Odette Nicoletti e Anna Caputi, docente di storia dell’arte.
I primi spettacoli sperimentali si tennero nella cappella dei Girolamini, al teatro Politeama di Napoli e al Cenacolo di Nola. Ma il gruppo avvertì presto la necessità di disporre di un luogo stabile, in cui preparare e presentare gli spettacoli, che fu trovato al n. 18 di via Martucci, presso un antico deposito di legname. La Moscheta del Ruzante, rappresentata nel febbraio del 1965 nello stabilimento di Pozzuoli delle Industrie meccaniche meridionali aeronautiche e ferrotranviarie (IMAM-Aerfer) segnò l’esordio di Vitiello regista per conto del Centro Teatro Esse. Ma l’effettiva inaugurazione del Centro di via Martucci avvenne solo il 27 dicembre 1966 con La magia della farfalla di García Lorca, inedito in Italia, tradotto da lui stesso.
Gli attori, usciti da corsi di formazione professionale della RAI, parevano all’inizio in evidente difficoltà con i costumi onirici e gli insetti giganti, dovendo impostare la recitazione non su battute ma su sagome bislacche, memori in parte delle maschere giapponesi. Tra soprassalti coreutici, ritmi danzerini e mixage dodecafonico a evitare movenze romantiche, la scena, sistemata da Girosi, veniva tutta riempita, così come l’intera sala splendeva tra luminarie e accensioni cromatiche a introdurre lo spettatore in un ‘luogo altro’, in una festa dell’immaginazione, a ridosso del Natale appena passato.
Seguirono, sempre su sua traduzione, e quando dal tedesco con l’aiuto della moglie, nel 1967 Sei atti unici di Jean Tardieu, Spasamiolipi con testi, tra gli altri, di Edoardo Sanguineti e Achille Bonito Oliva, e I Cenci di Antonin Artaud. Nel 1968 fu la volta di Massa-Uomo di Ernst Toller, Il folle, la morte e i pupi da Il folle e la morte di Hugo von Hofmannsthal e Los Títeres de cachiporra (I burattini di legno) di García Lorca; nel 1969 I Negri di Jean Genet, nel 1970 la Medea di Seneca; nel 1971 K di Sanguineti, Il Re nudo di Evgenij Schwarz e Prometeo legato di Eschilo; nel 1972 Il funerale del padre di Giorgio Manganelli, ultima produzione del gruppo.
Un repertorio dal singolare eclettismo, spesso in forte anticipo sulla ricezione nostrana, intenso e molto generoso nell’impegno profuso, che accostava copioni recenti della scrittura più avanzata e irregolare, ai classici novecenteschi e a quelli antichi. Una varietà in cambio omologata in una prospettiva argutamente apocalittica, con il rischio di una demonizzazione della società industriale di estrazione espressionista, evidenziata anche dal gioco di ombre e improvvisi lampi di luce.
Di frequente si trattava di battesimi assoluti per la ribalta italiana. Così, dopo l’esordio di Lorca, fu il turno esaltante di I Negri dove il regista (cui Genet concesse i diritti pur non essendo Vitiello persona di colore, dunque contrariamente ai propositi iniziali) raggiunse forse il culmine della sua maturità professionale nel districare e arginare il caos di figure fantasmatiche ed erratiche sollecitato sul palco, con trasbordi anche in platea. Da sottolineare il fatto che con detta produzione Vitiello mostrava di liberarsi del tutto dalla moda brechtiana della recitazione straniata, ancora preminente nel teatro di ricerca del periodo.
Privo di qualsiasi sovvenzione, il Centro Teatro Esse era, a suo modo, la risposta partenopea alle cantine romane: si sciolse ufficialmente nel luglio del 1972, per un guasto nell’appartamento al piano di sopra, che rese impraticabile la cantina di via Martucci. Ma al suo interno da tempo maturava una crisi che minava il gruppo, dividendone gli indirizzi personali. Nell’ottobre dello stesso 1972 Vitiello, assieme a Salomone, Marisa Bello e ad attori nuovi ed estranei rispetto al Centro Teatro Esse, creò La Libera Scena Ensemble, con sede a Torre del Greco, vicina al porto per riunioni e prove, puntando stavolta a soluzioni itineranti, nel clima del decentramento, spostandosi nel 1977 in un garage sottoscala, prendendo il nome appunto di Teatro nel Garage.
Quale primo spettacolo, venne scelto nel 1973 Urfaust di Johann Wolfgang van Goethe, con esito trionfale. Seguirono, nel medesimo anno, La morte di Empedocle da Friedrich Hölderlin, nel 1974 Un matrimonio d’interesse (da Tragicomedia de don Cristóbal y la señá Rosita. Títeres de cachiporra) di García Lorca; nel 1975 I nuovi dolori del giovane Werther di Ulrich Plenzdorf; K - Il funerale del padre di Sanguineti e Manganelli e Padrone e sotto da Il signor Puntila e il suo servo Matti di Bertolt Brecht; nel 1977 Il cacatoa verde di Arthur Schnitzler; nel 1978 Mammà chi è? da Il cerchio di gesso del Caucaso di Brecht; nel 1979 La storia di Cenerentola à la manière de... da Dodici Cenerentole in cerca d’autore di Rita Cirio; nel 1980 Woyzech di Georg Büchner; nel 1982 Assolo per orologio di Osvald Zaharadník e, ancora, Operetta per una bambola da Los Títeres de cachiporra di García Lorca. Nel 1983 Hinkemann di Toller ed Edippo di Ugo Foscolo; nel 1984 Cabaret e forse... di Gennaro Ranieri.
Gli spettacoli erano accolti spesso all’Università di Napoli o in quella di Camerino, con incursioni anche all’estero. Accoglienza suggerita dalla tipologia colta, non di rado erudita, degli spettacoli, in compenso alleggerita sin nei titoli da approcci irriverenti e bizzarri.
Negli anni 1973, 1975, 1979, 1981, 1982 e 1984 organizzò la Settimana internazionale di teatro laboratorio invitando giovani compagnie italiane e straniere e produzioni per lo più nel teatro Metropolitan di Torre del Greco. Per la Festa dei Quattro altari nel 1979 promosse la rievocazione storica del riscatto baronale del 1699 per strade, vicoli e piazze della città di Torre del Greco, applicazione antropologica al modello americano del teatro on the road. Dal 1981 al 1984 fu infine direttore artistico del Giugno popolare vesuviano di San Giuseppe Vesuviano.
Morì l’8 agosto 1985, per un ictus cerebrale nel centro di riabilitazione dell’ospedale Cardarelli di Napoli, senza aver compiuto cinquantasei anni. Scomparsa crudele, prematura, che certo impoverì la sperimentazione campana. I funerali si tennero nella basilica di S. Croce di Torre del Greco.
A dieci anni dalla scomparsa, Battipaglia ha dedicato a Vitiello tre giorni di dibattiti, con una grande esposizione con tavole dei costumi e dei bozzetti da lui eseguiti. Due spettacoli sono stati rappresentati, Spiritilli di Enzo Moscato e la riedizione ridotta del testo di La magia della farfalla, con la regia e scenografia di Gaetano Fiore. Così pure, nel gennaio del 2012, ha visto la luce l’importante mostra dal titolo Due teatri, un regista - Napoli Teatro 1963-1985, per cura di Girosi, Paola Visone e Cordelia Vitiello, con la documentazione di tutte le sue produzioni, in vita e postume, e con le varie tesi di laurea discusse al DAMS di Bologna, all’Università di Salerno e all’Accademia di belle arti di Napoli.
Opere. Alcuni, tra i copioni tradotti e adattati, sono in via di pubblicazione, a partire da La magia della farfalla, a cura di P. Puppa, postfazione di M. Avecone - G. Baffi - P. De Cristofaro (Napoli 2018). In programma a seguire I Cenci di Artaud, I Negri di Genet, Il Cacatoa Verde di Schnitzler, Un matrimonio d’Interesse da García Lorca, Padrone e sotto (da Il signor Puntila e il suo servo Matti) e Mammà chi è? (da Il cerchio di gesso del Caucaso) di Brecht, I nuovi dolori del giovane Werther di Plenzdorf e Woyzeck di Büchner. Racconti brevi, scritti per il settimanale La Torre di Torre del Greco tra il 1965 e il 1966 sono raccolti in G. Vitiello, Taccuino: ricordi e note di regia, a cura di L. Capano - R. Capano, Torre del Greco 2003.
Fonti e Bibl.: F. Quadri, L’avanguardia teatrale in Italia (materiali 1960-1976), II, Torino 1977, pp. 651-654; V. Monaco Westerståhl, La contaminazione teatrale: momenti di spettacolo napoletano dagli anni Cinquanta a oggi, Bologna 1981, pp. 153-178; Il teatro a Napoli negli anni Novanta, a cura di E. Sant’Elia, Napoli 2004, pp. 43-45; M. Porzio, La resistenza teatrale. Il teatro di ricerca a Napoli dalle origini al terremoto, Roma 2011, pp. 300-306; U. Vitiello, Gennaro, mio fratello, in Id., Gente del Vesuvio: racconti di vita vissuta e verità ritrovate, Romagnano al Monte 2015, pp. 200-220; E. Jannini, Palestre di vita. Omaggio a G. V., prefaz. di S. De Matteis, Verona 2017.