Genitorialità
Il termine genitorialità è entrato nell'uso del linguaggio psicologico per indicare le interiorizzazioni che accompagnano la funzione biologica dell'essere genitori. Nelle moderne società industriali la genitorialità può essere vista come uno stato volontario, che è scelto e che può essere evitato, e non più come un evento ineluttabile nel normale ciclo vitale. Secondo questo punto di vista, essa non si configura in un semplice ruolo, bensì in una 'funzione', che non coincide necessariamente con la maternità e la paternità biologiche, ma si estrinseca nella 'capacità di prendersi cura'.
Il termine genitorialità rimanda a una serie di temi: da una parte all'immagine interna che ciascuno ha dei propri genitori, dall'altra alla rappresentazione che ciascuno si costruisce del proprio figlio e di sé stesso nel ruolo genitoriale. Essa inoltre può essere investita di significati ulteriori, come l'opportunità di 'rinascere', o di vivere una seconda vita tramite i figli, o anche di capovolgere i ruoli sperimentati con il proprio padre o la propria madre, fallendo, uguagliando, sorpassando, sfidando, disfacendo il loro modo di essere stati genitori. Gli studi più recenti sottolineano l'importanza delle rappresentazioni interne dei genitori per il rapporto che essi sapranno instaurare con i figli, nel senso che in ogni genitore sarà rievocata la natura della relazione con il proprio padre, la propria madre, i fratelli e le relative risorse e angosce (Venuti-Giusti 1996). Ciò non vuol dire, tuttavia, che la funzione genitoriale debba essere intesa in modo deterministico o unicamente come diretta espressione della personalità del genitore. Vari autori (Belsky-Crnic-Gable 1995) hanno proposto un modello multifattoriale della genitorialità vedendola non come una qualità in sé, ma all'interno di una causalità circolare, in cui devono essere valutati il peso della storia e delle personali risorse del genitore, il contesto sociale quale fonte di stress o di supporto, per es. la qualità e accessibilità dei servizi sociali, e l'influenza delle particolari caratteristiche del bambino. Il processo genitoriale continua in una linea trasformativa per tutto il resto della vita: può variare e rimodellarsi nel tempo, così come possono esserci nel ciclo vitale di una famiglia modelli funzionanti per un'età (per es. l'infanzia), ma inadeguati per un'altra (per es. l'adolescenza). In quanto processo trasformativo, la genitorialità implica una rivisitazione delle proprie rappresentazioni interne, con un passaggio dall'investimento su di sé a quello sul bambino, cui vengono attribuite quote del proprio amore di sé e del proprio ideale dell'Io, e ciò può essere fonte anche di ansia e di aspettative negative. Ai figli e alla funzione della genitorialità può essere anche affidata un'aspettativa 'riparativa', da vedersi come tentativo di risanare aspetti irrisolti o dolorosi della propria storia personale, rispetto all'immagine di sé sia come figli sia come genitori.
Vi sono vari paradigmi di lettura della genitorialità all'interno dei modelli dinamici (Tambelli 1995). Essa può essere interpretata come fase evolutiva che permette di acquisire il ruolo di genitore quale occasione di rielaborazione di conflitti rimasti sospesi nella propria storia personale. In quest'ottica sia la paternità sia la maternità possono essere considerate come una nuova funzione, che subentra al raggiungimento maturativo dello stadio precedente e all'interno di un modello che fa riferimento a un procedere per stadi o fasi evolutive nell'arco della vita. Questa linea interpretativa sottolinea maggiormente la dimensione di continuità con il passato, secondo la quale la sessualità adulta espressa con la procreazione viene a rappresentare l'organizzazione mentale dell'individuo che si allontana da quella dell'infanzia e dell'adolescenza. In alternativa, la genitorialità può essere letta come crisi, ponendo l'accento sui cambiamenti e sulle oscillazioni che l'individuo deve affrontare per costruire un'immagine stabile del proprio Sé genitoriale necessario allo strutturarsi di uno spazio interno di relazione con il bambino. In tale prospettiva, essa offrirebbe l'opportunità di rivedere l'intero sviluppo della relazione con i propri genitori interni, aprendo la possibilità di rielaborare i vissuti legati alle identificazioni infantili che ora vengono confrontati con i sentimenti verso il proprio figlio. Infine, la genitorialità può essere considerata un articolato processo di fattori intrapsichici e interpersonali coinvolgente l'insieme delle rappresentazioni che emergono dalla storia personale dei genitori, dalla loro vita attuale e dalla loro relazione di coppia. In tale ottica la genitorialità implica una redifinizione sia interna (processi intrapsichici), sia esterna (processi interattivi) dei legami familiari in cui sono iscritti la maternità e la paternità (Stern 1995). Secondo questo punto di vista, diventare genitori richiede una riorganizzazione tanto sul piano pragmatico, come cambiamenti, sociali ed economici, nello stile di vita, quanto sul piano intrapsichico in rapporto alla rappresentazione di sé nella propria infanzia e rispetto ai propri genitori.
E.H. Erikson (1982) attribuisce all'età adulta la caratteristica della 'generatività', in antitesi a quelle della 'stagnazione' e della preoccupazione esclusiva di sé. Da ciò emerge una nuova virtù, propria della maturità vera e propria: la 'cura', ossia una nuova forma d'impegno in costante espansione, che si esprime nel prendersi cura delle persone, delle cose, delle idee. La generatività consisterebbe soprattutto nella preoccupazione di creare e guidare la nuova generazione. Vi sono persone che concentrano quest'impulso non sui propri figli, ma su altri interessi altruistici e creativi che possono appagare il loro personale desiderio di paternità e maternità. Se questo desiderio viene a mancare, ha luogo una regressione e si instaura un bisogno ossessivo di pseudointimità accompagnato spesso da un senso diffuso di stasi, noia o impoverimento personale. Secondo altri contributi psicoanalitici (Fonagy-Target 1998), un genitore, o comunque una figura significativa e affettivamente stabile, nel ricevere le proiezioni primitive del bambino e nel trasformarle in stati mentali comprensibili e tollerabili, crea una sorta di cornice che permette al piccolo di mettere in atto una propria capacità elaborativa. La letteratura di tipo evolutivo ha invece messo maggiormente in evidenza la capacità di esercitare e insegnare una competenza, come quella di sapere socializzare e trattare le emozioni: la competenza emotiva. Con essa si intende l'insieme delle capacità di riconoscere, comprendere e rispondere in modo coerente alle espressioni emotive dell'adulto da parte del bambino e viceversa (Dunn 1993). Fare il genitore con successo è una delle chiavi di volta per la salute mentale delle future generazioni.
Prendersi cura, dare sostegno e contenimento richiede delle condizioni di consapevolezza e di flessibilità particolari. In questa prospettiva, la caratteristica più importante dell'essere genitori è, secondo J. Bowlby (1988), quella di fornire una 'base sicura' da cui il bambino o l'adolescente possa partire per affacciarsi al mondo esterno e a cui possa ritornare, sapendo per certo che sarà nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato. In sostanza questo ruolo consiste nell'essere disponibili, pronti a rispondere quando chiamati in causa, ma intervenendo attivamente solo quando è chiaramente necessario. Come osserva M. Rutter (1991), fare il genitore è diverso per ogni persona proprio perché sono molti i fattori che concorrono a condizionare questa funzione, la quale richiede abilità di vario genere e sensibilità a differenti bisogni nelle varie fasi evolutive. In particolare sono necessarie la capacità di fornire un ambiente favorevole allo sviluppo sociale e cognitivo del bambino e quella di affrontare in maniera adeguata i suoi bisogni e le situazioni stressanti: ciò implica sensibilità nei confronti dell'iniziativa dei figli, efficacia nel risolvere problemi sociali, conoscenza di come si debba giocare con i bambini, parlare con loro, mantenere la disciplina, ristabilire l'accordo, aumentarne l'autocontrollo. È necessario, poi, stabilire un rapporto positivo con il figlio, sia rispetto alla continuità e armonia delle relazioni in famiglia, sia nell'aiutarlo a stabilire relazioni sociali con amici, vicini e compagni di scuola. Un fattore rilevante è costituito dall'adattamento psicosociale dei genitori, nel senso che la capacità di assumere un ruolo genitoriale può essere compromessa dalla presenza di disturbi psicologici, come la depressione, o da comportamenti violenti. La funzione parentale è, inoltre, influenzata dai precedenti apprendimenti acquisiti dal padre e dalla madre, maturati nel corso dell'interazione con i bambini; ciò vuol dire che vi possono essere vissuti e competenze diversi rispetto ai primogeniti o ai figli nati successivamente. Il genitore sarà in ogni momento influenzato dalle esperienze associate con le prime fasi dell'interazione con il medesimo bambino e dalle rappresentazioni dei primi legami con lui. Infine, il rapporto genitoriale deve essere visto come una relazione diadica che fa parte di un tessuto relazionale più ampio, per cui la modalità con cui un genitore interagisce con il figlio varia se è solo con lui o se sono presenti anche l'altro genitore o gli altri figli.
L'arrivo di un bambino, o anche la sua attesa, può avere un effetto strutturante o, al contrario, destabilizzante per la coppia e per il nucleo familiare in quanto entra in contatto con l'organizzazione affettiva della relazione coniugale. L'assunzione da parte dei coniugi della funzione genitoriale comporta spesso un riassetto della personalità di ciascuno (Norsa-Zavattini 1997). La nascita di un figlio introduce un elemento nuovo nella relazione della coppia, rinnova le intense dinamiche edipiche caratteristiche delle combinazioni affettive triangolari, riproponendo vissuti di esclusione e profondi coinvolgimenti che si susseguono e si alternano in momenti diversi fra essere in due ed essere in tre. Il semplice fatto di passare da una situazione a due a una situazione in cui bisogna far spazio a una terza persona può risultare infatti difficile per i genitori, perché evoca sentimenti connessi con il condividere la madre con il padre e i genitori con i fratelli. J.D. Osofsky e R. Culp (1993) riferiscono i risultati di una serie di ricerche sugli effetti psicologici del passaggio da coppia coniugale a coppia genitoriale e mostrano chiaramente come la vita sessuale, e in genere ogni forma di soddisfazione tratta dal rapporto con il coniuge, abbia un decremento, mentre aumenti parallelamente un senso di soddisfazione e di benessere che è collegato al proprio ruolo genitoriale e alla valorizzazione delle differenze di genere. Un figlio può, inoltre, significare proiettarsi nel futuro, sfruttando l'opportunità offerta dal nuovo legame per riprogettare la rete di investimenti e di significati affettivi, attraverso quella modalità psichica che B. Cramer e F. Palacio-Espasa (1993) chiamano 'lutto di sviluppo', per significare che la perdita di stato di figlio, determinata dal fatto che nascono figli reali, induce normalmente a un'identificazione con i propri genitori, a un confronto con essi e con l'immagine di sé come figli. Si può dire, in sintesi, che una delle motivazioni che spinge la coppia coniugale ad avere un figlio può essere l'opportunità di 'appoggiare' e 'attualizzare' sul figlio reale quei temi specifici legati alle personali esperienze del passato e al modo in cui sono state elaborate internamente fino a quel momento, per rivisitarli, ridefinirli, riorganizzarli, approfittando della nuova situazione che permette di operare cambiamenti anche notevoli del proprio assetto interno.
I dati e le osservazioni della ricerca di tipo evolutivo hanno messo in evidenza una complementarità fra la motivazione che spinge il genitore a prendersi cura del bambino (parental bonding) e la tendenza innata all'attaccamento (attachment) del piccolo nei riguardi del padre e della madre. Non si deve, in altre parole, pensare alla capacità di prendersi cura come a una via in un'unica direzione, ma vederla piuttosto alimentata a sua volta dalla corrispondenza affettiva dei figli e da questa stessa influenzata, all'insegna cioè di un monitoraggio affettivo reciproco. Il rapporto con un figlio può essere 'usato', all'interno della famiglia, per una funzione regolativa propulsiva, oppure disadattiva. Il figlio, in quest'ultimo caso, è spesso un 'sintomo dei genitori': se per un verso può essere un capro espiatorio, per un altro genitori prigionieri dei loro ideali genitoriali possono divenire preda sacrificale della sua tirannia. Al contrario, si possono verificare casi di 'genitorializzazione inversa' nel senso che il bambino, coinvolto eccessivamente nelle preoccupazioni parentali, sembra divenire una sorta di terapeuta, svolgendo all'interno della famiglia una funzione omeostatica a scapito della propria individualità e crescita. I risultati delle indagini relative alle origini intergenerazionali del maltrattamento infantile (Zavattini 1997) evidenziano che, se nei genitori vi è un fallimento nel crearsi nella mente una teoria del proprio bambino, o nel comprendere la natura dei suoi stati mentali, è possibile che il rischio di ricreare questa esperienza negativa e questa incompetenza si riproponga nella generazione successiva. La trasmissione intergenerazionale coinvolge infatti non solamente modelli organizzati di comportamento, che vengono integrati nel compito genitoriale, ma anche modalità organizzative di pensiero e di sentimento. Se nel genitore esistono modelli contraddittori del Sé o dell'altro, è difficile che nel figlio si possa sviluppare una 'sovrarappresentazione organizzata', in quanto più probabilmente si formano modelli multipli di quella immagine interna. In altri termini, non vi sarebbe quella capacità nel bambino di giungere all'identificazione di caratteri invarianti che è una tendenza mentale fondamentale, tramite cui si giunge a una categorizzazione progressiva e coerente dell'esperienza. La conseguenza è l'instaurarsi di un attaccamento insicuro, che può essere 'evitante', ansioso-ambivalente o addirittura disorganizzato-disorientato. In particolare le indagini sugli aspetti intergenerazionali dell'attaccamento hanno messo l'accento sui lega- mi intercorrenti tra l'esperienza precoce che il genitore ha vissuto durante la propria infanzia, le modalità attraverso le quali ha integrato quest'esperienza, il tipo di cure che fornirà al bambino e il modello d'attaccamento che quest'ultimo sta- bilirà con lui. La ricerca ha messo in evidenza una correlazione altamente significativa (dal 75 all'82%, secondo le culture) tra gli stili di genitorialità del padre e della madre e il comportamento del bambino. Il fallimento sul piano della sintonizzazione affettiva e della capacità di contenere e sostenere le ansie dei figli può esercitare una pressione eccessiva sulle capacità elaborative dei bambini, oppure i processi di individuazione insiti nella crescita possono essere travisati come un attacco ai legami d'affetto. In altri termini, per usare l'espressione di S. Fraiberg (Fraiberg-Adelson-Shapiro 1975), il normale comportamento d'accudimento potrebbe essere impedito dai "fantasmi nella stanza dei bambini" dei genitori.
J. Belsky, K. Crnic, S. Gable, The determinants of coparenting in families with toddler boys. Spousal differences and daily hassles, "Child Development", 1995, 66, pp. 629-42.
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