GARANZIA (voce di origine franca; fr. garantie, sp. saneamiento, ted. Gewährleìstung; ingl. warranty)
Nel linguaggio giuridico, in senso largo, serve a designare, in contrapposto ai diritti di godimentoi quegli altri diritti reali intesi a far il creditore più sicuro della soddisfazione (pegno e ipoteca); e quell'obbligo che il venditore e il permutante hanno, oltre che di difendere l'altro contraente dall'evizione, di assicurarlo che le cose non hanno vizî o difetti occulti. "Garanzia" è qui sinonimo di "responsabiltà", da cui si contraddistingue tutt'al più in questo, che nel momento in cui si vende o si permuta, si garantisce; mentre quando la cosa sia evitta o abbia rivelato il vizio, si diventa responsabili. "Garantisce" pure il locatore, assicurando al conduttore il buon uso della cosa; e che non vi saranno molestie "cagionate con vie di fatto" da chi pretenda diritti su di essa, né domande di rilascio o d'esercizio di servitù. Nel concetto di garanzia si fecero inoltre entrare alcuni obblighi legali, come quello dei padroni e committenti per i danni arrecati dai domestici e commessi, del proprietario di un animale per i danni di questo, del proprietario d'un edificio per i danni prodotti dalla rovina, del proprietario d'un'automobile per le malefatte di chi la conduce. Si disse che la legge impone qui l'obbligo di garantire i terzi. Nello stesso modo, l'obbligo dell'industriale d'assicurare gli operai contro gl'infortunî venne spiegato come una garanzia imposta dalla legge.
In senso stretto il termine garanzia si riferisce invece ai seguenti casi: quello del venditore verso il compratore, per l'evizione che l'abbia privato di tutto o di parte della cosa venduta, e per i pesi non dichiarati nel contratto (art. 1482 cod. civ.: e analogamente art. 1035, 1077, 1396, 1552); e quello del debitore principale verso il suo fideiussore convenuto giudizialmente per il pagamento (art. 1919 n.1: v. anche articoli 1198, 1199, 1205 n. 3, 1208, 1920, ecc.). Già nelle vecchie consuetudini francesi si diceva che tous vendères doit garantir; ed è logico che il fideiussore, garante in senso largo del debitore principale, debba, in senso stretto, essere alla sua volta garantito da questo. La garanzia è così, nel primo caso, una promessa di sicurezza a colui che riceve un diritto valido pure verso altri; e nel secondo una promessa di rifusione. Se il nostro codice di procedura civile non distingue espressamente la garanzia in queste due specie, gli scrittori sono concordi tuttavia nell'ammetterne, come alcuni codici precedenti, una formale e una semplice. Solo in questi due casi il codice consente, del resto, che la domanda verso il garante si proponga davanti al giudice della causa contro il garantito (art. 193 cod. proc. civ.): con la differenza, però, che nel primo caso questi può chiedere d'essere messo fuori causa (art. 198), e nel secondo no. Alla garanzia in senso stretto del venditore s'avvicina, per questo riguardo, quella in senso largo del locatore, contro "le molestie cagionate con vie di fatto" da chi pretenda qualche diritto sulla cosa locata; perché il conduttore deve essere posto fuori causa, se lo chiede, indicando anche solo il nome del locatore (art. 1582 cod. civ.).
Presso i Romani, il venditore con mancipatio era addirittura costretto a difendere il compratore, cui doveva il doppio del prezzo in caso di soccombenza. Non altrimenti, nell'epoca barbarica, se il venditore era giunto a promettere che ubicumque me invenieritis, vos vel misso vestro sine calunnie, licentia me abeatis prindere et districtum manibus me ante iudice(m) portatis, quatenus ut ipso (defensio) vobis percumpleatis, l'accorto compratore poteva impadronirsi di lui e portarlo in giudizio. Lo stesso Bracton, per il diritto inglese, concepì la garanzia come un iuris vinculum quo quis adstringitur ad... defendendum et acquietandum tenentem suum in seisina versus omnes: concetto che Cuiacio rafforzò, guardando al diritto romano. Ma proprio in questo diritto, se l'obbligo della garanzia derivava, anziché da mancipatio, da stipulatio (duplae o habere licere), il venditore era, invece, obbligato sempre e solo al doppio del prezzo o ai danni. La difesa coattiva è tipica di un diritto rozzo e primordiale, e già nello stesso Medioevo si vide che il venditore absolute cogi ut adsistat non potest. Non si tratta, dunque, di un obbligo vero e proprio; ma piuttosto di un diritto d'evitare conseguenze possibili per la condanna di un altro.
Per esercitare questo diritto, il venditore deve essere chiamato nel giudizio promosso dal terzo. Questa chiamata in causa differisce dalla litis denuntiatio romana, perché non contiene solo un avvertimento, ma anche un vero e proprio invito: non solum notificatoria, sed etiam requisitoria esse debet. La denuntiatio era, invece, una pura e semplice notificazione della causa in corso; si conservò genuina, col nome di notificacion de la demanda o denuncia del pleito, nelle legislazioni di tipo spagnolo, e corrisponde alla Streitverkündung dei legislatori tedeschi.
Le forme della chiamata in causa sono diverse secondo gli effetti da produrre: per quelli processuali, come la dichiarazione di contumacia del chiamato, occorre ch'essa sia fatta nelle forme giudiziali, e cioè con atto di citazione; per quelli civili, come l'inopponibilità di un'eccezione al risarcimento, essa può anche avvenire stragiudizialmente, bastando una forma qualsiasi, purché scritta. Per quanto la legge non lo dica in modo espresso, ciò non è meno sicuro. Potendo il debitore essere costituito in mora con atto giudiziale o stragiudiziale, sarebbe infatti assurdo richieder sempre la chiamata giudiziale del venditore tenuto a difendere il compratore itanto più che l'intervento suo non cesserebbe dall'esser una semplice facoltà. La forma scritta è però necessaria, così come nell'intimazione a costituire in mora; perché un semplice invito verbale a intervenire in giudizio non sarebbe propriamente una chiamata in causa.
Poiché la chiamata in causa nella forma giudiziale è ricca di vantaggi, occorre vedere quale ne sia l'aspetto giuridico. Essa implica un intervento coatto a istanza di parte (art. 203 cod. proc. civ.), e deve perciò proporsi secondo le norme stabilite per gl'incidenti (art. 204 princ.), ossia con comparsa.
La chiamata in garanzia, regolata dal nostro cod. di proc. civile (art. 100 n.1, 193-200), differisce dalla chiamata in causa (prevista invece dal codice civile agli articoli 1208, 1497, 1582), in quanto contiene, oltre a un invito a intervenire in giudizio, una vera e propria domanda di risarcimento. La prima si sostituì alla seconda in Germania, dove qualche scrittore vorrebbe accolta la chiamata in garanzia francese, perché diminuisse il numero dei giudizî e si ottenesse la decisione simultanea d'alcuni; mentre la chiamata in garanzia s'innestò in Italia sulla chiamata in causa, derivante dalla denuncia di lite romana, senza però sopprimerla.
Quanto all'ammissibilità della chiamata in garanzia per la prima volta in appello, il Pescatore la sostenne con convinzione sì profonda, da non riuscir a comprendere come gli scrittori francesi avessero potuto insegnar il contrario. Mirando a procurare al garantito i mezzi di difesa possibili al garante, la chiamata in garanzia non sarebbe una nuova domanda, ma solo una nuova eccezione, che lo stesso art. 490 del codice di procedura civile consente di far valere in appello. Questo ragionamento però non regge. Se la chiamata in garanzia è senza dubbio un mezzo di difesa per le parti fra cui si svolse il giudizio di primo grado, per il garante, non intervenuto al primo giudizio, è invece una domanda assolutamente nuova. La sua proponibilità per la prima volta in appello toglierebbe a lui il diritto al secondo grado di giurisdizione.
Il codice di procedura sottopone la chiamata in garanzia a un termine: il convenuto deve proporne domanda nel tempo stabilito per rispondere (art. 193); l'attore in quello per replicare. Chi non è parte può intervenire (e reciprocamente esser chiamato) in una causa finché non sia rimasta ferma l'iscrizione a ruolo, o finché non sia cominciata la relazione all'udienza quando si tratti di procedimento sommario (art. 201). Avendo poi la legge 31 marzo 1901, n. 107, sulla riforma del procedimento sommario, fatto di questo il procedimento normale in Italia (art. 2 princ.), ne viene che il termine per rispondere è di regola quello a comparire (art. 390, cap. 1 cod. proc. civ.; cfr. art.1, cap. 1 legge cit.), e che la domanda di garanzia può anche esser fatta all'udienza, prima però che si discuta la causa. Quando occorra un termine, vedi l'art. 32 del regolamento 31 agosto 1901, n. 965, prima parte, e gli articoli 422 princ. e 449 cod. proc. civile.
Nel Medioevo, la domanda di garanzia era una vera e propria eccezione dilatoria e sospendeva il corso della domanda principale. Oggi, invece, non si ha più per essa sospensione alcuna, all'infuori della suddetta richiesta d'un termine. Già il codice di procedura civile aveva disposto che, se la domanda in garanzia non sia in istato d'esser giudicata contemporaneamente alla domanda principale, non ne ritarderà la decisione (art. 199, cap.1). Il giudice, pur ritenendo per sé la domanda di garanzia, la deciderà separatamente dalla principale, giunta prima a maturità. Superfluo è aggiungere che deve esser sempre proposta nella forma della citazione, perché contenendo, con un invito a intervenire in giudizio, una domanda di risarcimento, ha carattere di vera e propria azione.
Nel Medioevo, si poteva chiamare in garanzia anche il garante del garante: consuetudine receptum est forensi laudari authoris authorem posse. In Germania, si chiamò Sprungregress quest'uso, che si diffuse anche in Inghilterra, dove non sembrò giusta la mancanza d'escambium nell'evitto per l'insolvenza del garante diretto.
Potrà quest'uso apparire magari felice, e potrà anche sembrar frutto di un'interpretazione più progressiva della legge: si tratta però di una deroga ai principî romani, avente la manifestazione estrema nel concetto erroneo di garanzia impropria. Tal deroga non è, nel diritto processuale, meno iniqua e assurda che nel diritto sostanziale, dove obbliga a rispondere chi aveva escluso ogni responsabilità. Essa impone, infatti, a un venditore di comparire davanti al giudice competente per un altro. Se ragioni d'interesse sociale, riguardanti l'economia dei giudizî, possono aver indotto la legge a far comparire il venditore davanti al giudice competente per il compratore, non si deve andar oltre. La deroga contenuta nell'obbligo della garanzia non va assolutamente estesa.
Quando poi i più venditori siano, invece che successivi, simultanei, v'è questione se debbano esser chiamati in garanzia tutti, o ciascuno separatamente. Nel diritto comune, che faceva consistere la garanzia nella difesa, l'obbligo era per forza indivisibile. Nel moderno, invece, secondo cui la garanzia importa un semplice risarcimento, l'azione contro i venditori può dividersi (sebbene la maggior parte della dottrina ritenga tuttora il contrario), rendendo così ammissibile la sola chiamata del venditore dal quale si vuole esser risarciti.