GALLO Pisano (Galletto)
Nacque forse a Pisa nella prima metà del sec. XIII. Dante lo ricorda nel De vulgari eloquentia (I, XIII, 1) - insieme con Bonagiunta Orbicciani da Lucca, Mino Mocato da Siena e Brunetto Latini - fra i poeti toscani, seguaci di Guittone d'Arezzo, che adottarono nei loro componimenti il volgare "municipale" al posto di quello "illustre" o "curiale". Nell'opera dantesca è menzionato come Gallo Pisano. Egli stesso, in una delle sue poesie, si denomina Gallo; e Gallo lo chiama anche, in un verso, un suo amico, il poeta pisano Lunardo del Gullacca. Il nome Galletto compare solo nei codici che riportano due sue canzoni, le uniche a noi pervenute: Laurenziano Rediano 9, Vaticano lat. 3793 e Palatino 418 (Bibl. nazionale di Firenze).
Secondo un'ipotesi avanzata dal Gaspary nel 1887, G. potrebbe essere identificato con un eminente pisano suo contemporaneo e omonimo, il giudice Gallo di ser Agnello, appartenente a un'antica famiglia cittadina: quella dei Dell'Agnello (o Agnelli). La proposta suscita qualche perplessità: nei codici che hanno conservato i suoi versi e in quelli in cui viene ricordato, infatti, il nome di G. non ricorre mai preceduto dai titoli spettanti ai giudici e, in generale, a giuristi e notai ("dominus", "doctor" o "messere") o seguito dal patronimico. D'altro canto, proprio la citazione dantesca può avvalorare l'ipotesi del Gaspary: il poeta fiorentino, infatti, pone G. fra i "famosos… viros", cioè fra quei personaggi illustri toscani che rappresentavano senz'altro una élite in quanto a cultura e a natali. Fra essi ben si collocherebbe la figura di un giudice di nobile famiglia. È da ricordare, poi, che molti poeti italiani delle origini furono notai o comunque uomini di legge. Non esistono, in realtà, elementi concreti per respingere l'ipotesi del Gaspary, tant'è che lo Zaccagnini, nel 1917, e il Cristiani, nel 1955, la ritennero accettabile. Qui di seguito si danno, perciò, alcune brevi note biografiche relative al giudice pisano Gallo di ser Agnello e alla sua famiglia.
Secondo quanto scrive il Roncioni, i Dell'Agnello avevano origini lontane. Il padre di Gallo, ser Agnello, giudice e notaio, appare in un documento come firmatario di un contratto dell'8 febbr. 1220 relativo a un podere da lui acquistato, in località Pugnano, da Ugolino di Opizzone da Ripafratta. Nel contratto è indicato come Agnello del fu Bianco, residente nella contrada pisana di S. Sisto. Nel 1233-34, Agnello fu giudice della Curia dei forestieri, come attesta una pergamena dell'Archivio arcivescovile di Pisa. Era ancora in vita nel 1241, come si desume da un documento di quell'anno, che cita anche un "Blancus filius Agnelli", cioè un fratello di Gallo.
Gallo di ser Agnello, ricchissimo, probabilmente per patrimonio familiare, ricoprì a Pisa cariche pubbliche di una certa rilevanza. Nel 1274, come attesta il cronista Guido de Corvaria, fu inviato come ambasciatore con altri colleghi al concilio di Lione. Nel 1279 era nel Consiglio degli anziani, intento a placare le discordie sorte fra l'arcivescovo Ruggeri, capitano di Pisa, Rinaldo da Riva, il podestà e il Comune. Si può supporre che, data la carica ricoperta nel Consiglio, Gallo fosse a quel tempo già in età matura. Nel 1282-83 fu giudice assessore a Volterra, insieme con il podestà pisano Gerardo d'Isacco. Negli anni successivi, 1283-84 e 1289, compare più volte in vari atti notarili come operaio dell'Opera di S. Maria, la cattedrale di Pisa, impegnato nella raccolta di offerte e di lasciti per finanziarla. Nel 1288 sedette nuovamente nel Consiglio degli anziani; qualche anno più tardi (1292 o '93) firmò l'acquisto di un terreno, che si aggiunse ai numerosi poderi (circa quaranta) che egli possedeva nelle zone di Pugnano, Lugnano e Rigoli. Risale al 31 dic. 1297 il suo testamento, dettato presso il notaio Guido Rustichelli.
Con esso Gallo nominava Mercato del fu Albertino, converso dell'Opera di S. Maria, usufruttuario di tutti i suoi beni, comprese le case, i vigneti e ogni sostanza accessoria, per conto dell'Opera stessa. Il documento cita anche altri congiunti: in esso infatti si richiede all'usufruttuario l'impegno a versare un cospicuo vitalizio alla nipote di Gallo, Brida, figlia di suo fratello Guidone e suora nel monastero di S. Paolo a Pugnano. Si può supporre, quindi, o che Gallo non avesse avuto figli, giacché non compaiono nel testamento, oppure che essi fossero già morti nell'anno in cui esso fu stilato.
Gallo di ser Agnello morì certamente prima del gennaio 1301, data di un atto in cui Mercato del fu Albertino fa l'inventario dei beni di Gallo da lui ereditati in usufrutto. La sua tomba è oggi nel Camposanto vecchio di Pisa, nel loggiato volto a sud, al numero XXIV: un sarcofago con bassorilievi d'ispirazione romana su cui si può leggere "Sepulcrum domini Galli Agnelli iudicis operarii Opere Sancte Marie".
Le due canzoni di G. pervenute sino a noi hanno una tematica amorosa e mostrano i motivi tipici della lirica cortese provenzaleggiante che si diffuse nel Duecento nell'Italia centrale, dando vita alla poesia siculo-toscana di cui Guittone d'Arezzo fu l'iniziatore. Anche Pisa fu uno dei centri in cui Guittone contava numerosi seguaci: Jacopo Mostacci, Betto Mettefuoco e altri, poeti contemporanei di G., con cui egli ebbe probabilmente rapporti personali o culturali. Infatti, anche se i gruppi guittoniani non costituivano una vera e propria "scuola", essi fungevano da polo di attrazione e di contatto, da cui scaturiva un vivace dibattito intellettuale.
La prima canzone di G., "In alta donna ho miso mia 'ntendansa", ha caratteristiche ancora molto vicine alla scuola siciliana. Il poeta si rivolge alla donna amata che gli ha fatto dono di una rosa: un buon inizio, quasi una garanzia che il sentimento di lui sia corrisposto. In essa è da rilevare l'uso di termini del linguaggio giuridico-notarile ("convento", "sigurato") nell'ultima stanza (o strofa) che potrebbero avvalorare l'identificazione del poeta con Gallo di ser Agnello.
La seconda canzone, "Credeam' essere, lasso!", prende a modello il primo Guittone, ancora libero da implicazioni religiose. Qui il G. dapprima si lamenta della servitù amorosa che lo lega alla sua donna da più di un anno; poi passa subito a tesserne le lodi e conclude, quasi in un'esplosione di riconoscenza, affermando che l'amore per lei lo ha trasformato in un individuo più forte e saggio, purificandolo da ogni altro sentimento vano. Nel penultimo verso vi è il riferimento al proprio nome ("…ben dico Gallo"). A questa canzone rispose Lunardo del Gullacca con il suo serventese "Si come 'l pescio al lasso", sostenendo la tesi opposta, apertamente misogina.
Dal punto di vista linguistico le due liriche di G. sono già influenzate dalle peculiarità locali (tipicamente pisano è, ad esempio, l'uso della terminazione "-ansa" per "-anza"): il volgare già si colora di quegli aspetti "municipali" che Dante sottolinea nel De vulgari eloquentia. Le due canzoni sono edite in Rimatori siculo-toscani…, pp. 135-138.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico, Opera della primaziale, perg. 8 febbr. 1220; Ibid., Acquisto Roncioni, perg. 29 dic. 1279; Monastero di S. Anna, perg. 31 dic. 1297; Opera di S. Giovanni, Contratti di fra Jacopo notaro, n. 2517, c. 22; Osp. di S. Giovanni, Contratti e testamenti dal 1286 al 1301, n. 2545, c. 128; Osp. di S. Giovanni, n. 2518, c. 121v; Arch. dell'Opera del duomo, n. 32, c. 21v; Pisa, Archivio arcivescovile, Diplomatico, perg. 707, settembre 1233-34; perg. 763, anno 1241; Guido de Corvaria, Historiae Pisanae fragmenta, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXIV, Mediolani 1738, pp. 682 s.; D. Alighieri, De vulgari eloquentia, in Id., Opere minori, Verona 1979, II, (I, XIII, 1), pp. 106 ss.; R. Roncioni, Delle famiglie pisane supplite e annotate da F. Bonaini, in Archivio storico italiano, VI (1848-49), 2, Suppl., p. 821; A. Gaspary, Storia della letteratura italiana, I, Torino 1887, pp. 67, 423; Rimatori siculo-toscani del Dugento, a cura di G. Zaccagnini - A. Parducci, Bari 1915, pp. 135-141, 251 s.; G. Zaccagnini, Notizie intorno ai rimatori pisani del sec. XIII, in Giornale storico della lett. ital., LXIX (1917), pp. 1-8; E. Cristiani, I dati biografici ed i riferimenti politici dei rimatori pisani del Duecento, in Studi mediolatini e volgari, III (1955), pp. 7-26; G. Contini, Poeti del Duecento, Verona 1960, I, pp. 283 ss.; II, p. 826 n.; G. Bertoni, Il Duecento, Milano 1973, p. 149; A. Tartaro, Guittone e i rimatori siculo-toscani, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), I, Le origini e il Duecento, Milano 1987, pp. 404, 413 s.; Enc. Dantesca, s.v.