MASINI, Galliano
– Nacque a Livorno il 7 febbr. 1896, da Menotti, pastaio, e da Rosa Sperti.
Nato all’indomani dell’attacco al forte italiano di Macallé da parte dell’esercito abissino, il M. dovette il proprio nome di battesimo al protagonista di quell’episodio, il comandante di quel forte, G.F. Galliano. Terzogenito di una famiglia assai umile, ebbe studi pressoché inesistenti, per tentare dall’età di otto anni i più disparati mestieri: dapprima garzone di gelataio, poi apprendista fabbro, manovale, venditore ambulante di cocomeri e scaricatore al porto di Livorno. Peraltro, scoprire di avere una bella voce non gli schiuse, inizialmente, alcuna nuova strada. Anzi, quando volle tentare una prima audizione presso una compagnia di operette si vide bocciato perché dotato di voce troppo voluminosa, in rapporto a un genere ritenuto leggero.
Il M. entrò intorno ai diciotto anni in una società corale cittadina (all’inizio come baritono) a titolo puramente amatoriale e continuando a guadagnarsi il pane come scaricatore di porto. Nel 1921, però, prendendo parte (sempre nel coro) a una Lodoletta di P. Mascagni, si trovò a fare il proprio debutto come solista. Gli fu richiesto, infatti, di eseguire lo stornello che un’anonima voce tenorile fuori scena intona nell’ultimo atto. La brevissima performance suscitò il plauso dello stesso Mascagni che sentenziò (o, almeno, così da allora si è sempre tramandato): «Sarebbe un delitto non farlo studiare» (cfr. Calvetti, p. 31).
Questo giudizio scatenò l’entusiasmo dei Livornesi, dando vita a un rapporto d’affetto tra la città e la sua potenziale nuova gloria che sarebbe rimasto un unicum nelle vicende canore di Livorno, nonostante i molti illustri cantanti d’opera che già avevano visto la luce nella città toscana: N. Tacchinardi, G. Pardini, E. Delle Sedie, M. Ancona. Ricevendo dai propri conterranei un sostegno anche economico, il M. cominciò a studiare canto nei ritagli di tempo – continuando a lavorare al porto – apprendendo le prime nozioni da A. Bendinelli, ex tenore di una certa notorietà. Ma apparve subito chiaro che quel talento naturale non sarebbe approdato a nulla, se non si fosse dedicato al canto a tempo pieno.
Soltanto con il trasferimento a Milano e le lezioni del maestro G. Laura (gratuite, date le precarie finanze dell’allievo) il M. poté costruirsi una tecnica vocale: i progressi furono talmente rapidi da indurlo a tentare un’audizione alla Scala con A. Toscanini, che si risolse però – data la ancora sostanziale immaturità del M. – in un nulla di fatto.
Il debutto giunse il giorno di Natale del 1924 con una Tosca di G. Puccini a Livorno, ed è superfluo aggiungere che fu un trionfo. Il biennio 1925-26 vide il M. soprattutto in piccoli teatri di provincia, oltre che sui palcoscenici della sua città. Il repertorio era quello del tenore pucciniano-naturalista di taglia lirica (Tosca, Bohème, Madama Butterfly, L’amico Fritz di Mascagni); in seguito anche un ruolo squisitamente romantico, come Edgardo della Lucia di Lammermoor di G. Donizetti, entrò quasi immediatamente a far parte dei suoi cavalli di battaglia.
Un primo infortunio accadde alla fine del 1926, quando, in occasione di un Amico Fritz a Firenze, il M. tornò a lavorare con Mascagni, chiamato a dirigere la sua opera. La serata nacque, per quanto riguarda la prova sia del M. sia della sua partner Laura Lauri, decisamente sotto una cattiva stella; e Mascagni – mostrando di aver rimosso il giudizio entusiastico espresso cinque anni prima – dichiarò che si sentiva davvero che il teatro aveva affidato il ruolo del titolo a un ex corista. Fu quanto bastò perché tra il compositore e il cantante livornese, dato anche il carattere impulsivo di quest’ultimo, si creasse uno strappo che per qualche anno fu impossibile ricucire.
Altri infortuni accompagnarono di tanto in tanto la carriera del M., vittima di una bronchite cronica (contratta negli anni di studio a Milano) che, quando si riacutizzava, lo costringeva a cancellare le recite o, più spesso, ad andare in scena in cattiva forma, mandandolo incontro a «stecche» che divennero proverbiali tra i melomani: incidenti di percorso che non pregiudicarono la bontà complessiva dell’emissione e dell’intonazione, tanto che il M. si guadagnò rapidamente la stima di compositori e direttori d’orchestra come R. Zandonai, G. Marinuzzi e, soprattutto, U. Giordano.
Impressionato dal modo con cui il M. interpretava Andrea Chénier, Giordano lo convinse a studiare Fedora, sperando che il temperamento e la comunicativa del M. risollevassero le sorti di un lavoro la cui popolarità, dopo le interpretazioni di E. Caruso, era tramontata. Fu un colpo di fortuna tanto per il compositore quanto per l’interprete: a partire dal 1930 Fedora tornò in repertorio grazie anche al M. che, a sua volta, poté trovare in Loris Ipanoff uno dei personaggi più congeniali.
Erano d’altronde questi gli anni in cui il M. spiccò il volo, pur restando in secondo piano rispetto a B. Gigli e G. Lauri Volpi, i due divi del firmamento tenorile dell’epoca: nel 1928 era arrivato il primo contratto all’estero (Lisbona); al 1930 risale la prima tournée in Sudamerica, mentre al 1932 l’inizio dell’attività discografica e l’esordio alla Scala; per l’approdo ai palcoscenici statunitensi dovette aspettare il 1937.
Nemmeno il cinema volle rinunciare alla popolarità del M. e al suo volto, ruvido e penetrante, che il grande schermo valorizzava: nel 1936 con La regina della Scala, diretta da G. Salvini e C. Mastrocinque, protagonista il soprano Margherita Carosio; due anni dopo con La stella del mare (regia di C. D’Errico, protagonista l’attrice Luisa Ferida), che lanciò il M. anche come interprete di canzoni.
Una simile escalation non poté lasciare indifferente Mascagni, tanto più che il M. nel frattempo era divenuto un quotatissimo interprete di Cavalleria rusticana e Il piccolo Marat. La riconciliazione venne sancita nel 1934 e da allora furono numerosi gli incontri professionali tra i due, destinati a sfociare, nel 1940, in una serie di recite di Cavalleria rusticana in occasione del cinquantenario dalla «prima». Dopo le recite di Roma, Milano e Napoli, Mascagni però preferì sostituire il M. con Gigli per le esecuzioni ancora mancanti (Firenze e Livorno), nonché per l’incisione discografica che avrebbe immortalato l’operazione. Data la caratura di Gigli, l’avvicendamento non offrì il destro a contestazioni: anche se al M. dispiacque particolarmente l’esclusione da Livorno.
Il dopoguerra fu caratterizzato da una progressiva rarefazione degli impegni del M., che restò comunque sulla breccia ancora a lungo: tanto che nel 1955, dopo aver tentennato per anni, si decise a debuttare in Otello di G. Verdi (a Livorno). Fu un esordio tardivo – la voce non era più quella di un tempo – ma accolto con prevedibile festosità dal pubblico. Il ritiro avvenne nel 1957, sempre a Livorno, con una recita di Pagliacci di R. Leoncavallo.
Il M. morì a Livorno il 15 febbr. 1986.
Il M. è un tenore ancora in attesa di un’attenta ricostruzione critica: il lascito discografico non è del tutto probante, data la sua diffidenza nei confronti della sala d’incisione (artista passionale, si esprimeva compiutamente solo in palcoscenico), e l’essere connotato come cantante verista (pure il suo Verdi e il suo Puccini furono filtrati da tale reticolo interpretativo) finì, in qualche maniera, per danneggiarlo. Le qualità vocali, e anche quelle dell’attore, restano però indiscutibili: i suoi due più fortunati rivali – Lauri-Volpi e Gigli – lo definirono, rispettivamente, una «voce stupenda degna di eccellere per nitore del timbro» (Lauri-Volpi, p. 148) e una voce «che è cristallo di Boemia» (cfr. Calvetti - Ciacci, p. 435).
Il fratello minore del M., Cesare, fu a sua volta tenore, pur senza mai uscire dalle fila del comprimariato, aggiungendo al proprio cognome quello della madre: in locandina figurò sempre come Cesare Masini Sperti.
Fonti e Bibl.: G. Lauri-Volpi, Voci parallele, Bologna 1977, pp. 147 s.; M. Calvetti - G. Ciacci, Intervista a G. M., in Musica, 1983, n. 31 (dicembre), pp. 434 s.; M. Calvetti, G. M., Livorno 1986; G. M. 1896-1996: il centenario (catal.), a cura di F. Venturi, Livorno 1996; M. Del Fante, Caruso e i grandi cantanti lirici in Toscana, Signa 2002, pp. 161-165; D. Annachini, La voce dell’istinto (fascicolo di accompagnamento al cd G. M., Bologna s.d.).