FLORIMONTE, Galeazzo
Nacque a Sessa Aurunca (nell'odierna provincia di Caserta) il 27 apr. 1484, figlio naturale del notaio Marco Ferramonte e di Antonina Castello (o Zitello).
Col cognome paterno è menzionato in un atto notarile dato in Sessa il 28 genn. 1514 e la forma Ferramonte è presente nei documenti fino al 1537, quando venne soppiantata da Florimonte. Nell'epistolario dei F. il cognome elettivo appare però fino dal 1529 e va accolta la congettura dei Tommasino (Tra umanisti..., p. 55) che lo pone in rapporto alla conversione religiosa databile agli anni 1528-29.
A Sessa, tra il 1500 e il 1506, ebbe come maestro di grammatica, poetica e retorica Agostino Nifo. Successivamanete si laureò in filosofia e medicina, ma non sappiamo però in quale università. Già nel 1514 dovette entrare al servizio di Alfonso d'Avalos marchese del Vasto, che seguì a Parigi in un'ambasceria presso Francesco I.
Negli anni successivi il F. fu al servizio di M.A. Colonna come medico e intorno al 1520 cade il secondo soggiorno a Parigi che, protraendosi più del precedente, consentì di stringere contatti e svolgere esperienze intellettuali decisive per la sua maturazione. Conobbe Jacques Lefèvre d'Étaples e il teologo coloniese Albert Pigge, sostenitore della dottrina della doppia giustificazione. Da una lettera di I. Sadoleto del 1529 (Epistolae proprio nomine scriptae, I, Romae 1760, pp. 267 s.) si ricava che si trovava allora in un coenobio Ferrariensi ed intorno a questa data va collocata la crisi morale e l'adesione al sacerdozio che rappresenta la svolta decisiva nella vita del Florimonte.
Di ritorno dalla Francia, nel 1527-28 fu precettore in casa Serego a Verona. L'arrivo del F. in questa città è forse dovuto ai rapporti col vescovo G.M. Giberti che nel 1527 vi favorì la creazione di un cenacolo di letterati tra cui spiccano M.A. Flaminio, A. Fumani, F. Berni, F. Della Torre e Lodovico da Canossa. L'ingresso del F. in questa cerchia sarebbe di qualche anno posteriore, contatti stretti dovevano tuttavia preesistere: al Giberti, esecutore testamentario del Canossa già vescovo di Tricarico, morto a Verona nel 1529, è dovuta l'attribuzione di una pensione di 300 scudi sulla mensa di quel vescovato, che costituì a lungo l'unica entrata del Florimonte. Il soggiorno presso l'academia gibertiana fu decisivo per la maturazione della personalità del F. che nelle discussioni teologiche con gli altri membri del cenacolo irrobustì la sua preparazione dottrinale, educandosi a uno spirito di fedeltà alle Scritture e di tolleranza affabile ma austera che avrebbe contraddistinto tutta la sua carriera ecclesiastica.
Al contempo l'academia veronese riproduceva, trasferendoli nella sfera spirituale e letteraria, i caratteri eletti di quella società di corte cui il F. aveva voltato con decisione le spalle. Riflette questo clima il ritratto che ne fece in apertura del Galateo mons. G. Della Casa.
All'inizio del 1536 il F. aveva già lasciato Verona, non sappiamo per quale destinazione; era però con certezza a Roma dal luglio al settembre 1537 e alla fine dell'anno tornò a Sessa. Qui esercitò l'ufficio di amministratore della mensa vescovile e ospitò nel novembre del 1538 l'amico Flaminio. che dopo aver lasciato Verona si era recato a Napoli ove era entrato in rapporti con il circolo valdesiano.
Dal giugno al settembre 1539 il F. soggiornò a Roma dove, su incarico di L. Beccadelli, fu precettore del fratello minore del defanto vescovo di Fano Cosimo Gheri, Filippo; il vero motivo del viaggio era però con ogni probabilità l'incarico di guardiano della S. Casa di Loreto che G. Contarini, protettore del santuario, intendeva conferirgli. La nomina tardò tuttavia a giungere e il F. tornò a Sessa. Nell'aprile '40 era finalmente a Loreto. Il guardianato della S. Casa richiese un intervento energico per risanare la crisi in cui versava il patrimonio del santuario e correggere la rilassatezza del clero locale.
Al Contarini è dovuto anche il successivo incarico del F. che fu nominato nel 1541 dal governatore di Milano, Alfonso d'Avalos marchese del Vasto, suo consigliere spirituale. Il F. giunse a Milano in agosto. Forse sollecitato dal marchese, poco dopo scrisse una lettera a B. Ochino, che aveva esercitato per un periodo influenza sul d'Avalos e il 23 ag. 1542 era fuggito in Svizzera.
Con la morte del Contarini (24 ag. 1542) non venne meno la considerazione di cui il F. godeva in Curia: il 4 maggio fu consacrato a Bologna vescovo di Aquino. Tra il 21 e il 25 giugno fu nel seguito di Paolo III, che incontrava a Busseto l'imperatore, e almeno fino al luglio si trattenne, forse ospite del Beccadelli nella villa di Pradalbino presso Bologna. Raggiunta la sua diocesi in settembre, un anno dopo, il 25 sett. 1544 Paolo III lo incaricò della cura spirituale della Chiesa napoletana per conto del nipote Ranuccio Farnese minorenne e il 18 novembre lo investì anche della cura temporale. Alla fine del 1545 si recò a Roma per essere sollevato dall'ufficio e poter tornare alla sua diocesi, ma la rapida risoluzione di alcune questioni procedurali rese possibile in breve l'apertura del concilio che si era trascinata dalla data prevista del 15 maggio e il F., senza ritornare ad Aquino, proseguì per Trento, dove giunse il 12 dicembre.
Nel concilio fu uno dei più attivi rappresentanti del drappello dei riformatori, segnalandosi per la ferma presa di posizione contro l'abuso delle dispense, la simonia e il cumulo dei benefici (origine dell'omissione della residenza. D'altra parte il rifiuto della dottrina della doppia giustificazione proposta dal card. G. Seripando tradisce la diffidenza verso formule teologiche troppo rigide estranee alla sua visione antiscolastica del problema che poneva in primo piano l'interiorità della conversione.
Quando in marzo si votò il decreto di traslazione fu tra i contrari ma, unico tra i vescovi rimasti a Trento, si spostò a Bologna e partecipò alle due sessioni ivi tenutesi tra aprile e maggio. Durante la lunga pausa dei lavori che seguì il F. rimase a Bologna dedicandosi agli esercizi poetici. Da giugno però, su esortazione dei cardinali M. Cervini e G.M. Ciocchi Del Monte, si dedicò alla traduzione dei sermoni di s. Agostino e di altri padri della Chiesa, usufruendo della fornita biblioteca che il Beccadelli metteva a disposizione degli amici a Pradalbino.
Riprendendo un progetto iniziato negli anni del soggiorno sessano, durante il quale aveva frequentato la biblioteca di Montecassino, il F. si faceva ora interprete dell'orientamento dei settori più zelanti della riforma cattolica, sensibili alla necessità di creare un genere di esortazione in volgare diretto alla parte meno istruita del clero nonché ai laici desiderosi di formarsi un'educazione religiosa. Dopo la scorretta stampa giolitina del 1553 curata da un agente del Cervini i Vari sermoni di santo Agostino et altri catholici et antichi dottori conobbero una notevole fortuna editoriale, esercitando una cospicua influenza sull'omiletica cattolica barocca. Quando uscì la prima edizione il F. lavorava già alla Seconda parte de' sermoni di santo Agostino, Chrisostomo, Bernardo et Basilio, che apparve dopo un decennio di gestazione (Venezia, Scotto, 1564), con in calce tredici prediche del Florimonte.
Il F. lasciò Bologna per la sua diocesi il 3 sett. 1548 con notevole anticipo sullo scioglimento del concilio nel settembre 1549. Nel febbraio 1550 il nuovo papa Giulio III, con uno dei primi atti del pontificato, lo richiamò in Curia. Resta oscuro il motivo di tanta sollecitudine, da mettere forse in relazione alle promesse fatte in conclave da Giulio III di indire prontamente il concilio: nel vescovo di Aquino egli sapeva di chiamare a Roma uno dei suoi più accesi sostenitori. Il F. rimase tuttavia inoperoso fino al 13 agosto, quando fu diviso tra lui e R. Amaseo l'ufficio di segretario ai brevi del deftinto Blosio Palladio. Il soggiorno romano fu tormentato dal conflitto tra il dovere della residenza in diocesi, di cui era stato intransigente paladino nel concilio, e la vanità personale appagata dal prestigioso servizio curiale, cui si aggiungeva la speranza di ottenere restando a Roma il trasferimento al vescovato di Sessa. Nei colloqui romani di G. Della Casa col F., tra il '50 e il '52, va ricerato lo spunto del Galateo, composto nei due anni successivi.
Sarebbe stato il F. a suggerire al Della Casa di comporre uno scritto sulle buone maniere e a trasmettergli i propri appunti sull'argomento. Si tratta sicuramente di quel "libro delle inettie" più volte menzionato nell'epistolario, che doveva essere una sorta di zibaldone di massime e precetti relativi al vivere civile composti durante gli anni di vita nelle corti. La precisa testimonianza pone dunque con autorità il problema di una fonte del Galateo, destinato, in assenza di dati testuali, a restare insoluto.
Il F. rimase a Roma fino a quando, il 22 ott. 1552, ottenne la nomina a vescovo di Sessa; si stabilì subito nella sua nuova diocesi dedicandosi con fervore negli anni successivi all'amministrazione. Il 6 sett. 1556 fu richiamato a Roma da Paolo IV per partecipare alla congregazione di riforma che avrebbe dovuto sostituire il concilio. Incluso nella classe di teologi, si segnalò per l'attacco agli abusi nella riscossione delle tasse sulla bolla di nomina sacerdotale (compose, forse senza pronunciarla, un'Oratio de simonia, ed. in Conc. Trid., XIII, pp. 380 ss.).
Tornato a Sessa nel giugno 1556, quando il concilio fu finalmente indetto da Pio IV per il gennaio 1562, fu invitato a prenderne parte con breve del 19 febbr. 1561. Stanco e afflitto dagli acciacchi dell'età, ottenne la dispensa e inviò come procuratore il chierico napoletano C. Ferrante. La corrispondenza col Beccadelli, prima a Roma poi a Trento, gli consentì tuttavia di avere informazioni di prima mano sui lavori conciliari e di inviare pareri e consigli prima di spegnersi nella nativa Sessa all'inizio di maggio del 1565.
All'attività letteraria del F. vanno ascritti, oltre ai Sermoni, i Ragionamenti di m. A. Nifo all'illustrissimo principe di Salerno sopra la filosofia morale d'Aristotile (la princeps, curata da G. Ruscelli, Venezia 1554, e l'ed. Parma 1562 contengono solo il I e il IV libro; completa è l'ed. postuma, Venezia 1567) che sono in sostanza una divulgazione dei primi quattro libri dell'Etica di Aristotele.
Di altre opere abbiamo solo tracce indirette. Così è per un dialogo "de situ et de pulchritudine civitatis Suessae", in volgare, menzionato dal Chioccarelli (p. 191). Nel 1545 inviò un trattato sul libero arbitrio al card. M. Cervini e nel 1561 uno sulla giustizia inerente e imputata al Beccadelli. Della traduzione di dialoghi platonici parlano a più riprese le lettere dal 1558 al '61 tanto da far ritenere che il F. concepisse a proposito un'opera organica. Dei versi resta un modesto sonetto tra le Rime et versi in lode di Giovanna Castriota Carafa (Vico Equense 1585, p. 67).
L'epistolario del F. è disperso nelle raccolte cinquecentesche, tra le quali segnaliamo Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, II, Venetia, Aldo, 1548, pp. 59-67; Delle lettere facete et piacevoli, a cura di D. Atanagi, I, Venezia 1561, pp. 315-325; Della nuova scielta di lettere, a cura di B. Pino, Venetia 1582, I, pp. 349-358; IV, pp. 243-313. Si vedano anche: Lettere di scrittori del sec. XVI, a cura di G. Campori, Bologna 1877, pp. 148-154; V. Girella, Carteggio inedito F. Seripando, Sessa Aurunca 1923, e G. Tommasino, Un epistolario inedito del sec. XVI: G. F. e L. Beccadelli, in Bollettino aurunco, III (1937), pp. 113-137.
Fonti e Bibl.: Una lettera di P.P. Vergerio al F. è in Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, I, Venetia 1558, p. 103; G. Della Casa, Latina movimenta, Florentiae 1564, pp. 1-4; G. Fracastoro, Opera omnia, Venetiis 1574, cc. 202v-203v, 205v-206v, 209r-211r; M.A. Flaminio, Carminum libri VIII, Patavii 1727, pp. XXVI, 31, 60, 116 ss., 184, 271-276, 282-287; B. Tasso, Lettere, I, padova 1733, pp. 142 ss.; B. Capasso, Note estratte dal I e III libro delle Croniche di D. G. Fuscolillo, in Arch. stor. per le prov. napol., I(1876), pp. 621-648, passim; Concilium Tridentinum, a cura Soc. Goerresiana, Friburgi Br. 1901-1963, I, II, IV-VIII, X, XI, XIII, ad Indices; Epistolae P. A. Salmeronis Soc. Jesu, I, Matriti 1906, pp. 319 ss., 329 s., 332, 369, 589; P. Giovio, Lettere, a cura di G. Ferrero, II, Roma 1958, pp. 204 ss., 221 s.; M.A. Flaminio, Lettere, a cura di A. Pastore, Roma 1978, ad Indicem; B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate Neapolis..., Neapoli 1780, p. 191; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, I, Venezia 1717, coll. 400 s.; VI, ibid. 1720, col. 545; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel regno di Napoli, III, 2, Napoli 1752, pp. 279-288; G. Biadego, G. F. e il Galateo di mons. Della Casa, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lett. ed arti, LX (1900-1901), pp. 530-557; V. Grella, G. F. letterato del Cinquecento, Santa Maria Capua Vetere 1909; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien un die Mitte des XVI. Jahrhunderts, Paderborn 1910, ad Indicem; D. Felcini, Ricerche su G. F. detto Galateo, Iesi 1911; F. Lauchert, Die ital. liter. Gegner Luthers, Freiburg 1912, pp. 685 s.; P. Paschini, Un amico del card. Polo: A. Priuli, Roma 1921, pp. 108-113; G. Tommasino, Tra umanisti e filosofi. Una nobile figura sessana di letterato ... : Philalethes, Maddaloni 1921; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1922, pp. 54, 229, 318, 325, 423, 435, 643; H. Jedin, G. Seripando. Sein Leben und Denken..., Würzburg 1937, ad Indicem; S. D'Onofrio, Il Galateo di mons. Della Casae il libro delle inettie di G. F., Napoli 1938; A. Casadei, Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V, in Riv. stor. ital., LVIII (1941), pp. 174 ss.; H. Jedin, Geschichte des Konzils von Trient, II-IV, Freiburg 1957-75, ad Ind.; G. Alberigo, I vescovi ital. al concilio di Trento (1545-1547), Firenze 1959, ad Ind.; G. Fragnito, Gli "spirituali" e la fuga di B. Ochino, in Riv. stor. ital., LXXXIV (1972), pp. 780 s.; G. Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica… III, Monasterii 1923, pp. 127, 325, 338; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-IV, ad Ind.