MARINI, Gaetano
– Nacque a Santarcangelo di Romagna il 18 dic. 1742 da Filippo e dalla contessa Francesca Baldini. Compì i primi studi nel seminario vescovile di Rimini. Apprese le belle lettere sotto la guida del medico erudito G. Bianchi (Janus Plancus), per poi frequentare a Santarcangelo la scuola di G.P. Giovenardi. Attratto in particolare dalla filosofia, dalle lingue greca ed ebraica e dalla storia naturale, con l’aiuto del cugino F.L. Massajoli, vicario generale di Foligno e poi vescovo di Nocera Umbra, istituì un museo di reperti naturalistici. All’Università di Bologna, dove si era iscritto per studiare diritto, entrò in contatto tramite Bianchi con vari studiosi, tra cui F.A. Zaccaria e G. Garatoni. Dopo essersi laureato a Ravenna in utroque iure, nel dicembre 1764 si trasferì a Roma, dove il cardinale A. Albani lo prese a ben volere e dove conobbe, vivendo presso l’abate M. Zampini, il gesuita antiquario G.L. Oderici; a Roma ritrovò pure il compagno di seminario G.C. Amaduzzi e il camaldolese Isidoro Bianchi.
Da Oderici fu poi presentato a mons. G. Garampi, archivista della S. Sede che ne seguì i progressi negli studi e lo portò con sé in un viaggio di interesse culturale a Napoli, Pompei, Ercolano, Benevento e Montecassino. Convinto poi da Zaccaria a dedicarsi agli studi di antiquaria, il M. abbandonò definitivamente la carriera legale. Aveva al suo attivo solo una dissertazione sulle tesi di G.A. Battarra e di J.J. Scheuchzer sulle piante dell’Era diluviana quando pubblicò il suo primo vero saggio, un Discorso sopra tre candelabri acquistati dal s.p. Clemente XIV (Pisa 1771), con il quale dimostrò che i candelabri, provenienti da palazzo Barberini e dalla residenza di mons. F.S. de Zelada, acquistati dal papa e destinati alla Biblioteca apostolica Vaticana, in età antica erano stati utilizzati come turiboli.
Nel 1772 Garampi, nominato nunzio in Polonia, chiese a Clemente XIV che il M. ne prendesse il posto presso l’Archivio Vaticano. Il papa scelse invece di nominare prefetto dell’Archivio Vaticano e di quello di Castello il suo vecchio amico, l’abate Zampini, assegnandogli come coadiutori il M. e il suo omonimo Callisto Marini di Pesaro. Lavorando nel campo delle iscrizioni antiche e della cronologia, il M. pubblicò una Difesa per la serie de’ prefetti di Roma (Bologna 1772), in cui contestava le critiche di M. Guarnacci allo scolopio Odoardo Corsini, autore delle Series praefectorum Urbis pubblicate nel 1763. Ad Amaduzzi, che lo aveva criticato, rispose con una Lettera dell’anonimo difensore del p. Corsini (1773).
Sempre più in fama di erudito, mentre intratteneva una fitta corrispondenza con G. Fantuzzi e aiutava A. Zirardini nei suoi studi di papirologia, si dedicò allo studio delle iscrizioni inedite del Museo Clementino e allo schedario dell’archivio di Garampi, dal quale aveva ripreso anche l’idea di un’opera Orbis Christianus. Consultato su documenti e manoscritti, dimostrò, insieme con Callisto Marini, con un Esame critico di alcuni monumenti spettanti all’apparizione della Madonna del Buon Consiglio di Genazano, l’autenticità di un piccolo codice contenente il racconto dei miracoli di Genazzano nel 1467. Nel 1776 fu ascritto all’Accademia Fulginia e partecipò al dibattito in corso sulla poetessa Corilla Olimpica (Maria Maddalena Morelli Fernandez), coronata d’alloro nell’Arcadia, ma fatta bersaglio di clamorose contestazioni. Nel 1779, anno in cui fu ascritto alla napoletana Accademia di scienze e belle arti, le sue Osservazioni istorico-critiche sopra un’antica pergamena dell’Archivio del Capitolo di S. Martino nella diocesi di Camerino, offrirono la prova che il documento recante l’atto di fondazione del monastero di S. Michele Arcangelo infra Ostia era una copia autentica e affidabile dell’originale risalente all’XI o al XII secolo. Egli ritenne la soppressione della Compagnia di Gesù un grave danno per la Chiesa; questa e l’impreparazione dei prelati di Curia erano, a suo giudizio, la causa principale della decadenza di Roma.
Alla morte di Zampini, nel 1782, il M. fu nominato prefetto degli Archivi della S. Sede. Nello stesso anno Carlo Eugenio duca di Württemberg, su proposta del cardinale S. Borgia, lo scelse come suo residente presso Pio VI. A tale esperienza, che lo obbligava a scrivere ogni settimana un dispaccio, il M. aggiunse quella di agente della Repubblica di San Marino.
Nel campo degli studi la tappa successiva fu costituita da un’opera sugli Archiatri pontifici (I-II, Roma 1784), ampliamento e correzione delle ricerche di P. Mandosio. Vennero poi nel 1785 le Iscrizioni antiche delle ville e de’ palazzi Albani, e, l’anno dopo, una Lettera al sig. Giuseppe Antonio Guattani sopra un’ara antica, in cui discuteva con Oderici l’autenticità di una moneta attribuita ad Ariulfo duca di Spoleto. Nominato socio della Società Georgica di Montecchio, nel 1790 intrattenne l’ex gesuita V.M. Giovenazzi su un antico epitaffio ritrovato a Roma nel cimitero di S. Trasone, attribuito erroneamente a s. Felice II, su cui alimentò un intenso dibattito con l’archeologo e presidente dell’Accademia ecclesiastica A. Paoli. Tra l’altro, ebbe anche a occuparsi della riforma del breviario e del calendario ordinata da Benedetto XIV, ma rimasta incompiuta.
Sulle questioni interne alla vita della Chiesa il M. prese più volte le distanze dal giansenismo italiano, avversò il giurisdizionalismo dei sovrani europei e non approvò la prudenza di Pio VI nel condannare gli avvenimenti rivoluzionari di Francia.
I suoi interessi restavano saldamente ancorati alla cultura letteraria. Socio dal 1791 dell’Accademia etrusca di Cortona, convenne con l’amico E.Q. Visconti nel ritenere sostanzialmente negativa la produzione letteraria corrente, a esclusione dei lavori di G. Tiraboschi, dell’abate L. Lanzi e del domenicano G.B. Audiffredi. Instancabile ricercatore, nel 1795 pubblicò Gli atti e monumenti de’ fratelli Arvali, per poi occuparsi dei latercoli ritrovati tra i ruderi delle terme di Tito; sono del 1797 le note sui professori dell’Archiginnasio romano del primo Cinquecento.
Nominato archivista generale della Nazione durante la Repubblica Romana, alla quale giurò fedeltà nel maggio 1798, ottenne il permesso di trasferire l’Archivio di Castello e altri archivi ecclesiastici presso l’Archivio segreto Vaticano; altre benemerenze le guadagnò come presidente della Biblioteca, Archivio e Museo Vaticani e come membro dell’Istituto nazionale delle scienze e delle arti. Alla caduta della Repubblica ritrattò prontamente il 7 apr. 1799 il giuramento e ciò gli valse il 18 ag. 1800 il posto di primo custode della Biblioteca apostolica Vaticana. Nel 1805, a conclusione di una lunga ricerca apparvero a Roma I papiri diplomatici: un libro di alta erudizione concernente lettere pontificie, diplomi e testamenti. La tranquillità del M., tuttavia, durò poco giacché – instaurato il regime napoleonico – il 2 apr. 1808 fu espulso da Roma e costretto a rientrare nel luogo natio (Dipartimento del Rubicone). Fu comunque richiamato nel gennaio 1809 e reintegrato nelle sue cariche; due mesi dopo gli fu assegnato come coadiutore il nipote Marino Marini.
Nella sua vita sopraggiunse a questo punto una svolta. Nel 1810, infatti, il M. accettò di spostarsi a Parigi per prendersi cura degli archivi pontifici che Napoleone aveva fatto trasferire in Francia. Accompagnato dal nipote Marino e dal benedettino C. Altieri, giunse a Parigi l’11 apr. 1810. Sollecitato da lontano da Pio VII, svolse per quattro anni il suo lavoro con la competenza e lo zelo usuali; e quando l’imperatore abdicò (6 apr. 1814) e Luigi XVIII dispose che gli archivi sottratti fossero restituiti al papa (19 apr. 1814), il M. avviò, con il nipote, le opportune procedure, sospese di lì a poco per il ritorno temporaneo di Napoleone (26 febbr. 1815).
Il M. restò comunque in Francia e morì a Parigi il 17 maggio 1815.
Dopo la sua morte fu data alle stampe un’edizione della Divina Commedia, alla quale egli aveva collaborato insieme con A. Renzi e G. Muzzi (I-IV, Firenze 1817-19).
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