POLIDORI, Gaetano Fedele
POLIDORI, Gaetano Fedele. – Nacque il 5 agosto 1763 a Bientina, nel Pisano, da Agostino Ansano e da Teresa Cosci.
Come ricordato dallo stesso Polidori, la sua nascita avvenne in un contesto «di poveri né ricchi genitori» (D’Ancona, 1883, p. 148). Il padre esercitò infatti la professione di medico, non rinunciando però a un’attività letteraria contrassegnata da due lunghi poemi manoscritti in ottave; una passione condivisa dal fratello Francesco che decise di abbandonare il suo impiego nel tribunale di Pontedera per alternare al lavoro di notaio quello di letterato. Proprio i due ponderosi scritti di Agostino (Tobia e Osteologia), e un poema eroico composto dallo zio (Losario), sarebbero stati risistemati e pubblicati negli ultimi anni della sua vita da Gaetano, quale postumo tributo all’ambiente familiare nella maturazione del suo interesse per la poesia e la letteratura. Un interesse rafforzato anche dal rapporto con il fratello maggiore Luigi Eustachio che, da professore di medicina nell’Arcispedale fiorentino e di fisiologia all’Università di Pisa, manifestò una costante attrazione per le lettere e l’erudizione in linea con il profilo dell’intellettuale enciclopedico di formazione settecentesca.
Allo stesso modo Polidori, malgrado la scelta di intraprendere gli studi giuridici iscrivendosi nel 1782 all’Università di Pisa, non cessò mai di coltivare la vocazione per le lettere. Fu in virtù di tale vocazione che all’inizio del 1785 l’abate piemontese Vincenzo Maria Fassini, del quale aveva frequentato le lezioni di Sacra Scrittura, lo raccomandò a Vittorio Alfieri, appena stabilitosi a Pisa e all’urgente ricerca di un collaboratore in vista di una seconda edizione delle sue tragedie; pur non provando particolare entusiasmo per il giovane studente, il poeta astigiano decise di assumerlo come segretario affidandogli la copia delle sue lettere e di alcune opere (fra cui manoscritti delle Rime e delle Tragedie). L’incontro sancì di fatto l’abbandono da parte di Polidori della carriera universitaria e forense, per un’esistenza consacrata alla cura delle lettere. Quando Alfieri decise di ristabilirsi in Francia per l’ennesimo ricongiungimento con Luisa Stolberg, l’amata contessa d’Albany, Polidori lo raggiunse in settembre presso il castello di Martinsburg, vicino a Colmar, e rimase al suo fianco per quattro anni trascorsi fra l’Alsazia e Parigi. Il rapporto non sempre facile con il poeta e con i suoi eccessi caratteriali, rievocato anni dopo in un gustoso libretto di memorie (La Magion del Terrore, in Metrici componimenti, Londra 1843), si prolungò fino all’estate del 1789. A Parigi, nei giorni caldissimi della presa della Bastiglia, i due decisero infatti di separarsi dopo un vivace scambio di lettere in cui Alfieri invitava il suo segretario a cambiare atteggiamento o a lasciare il suo impiego. Tale intimazione trovò immediata risposta in un’epistola ironica e impertinente in versi martelliani che faceva trapelare il desiderio da parte di Polidori di un’autonoma carriera libera dalla soffocante presenza dell’illustre superiore.
Trasferitosi presso i vecchi amici pisani Leopoldo e Andrea Vaccà Berlinghieri, all’epoca studenti a Parigi, Polidori, a conferma di un coinvolgimento nell’atmosfera rivoluzionaria non del tutto collimante con gli entusiasmi alfieriani del momento, manifestò l’intenzione di abbandonare la Francia e di trasferirsi a Londra per «istruire la gioventù nella lingua e letteratura italiana» (La Magion..., cit., p. 29). Ottenute in settembre dal suo ex datore di lavoro e dalla contessa d’Albany alcune lettere di presentazione per l’Inghilterra, riuscì a integrarsi nella nuova realtà e – grazie ai destinatari delle raccomandazioni, fra i quali il patriota corso Pasquale Paoli che fraternizzò con Polidori ricevendone in cambio una biografia rimasta inconclusa – a esercitare l’auspicata professione di insegnante privato di italiano. L’intenso tirocinio da segretario non restò comunque privo di conseguenze, come mostrarono i forti accenti alfieriani della sua prima tragedia, pubblicata a Londra nel 1790 con il titolo Isabella dietro assunzione delle spese editoriali.
Contenente passaggi talora ai limiti del plagio (e identica nell’argomento al Filippo) fu concepita in gran parte durante il soggiorno presso il conte piemontese, che un anno più tardi, di passaggio da Londra, gli promise un giudizio per iscritto su quella sua prima fatica; se tale commento non fu mai inviato, al ritorno di Alfieri in Francia fu però contattato dal maggiordomo dell’Albany con la proposta di riassumere le sue mansioni amanuensi. Declinando l’invito ricevuto, Polidori motivò la scelta con la volontà di non «tornare tra i cannibali che allora imperversavano in Francia, e specialmente a Parigi» (p. 32) per godere pienamente della superiorità delle istituzioni britanniche. Una valutazione che echeggiava pure nella sola composizione dichiaratamente politica della sua vasta produzione letteraria, il sonetto Ode ai patriotti spagnuoli per la cacciata di Giuseppe Bonaparte nel 1812 in cui sembrava voler aderire ai sentimenti antinapoleonici dell’opinione pubblica d’Oltremanica.
Il suo inserimento nella società inglese era del resto effettivamente proseguito con il matrimonio celebrato a Londra nel febbraio del 1793 con l’anglicana Ann Mary Pierce, istitutrice privata presso altolocate famiglie e figlia di un maestro di scrittura che aveva fatto discreta fortuna con il suo lavoro. Le esigenze di una famiglia sempre più numerosa, con la nascita di quattro figli e di quattro figlie, consigliarono a Polidori l’acquisto di una grande casa di campagna a Holmer Green, nel Buckinghamshire.
Fra i figli qualche notorietà ebbe John William (1795-1821) – medico personale e poi segretario di George G. Byron –, morto suicida e autore nel 1819 di uno dei primi romanzi gotici, The vampire, capostipite di un personaggio che avrebbe fatto molta strada, e la terza figlia Frances Mary Lavinia (1800-1886) che sposò nel 1826 il letterato ed esule abruzzese Gabriele Rossetti, al quale Polidori aveva aperto la sua ricca biblioteca per la continuazione dei suoi studi danteschi; un’unione quantomai felice che vide la nascita in pochi anni di quattro figli protagonisti della vicenda culturale britannica, fra i quali avrebbero spiccato il pittore e artista Dante Gabriel e la poetessa Christina.
Pur trascorrendo lunghi periodi con la famiglia a Holmer Green, Polidori aveva conservato un piccolo appartamento in affitto a Londra, per quell’attività in cui si era guadagnato ormai la fama di «più apprezzato maestro d’italiano in Inghilterra» (Giannantonio, 1959, p. 36). Un’occupazione destinata a riflettersi sulla sua produzione, tanto che la qualche notorietà di letterato di Polidori fu dovuta allora alla pubblicazione di opere di sussidio alla professione come dizionari, grammatiche e soprattutto antologie e raccolte pensate quali testi d’esercizio alla lettura della lingua italiana per stranieri, fra cui le Novelle morali giunte nel 1823 alla quinta edizione.
Assai più modesta fu invece la circolazione dei suoi lavori letterari slegati dall’impegno didattico, e spesso autopromossi, a pubblicare i quali si dedicò soprattutto nella parte finale della sua vita, grazie a un’eredità ricevuta da un amico che, unita alla rendita lasciata alla moglie dal suocero, gli consentirono nel 1835 di abbandonare l’insegnamento per ritirarsi nella sua dimora di campagna. Nel 1839 tuttavia l’intera famiglia Polidori, per avvicinarsi ai nipoti e alla figlia Frances Mary e rafforzare i legami già stretti con i Rossetti, decise di far ritorno a Londra in una casa acquistata presso Regent’s Park.
Qui Polidori si dedicò direttamente all’arte tipografica prendendo a editare, con torchio di stampa e tipi propri conservati nella nuova abitazione, anzitutto volumi delle sue opere, concepite non di rado in anni passati; oltre a numerose traduzioni dal latino e dall’inglese (fra cui le opere di John Milton), poemetti, tragedie e drammi furono i generi più frequentati da Polidori che non mancò di confrontarsi persino con il genere del secolo, attraverso i romanzi Lorenzo (Londra 1817) e l’inedito Geltrude.
Riconosciuto fra le mura di casa come una carismatica figura, una sorta di capo del clan familiare anglo-italiano dei Polidori-Rossetti, era venerato dai nipoti Dante Gabriel e Christina, dei quali avrebbe sostenuto le prime prove letterarie stampandone i lavori poetici giovanili, e costantemente consultato da Gabriele. Il suo confronto con il genero e la sua opera, per quanto assiduo, si risolse in erudite discussioni su questioni di forma, e soprattutto di lingua, ma non investì gli esiti più profondi del neoclassicismo di Gabriele, non eccelso né avanzato nello stile, ma impregnato di umori antipapali e anticattolici confluiti in esperienze radicali come lo scomunicato periodico Eco di Savonarola. Sul piano religioso Polidori non assunse infatti mai posizioni sospette all’ortodossia, e fu sempre un «Roman Catholic» incline a un certo «conservatism» (Rossetti, 1906, I, p. 118), tanto che sulla base di un accordo stretto prima del matrimonio i maschi furono cresciuti nei principi del cattolicesimo e le figlie come protestanti della Chiesa d’Inghilterra.
Tale osservanza per la fede delle origini più che da uno spiccato ultramontanismo, ovvero dall’adesione alla religiosità intransigente perfezionatasi nel primo Ottocento, sembrava derivare peraltro, come in tanto di quel classicismo arcadico di antico regime in cui lui stesso si era formato, dal continuare a identificare nella Roma papale il mito eterno della vocazione universalistica dell’Urbe quale ‘capitale’ del sapere e simbolo del primato culturale italico. La sua visione aristocratica della letteratura, ben lontana in ogni caso dalla complessità psicologica dei personaggi della tragedia alfieriana e dai suoi esiti protoromantici, appariva inevitabilmente ostile, nonostante la rete delle sue parentele e le fequentazioni con esuli italiani, tra cui anche un fugace contatto con Giuseppe Mazzini, ad accogliere le inquietudini contemporanee. Ancorata al Settecento e a una letteratura intesa come pura erudizione (tanto che in pieno XIX secolo ottenne di essere fatto arcade con il nome di Fileremo Etrusco), essa restava estranea a quella letteratura utile e civile propria dell’Ottocento romantico; un distacco di cui, nell’introdurre il citato Losario (Firenze 1851), suonavano significative certe tirate polemiche contro la «sventura» di «tempi, ne’ quali […] la mente umana non ad altro quasi è rivolta che a gazzette, giornali, dispute polemiche e politiche» e, diversamente dagli anni in cui l’ammirato zio Francesco aveva steso il suo poema, «le Muse, i poeti ed i loro seguaci amanti della pace e della tranquillità, sembrano simili a coloro che in tempeste di mare stanno sotto la prora aspettando che lo sconvolgimento delle onde e la bufera cessino d’imperversare» (p. VI).
Morì a Londra all’età di novant’anni, il 16 dicembre 1853.
Opere. Un elenco quasi completo degli scritti, da lui ristampati nei volumi antologici Tragedie e drammi (Londra 1842) e Metrici componimenti (Londra 1843), si trova alla fine delle sue Note alla Magion del Terrore. Si segnalano, inoltre, le seguenti edizioni recenti: Opere scelte, a cura di E.G. Carlotti, Pisa 1991; La Magion del Terrore, a cura di R. Fedi, Palermo 1997.
Fonti e Bibl.: Numerose lettere di e a Polidori sono conservate nel fondo Helen Rossetti Angeli-Imogene Dennis della Special Collections Division della University of British Columbia Library. Inoltre: A. D’Ancona, Varietà storiche e letterarie, Milano 1883, pp. 147-183; Dante Gabriel Rossetti, his family-letters. With a memoir by William Michael Rossetti, I-II, London 1895, ad ind.; W.M. Rossetti, Some Reminiscences, I-II, New York 1906, ad ind.; The diary of Dr. John William Polidori 1816, a cura di W.M. Rossetti, London 1911, ad ind.; V. Alfieri, Epistolario, a cura di L. Caretti, I, Asti 1963, ad ind., II, Asti 1981, pp. 9-13; G. Rossetti, Carteggi, a cura di T.R. Toscano et al., I-VI, Napoli 1984-2006, ad indicem.
R.D. Waller, The Rossetti family, 1824-54, Manchester 1932, ad ind.; P. Giannantonio, Bibliografia di Gabriele Rossetti (1806-1958), Firenze 1959, ad ind.; D.L. MacDonald, Poor P. A critical biography of the autor of The Vampire, Toronto 1991, ad ind.; A. McConnel Stott, The poet and the vampire. The curse of Byron and the birth of literature’s greatest monsters, New York 2014, ad indicem.