DE CASTILLIA, Gaetano
Nacque a Milano il 28 ott. 1794 da Giorgio, titolare d'un affermato studio notarile, e da Erminia Alciati, quarto di cinque fratelli. Dopo i primi studi nel collegio di Vimercate (1803-11) passò nel milanese liceo di S. Alessandra (1812) per quindi iscriversi all'università di Pavia dove si addottorò in legge nel 1815.
Cominciò poi a far pratica professionale dividendosi fra lo studio d'un avvocato e la collaborazione alla gestione degli affari patemi, il che lo mise in contatto con le ggure più rappresentative dell'aristocrazia lombarda, gente come i Trotti, gli Arconati, gli Arrivabene, tutti insoddisfatti della restaurata dominazione austriaca e inclini a esprimere la propria ribellione col sistema delle cospirazioni di stampo carbonaro. Agli inizi del 1821, anno in cui si sarebbe giocata la carta della solidarietà tra il malcontento dei Lombardi, le aspirazioni costituzionali dei liberali piemontesi e le confuse quanto ambigue ambizioni di Carlo Alberto, il D. fu da uno di questi nobili, Giorgio Pallavicino Trivulzio, aggregato alla setta dei federati i cui capi (G. Pecchio e F. Confalonieri) vedevano nelle ridestate ambizioni della monarchia sabauda il naturale supporto per le loro speranze.
Quando la crisi rivoluzionaria giunse al culmine e Carlo Alberto dovette concedere la costituzione sul modello spagnolo, il Confalonieri incaricò il Pallavicino - e questi a sua volta convinse il D. - di recarsi a Novara e di lì a Torino come latore d'una lettera in cui si chiedeva al principe di Carignano l'intervento armato dell'esercito piemontese. Dall'incontro con Carlo Alberto, che li ricevette il 17 marzo 1821, gli inviati lombardi ricavarono però la certezza che non si poteva contare su un impegno del reggente, e ciò nel momento in cui la congiura dei Milanesi era in fase avanzata ed era già pronto l'organigramma di un futuro governo provvisorio che prevedeva, tra l'altro, il conferimento al D. del grado di capitano della guardia nazionale. Più tardi, in sede di processo, si sarebbe accertato che il D. era stato coinvolto anche nella preparazione di un attentato al feldinaresciallo, Bubna, comandante della guarnigione austriaca.
Messa sull'avviso dalla delazione d'un fratello del D., Carlo, la polizia prese ad indagare sull'attività dei federati, ma solo il 2 dic. 1821, dopo una perquisizione in casa del D. che aveva portato al ritrovamento di corrispondenza sospetta, si giunse al suo arresto, seguito il giorno dopo da quello del Pallavicino, presentatosi spontaneamente con l'intenzione di sollevare l'amico da ogni accusa in merito al viaggio a Torino.
qFurono proprio le prime incaute ammissioni del Pallavicino, confortate con qualche esitazione dal D., e poi le torrenziali rivelazioni dei due, a fornire alla Commissione speciale d'indagine i primi elementi concreti sui quali fu in seguito costruito, ad opera soprattutto del Salvotti, tutto il processo Confalonieri. Il D. in particolare subì tredici interrogatori ma fu solo nel ix costituto (7 marzo 1822) che, "persuaso, che il primo dovere di chi ha offeso, è quello di procurare di rimediare all'offesa" (D'Ancona, p. 259), Si decise a confessare facendo il possibile per evitare le denunzie personali ma illuminando con abbondanza di dettagli la natura della cospirazione dei federati, il ruolo dei singoli elementi, i contatti intercorsi tra il Confalonieri e i Piemontesi e quelli tra lui ed alcuni agenti della Spagna in rivolta: "ce malheureux jeune homme - diceva perciò di lui il governatore Strassoldo al Mettemich - répond avec verité et franchise sur touts les faits A sa charge, mais avec beaucoup de repugnance quand il s'agit d'inculper d'autres personnes..." (18 marzo 1822, p. 230).
Rinviato a giudizio per alto tradimento, il D. al pari di altri imputati ottenne per questa sua collaborazione con la giustizia la commutazione della pena di morte inflittagli dalla Commissione speciale di prima e seconda istanza (poi confermata dal Senato lombardo-veneto) in venti anni di carcere duro da scontarsi allo Spielberg.
qIl 29 febbr. 1824, dopo un lungo viaggio reso più penoso dalle cattive condizioni di salute, il D. varcò con gli altri compagni di pena le porte dello Spielberg: vi rimase undici anni, sempre sorretto da un senso di fiducia nell'avvenire, da una tale carica di "sicurezza e gioja", come ebbe a ricordare più tardi l'Andryane (Memorie..., II, p. 101), da dare sollievo anche agli altri detenuti, e ciò ad onta dell'esito negativo delle numerose suppliche sue e dei parenti.
Solo dopo la morte dell'imperatore Francesco e l'ascesa al trono di Ferdinando I i condannati ottennero, con una risoluzione sovrana del 4 marzo 1835, di commutare la pena che restava da scontare in deportazione negli Stati Uniti e la rinunzia alla cittadinanza austriaca. Nel dicembre 1835, due mesi prima di lasciare il carcere, il D. apprese che il padre, morendo due anni prima, lo aveva diseredato: fu allora aiutato dai fratelli, mentre d'altra parte il Pallavicino, nel momento in cui accettava la grazia, dichiarò che avrebbe provveduto al suo "mantenimento decoroso" in America (Sandonà, p. 343). Ciò non toglie, però, che dopo l'arrivo a New York (17 ott. 1836) e le buone accoglienze che vennero riservate, a lui come agli altri, dalla società liberale americana - in particolare dalla famiglia della scrittrice C. M. Sedgwick che lo ospitò più di una volta nella sua casa di Stockbridge - il D. fosse costretto a fare appello alla sola risorsa degli esuli, le lezioni d'italiano. La speranza di ottenere un provvedimento di clemenza tale da consentirgli il ritorno in patria fece poi sì che il 1° nov. 1838 il D. si imbarcasse per la Francia: dovette aspettare altri due anni e trascorrere il tempo tra un viaggio nel Sud della Francia col Confalonieri e un altro in Inghilterra (fu allora che conobbe il Mazzini il quale, pur nella divergenza di vedute sul problema italiano, ne apprezzò l'aspirazione ad una superiore moralità dello spirito) prima di essere ammesso a fruire dell'amnistia generale decretata nel settembre del 1838 e di poter quindi rivedere (ottobre 1840) la terra natale. Una sua istanza per l'autorizzazione all'esercizio del notariato fu respinta, il che mantenne precario lo stato delle sue finanze.
Dopo di allora il D. portò con dignità la sua condizione di reduce dallo Spielberg riuscendo bene accetto a chiunque avesse occasione di avvicinarlo per la serenità con cui riandava ai suoi trascorsi e per la capacità di tenersi lontano "da ogni vanità anco naturale e scusabile", come osservò una volta A. Poerio (Carraresi, II, p. 140). Tagliato fuori più che altro psicologicamente da un movimento patriottico che si era rinnovato, e portato, come quasi tutti coloro che avevano fatto la sua stessa esperienza, a privilegiare nella soluzione della questione nazionale l'aspetto del superamento non traumatico del contrasto tra la coscienza del cittadino e quella del credente, il D. aveva anche tratto, dal breve ma intenso contatto con la cultura anglosassone, la fede nella possibilità e nella necessità di un rinnovamento della Chiesa, di una separazione del potere spirituale da quello temporale e di un suo riavvicinamento alla società civile (esemplare, sotto questo profilo, una sua lettera del 14 febbr. 1845 in cui contesta il concetto della supremazia assoluta del pontefice).
Di tali idee, proprie dei vescovi nordamericanì, il D. cercò di farsi divulgatore collaborando negli anni '50 a giornali torinesi quali la Gazzetta piemontese e il Risorgimento; queste idee propugnò nella cerchia di amicizie in cui visse l'ultimo trentennio della sua vita, alternando la compagnia degli Arconati, nella cui villa di Cassolo ebbe frequentissimi incontri col Manzoni, a quella del Capponi, che lo ospitò ripetutamente nella sua residenza di campagna e gli fece conoscere esponenti della vita intellettuale toscana quali G. Giusti, G. B. Giorgini, R. Lambruschini e M. Tabarrini.
All'indomani dell'Unità il D. fu nominato senatore (24 maggio 1863), ma, afflitto da una sordità quasi totale, dovette poco alla volta rinunciare ad una presenza assidua ai lavori parlamentari. Intanto, di fronte alla politica antiecclesiastica inaugurata dal nuovo Regno, la sua prospettiva si era mutata, e nell'opuscolo Libera Chiesa in libero Stato. Pensieri (Milano 1865), l'ipotesi della separazione dei due poteri era da lui accantonata a favore di quella della conciliazione.
Nell'invocare da parte dello Stato un atteggiamento meno persecutorio verso la Chiesa, il D., partendo dal presupposto - in verità non molto motivato ad un anno dal Sillabo - di un cattolicesimo non incompatibile col mondo moderno, teorizzava la missione sociale di una Chiesa ricondotta al cristianesimo delle origini e ancorata al "grandi principj dell'ottantanove... suoi per diritto di priorità, e per averli asseriti colla predicazione, e conquistati col sangue" (p. 16); ne conseguiva non il distacco della Chiesa dalla civiltà, non una rigida suddivisione delle sfere di competenza, ma una compenetrazione dei compiti che aveva come fine l'educazione dell'individuo e la riaffermazione dell'inscindibilità del momento etico da quello religioso.
Alla sua morte, avvenuta a Vimercate il 12 maggio 1870. il D. fu ricordato dal Capponi con un affettuoso necrologio sull'Opinione.
Carlo, fratello di Gaetano, nato a Milano nel 1783, era stato durante il Regno italico prima procuratore del tribunale di Vigevano, quindi sostituto segretario della milanese Direzione generale di polizia. Al loro ritorno in Lombardia, gli Austriaci lo avevano declassato al ruolo di addetto provvisorio (o consigliere) presso il tribunale civile. Ben introdotto negli ambienti letterari, aveva avuto una certa intimità con V. Monti (G. Gallavresi, Nota biografica intorno a V. Monti, in Giorn. st. della lett. it., [XXV], 1907, pp. 367-373) e più ancora con Manzoni, che lo chiamava "Carlino" e gli affidava manoscritti dei suoi lavori (A. Manzoni, Tutte le opere, VII/1: Lettere, a c. di C. Arieti, Milano 1970, pp. 129, 197, 210). La qualifica di delatore datagli nel 1821 e confermata. dalla storiografia pesò a lungo su di lui ma fu in parte temperata dalla detenzione che dovette subire fino al proscioglimento "per difetto di prove legali" e dal buon ricordo che, stranamente, molti dei condannati conservarono di lui.
Fonti e Bibl.: Lettere inedite del D. sono, conservate a Roma nell'arch. del Museo centr. del Risorgimento (importanti quelle al Massari, b. 383-144 e 63, e 811/3/1-4), a Firenze presso la Bibl. nazionale (167 lettere al Capponi per gli anni 1844-70, 3 al Bicchierai, 37 al Carraresi, 6 al Vieusseux) e a Milano presso la Bibl. naz. Braidense (cfr. l'Indice dei corrispondenti del Carteggio manzoniano, a cura di M. L. Lombardi, Milano 1975, p. 51). Lettere sue o a lui dirette si leggono in G. Giusti, Epist. ed. e ined., a cura di F. Martini, Firenze 1904, I, pp. 519 s., 547, 552 s.; II, pp. 17, 205, 320, 490; Il Risorg. it. in un carteggio di patrioti lombardi 1821-1860,a cura di A. Malvezzi, Milano 1924, pp. 30, 34, 174 s., 192, 264 s., 272, 279, 296, 316 ss., 368 s., 388 s., 394 s.; A. Manzoni, Lettere, a cura di C. Arieti, II-III, Milano 1970, ad Indicem. Notizie sulla vita del D. dopo la scarcerazione sono i in M. E. Dewey, Life and Letters of Catharine M. Sedgwick, New York 1871, pp. 237 s., 274; G. Capponi, Necrologio di G. D., in Scritti ed. e ined., a cura di M. Tabarrini, Firenze 1877, I, pp. 497 s.; Lettere di G. Capponi e di altri a lui, I-VI, a cura di A. Carraresi, Firenze 1882-1890, ad Indices; Carteggio del conte F. Confalonieri, a cura di G. Gallavresi, II, 2, Milano 1913, ad Indicem; Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, ad Indices; M. Provana di Collegno, Diario polit. 1852-56, a cura di A. Malvezzi, Milano 1926, ad Indicem; E. Detti, M. Fuller Ossoli e i suoi corrispondenti, Firenze 1952, ad Indicem; G. Berchet, Lettere alla marchesa C. Arconati, a cura di R. Van Nuffel, Roma 1956-62, ad Indicem; G. Capponi, Scritti inediti, a cura di G. Macchia, Firenze 1957, ad Indicem; A. H. Lograsso, P. Maroncelli, Roma 1958, ad Indicem. Molto ricche le fonti sulla cospirazione del 1821 e sul relativo processo: i 13 costituti del D. sono conservati in Arch. di Stato di Milano, Processi carbonari, cartella I (parte del ix costituto è in A. D'Ancona, F. Confalonieri, Milano 1898, pp. 259-269). Materiale documentario ufficiale "proveniente dalle deposizioni di altri processati" testimonianze mernorialisfiche in: A. Andryane, Memorie d'un prigioniero di Stato nello Spielberg.... Milano 1861, II, pp. 97-109, 134-148, 152 s., 160-163, 223, 250, 266, 273-278; III, pp. 21 s., 87, 273; IV, pp. 128, 143, 341 s.; C. Cantù, Il Conciliatore e i Carbonari, Milano 1878, pp. 155, 192; A. Luzio, A. Salvotti e i processi del '21, Roma 1901, pp. 75, 149, 172; Id., Nuovi docc. sul processo Confalonieri, Roma 1908, pp. 43, 65, 151-154, 168 s., 184-190, 197-200; L. Gasparini, L'angelo del castello di Eggenberg. Antonietta Fabri, in Rivista d'Italia, XXXI (1928), p. 564-587; R. U. Montini, Iprocessi spielberghiani, Roma 1937, pp. 89-95; A. Zaniboni, I fogli matricolari dello Spielberg, Roma 1937, pp. 184 s.; I costituti di F. Confalonieri, a c. di F. Salata-A. Giussani, Bologna-Roma 1940-1956, ad Ind.; Processi polit. del Lombardo-Veneto 1815-1851, a cura di A. Grandi, Roma. 1976, ad Indicem. Per la polemica storiografica sul ruolo dei singoli cospiratori cfr.: A. D'Ancona, F. Confalonieri cit., pp. 77-81, 92-95, 100, 129, 150, 228-239, 244, 257, 273, 275, 278 s., 282 s., 293 ss., 325, 384-388, 406 ss., 422, 434 s., 455 s.; A. Sandona, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg..., Torino 1911, ad Indicem;L. Fiori, Il marchese G. Trivulzio-Pallavicino, in Rass. stor. d. Risorg., XIII (1926), pp. 540-60, 566; R. U. Montini, op. Cit., pp. 52-57, 70, 81; G. Stefani, Iprigionieri dello Spielberg sulla via dell'esilio, Udine 1963, ad Indicem. Poche e lacunose le biografie del D.: le più informate in A. Vannucci, I martiri della libertà it. dal 1794 al 1848, Milano 1877-80, ad Indicem; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e naz., Roma 1896, ad nomen; R. Barbiera, Un dimenticato dello Spielberg (G. D.), in Immortali e dimenticati, Milano 1901, pp. 117-27; Encicl. Italiana, sub vocem; Il Risorg. ital., F. De Ercole, I martiri, sub vocem. Per la partecipazione ai lavori del Senato cfr.: Attiparl., Senato, Discussioni, VIII legislatura, sess. 1863-64, I, p. 8; IV, p. 2959.La commemorazione del D. per bocca di G. Casati, ibid., X legislatura, sess. 1869-70, p. 635