RASPONI SPALLETTI, Gabriella
RASPONI SPALLETTI, Gabriella. – Nacque a Ravenna il 10 aprile 1853, primogenita del conte Cesare Rasponi Bonanzi e di Letizia Rasponi.
Cesare (1822-1886) fu deputato nel 1874 e dal 1884 senatore del Regno d’Italia; Letizia (1832-1906), figlia di Giulio Rasponi e di Luisa Murat, era nipote di Gioacchino Murat. Gabriella ebbe due fratelli: Luciano (1855-1931) e Carlo (1858-1920) che, come il padre, fu deputato e poi senatore.
Discendente da una prestigiosa famiglia aristocratica di liberali moderati, Gabriella venne educata da insegnanti privati, salvo un breve soggiorno all’età di dodici anni presso un convento dove si ammalò. Ricevette un’educazione libera da frivolezze, ispirata alla riflessione religiosa e a sentimenti di pietà verso i bisognosi. Dotata di forte volontà, per il carattere poco disposto a subire imposizioni definì se stessa una ribelle.
Nel 1870 sposò il conte Venceslao Spalletti Trivelli (1837-1899), nato a Reggio Emilia, città in cui la coppia si stabilì. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Maria, Carolina e Rosalia delle quali sopravvisse solo Carolina (1873-1940) e, dopo diversi anni, Giambattista (1890-1967) e Cesare (1892-1966).
Nel 1874 Venceslao Spalletti, proprietario terriero e notabile locale, fu eletto deputato nelle file della Destra e con la famiglia si trasferì a Roma. Rieletto nelle successive tre legislature, nel 1884 venne nominato senatore del Regno. Con il suo coevo ingresso nel comitato centrale della Croce rossa italiana, Gabriella divenne membro dell’Unione delle dame, la sezione che aveva il compito di preparare materiale sanitario, raccogliere fondi e nuove iscrizioni.
Nei loro possedimenti i coniugi diedero vita ad attività benefiche e nel 1897, nella tenuta toscana di Quarrata, Rasponi Spalletti aprì una scuola di ricamo. Il progetto di rinascita artigianale ebbe lo scopo di limitare la catena degli intermediari e di coinvolgere le donne bisognose di guadagnare. L’iniziativa incontrò l’interesse di acquirenti stranieri e nel tempo prosperò assumendo la forma di cooperativa con centinaia di ricamatrici.
A Roma, il rinomato salotto di villa Spalletti Trivelli, situata di fronte al palazzo del Quirinale, ospitò scrittori, filosofi, giornalisti, politici come Marco Minghetti e Ruggero Bonghi. Tra le frequentatrici vi furono esponenti dell’intellettualità e della filantropia femminile con le quali Rasponi Spalletti fondò il patronato regina Elena per gli orfani del terremoto di Messina, l’opera pia regina Margherita per le ragazze di Trastevere, l’Aiuto materno per le madri bisognose e il Lyceum per incoraggiare il lavoro intellettuale tra le donne.
Rasponi Spalletti fu vicina all’Unione per il bene, dove confluirono sacerdoti ‘estravaganti’, politici, intellettuali, scrittrici ed educatrici. Il gruppo fece dell’interconfessionalità un punto di forza della propria elaborazione tenendo insieme cultura evangelica e sensibilità moderniste, filosofie orientali e teosofia. Tra le animatrici figuravano Dora Melegari, Antonietta Giacomelli e Giuseppina Lemaire, rappresentanti di un mondo interessato alla questione sociale, a un diverso rapporto con i ceti subalterni e tra gli uomini e le donne.
Da questo contesto, dove si incrociavano cultura femminile e femminista e progetti di rigenerazione sociale, nacque l’idea di riunire le attività pratiche, intellettuali ed educative delle donne. La decisione di dar vita alla Federazione romana delle opere femminili coincise con la scomparsa del marito, avvenuta nel 1899. Ciononostante, Spalletti Rasponi proseguì nella sua attività e nel 1903, con l’ascesa alla presidenza del Consiglio nazionale delle donne italiane (CNDI), si inaugurò per lei un’intensa stagione.
Il CNDI, il cui motto era «fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi», aveva lo scopo di migliorare la condizione delle italiane e agire da gruppo di pressione sugli esponenti politici. Federato all’International council of women fondato a Washington nel 1888, fu dichiaratamente apolitico, ma la rilevante presenza di aristocratiche ne influenzò l’orientamento. Oltre alle amiche dell’Unione per il bene, confluirono nel Consiglio scrittrici, pedagogiste, suffragiste tra cui Lavinia Taverna, Maria Pasolini Ponti, Sofia Bisi Albini, Giacinta Martini Marescotti, Maria Grassi Koenen, Virginia Nathan, Angelica Devito Tommasi, Maria Montessori e Alice Schiavoni Bosio.
Il Consiglio si organizzò in sezioni di lavoro e in federazioni locali, di cui quella lombarda e piemontese sorsero rispettivamente nel 1903 e 1904. Aderirono subito una cinquantina di circoli, laboratori, scuole per le donne del popolo e sodalizi per l’assistenza alle operaie. Nel programma furono comprese rivendicazioni come la parità giuridica e il suffragio femminile, benché Rasponi Spalletti avesse dichiarato opportuno partire dal voto amministrativo e solo successivamente esercitare quello politico.
A Roma, nell’aprile del 1908, il CNDI inaugurò il suo primo congresso alla presenza della regina Elena, della principessa Laetitia, del ministro della Pubblica Istruzione Luigi Rava e del sindaco Ernesto Nathan. L’evento, che raccolse più di mille adesioni, aspirava a celebrare l’unità del movimento, ma la richiesta di abolire l’insegnamento religioso nelle scuole segnò un’irreparabile spaccatura nel femminismo italiano. La proposta presentata dalla socialista Linda Malnati e approvata dalla maggioranza delle votanti, Rasponi Spalletti compresa, portò all’uscita delle componenti cattoliche che nel 1909 diedero vita all’Unione fra le donne cattoliche d’Italia.
Altri momenti di rottura si ebbero in occasione della guerra contro la Turchia, quando la presidente del Consiglio organizzò una sottoscrizione in favore dei soldati e delle loro famiglie sostenendo la conquista della Libia, e allo scoppio del primo conflitto europeo. Pur non essendo apertamente interventista, la nobildonna invitò le socie a tenersi pronte per un’eventuale mobilitazione e sostenne lo sforzo bellico per tutta la durata delle operazioni.
Nel 1916, uno dei figli fu gravemente ferito e alla naturale preoccupazione si aggiunse quella per alcuni suoi problemi cardiaci. Ciononostante, dopo Caporetto, sostenne la nascita del fascio nazionale femminile per incitare il Paese alla resistenza, una decisione che compromise ulteriormente la dichiarata apoliticità del CNDI aprendo la strada a esponenti di orientamento nazionalista, come Teresa Labriola.
Dopo l’armistizio, Rasponi Spalletti faticò non poco a rinvigorire la rete associativa per l’arrivo di giovani socie appartenenti alla generazione distante dal femminismo di età giolittiana, per l’affermazione dei partiti di massa che scompaginarono il sistema di relazioni che il Consiglio aveva costruito con la classe dirigente liberale, per la poca simpatia che il Partito socialista e il Partito popolare mostrarono verso la federazione e la sua presidente. Insieme alle socie e alle militanti del movimento la nobildonna poté però celebrare una vittoria, grazie alla legge n. 1176 del 17 luglio 1919 sulla capacità giuridica delle donne, ma non quella sul voto che, nonostante le promesse, non si concretizzò.
Con l’ascesa di Benito Mussolini, la presidente manifestò un prudente avvicinamento al fascismo. Nel 1923 il Consiglio organizzò il suo terzo congresso sul tema dell’educazione in famiglia. In conformità con il nuovo contesto politico, si parlò della necessità di formare i giovani in una famiglia italiana impegnata a lavorare per la ‘grandezza della nazione’. Nel novembre del 1925, Rasponi Spalletti partecipò al Te Deum voluto da Elisa Majer Rizzioli, ispettrice generale dei fasci femminili, per lo scampato attentato al capo del governo.
Stanca, ammalata, in là con gli anni, vide il CNDI con sempre più ridotti margini di autonomia e svuotato di significato. La federazione continuò a vivacchiare e quando ella morì, ne fu posta alla guida Daisy di Robilant, più gradita al regime.
Donna di potere e di azione, accusata di dirigere il Consiglio con metodi dittatoriali, di Rasponi Spalletti restano i discorsi ufficiali e le relazioni alle assemblee riportate negli atti dei congressi e in Attività femminile sociale, il bollettino della federazione edito a Roma dal 1913 al 1931.
Nell’aprile del 1931, in seguito a un peggioramento della sua salute, ebbe la visita di don Orione con il quale aveva cooperato ai tempi del terremoto del 1908. Pur tanto diversi, dall’incontro nacque un rapporto duraturo basato sulla reciproca stima e fiducia e fu don Orione a impartirle i conforti religiosi.
Morì a Roma il 29 settembre 1931.
Fonti e Bibl.: L’archivio del Consiglio nazionale delle donne italiane: inventario, a cura di E. Ginanneschi - L. Montevecchi - F. Taricone, Roma 2000, ad ind.; necr., T.S. [Teresa Sandeschi], Nobili figure che scompaiono. G. S. R., in La Tribuna, 4 ottobre 1931; G. S. R., in Almanacco della donna italiana, XIII (1932), p. 339.
Croce rossa italiana, Bollettino dell’Associazione per il soccorso ai malati e feriti di guerra, 1887, vol. 4, p. 17; Federazione romana delle opere femminili, Operosità femminile italiana, Roma 1902, p. 3; Cronaca dei fasci femminili. Il Duce è salvo! Viva l’Italia, in Rassegna femminile italiana, 15 novembre 1925, pp. 17 s.; U. Foschi, La contessa G. S. R., pioniera del femminismo italiano, in Studi romagnoli, XLIV (1993), pp. 391-409; R. Fossati, Élites femminili e nuovi modelli religiosi nell’Italia tra Otto e Novecento, Urbino 1997, ad ind.; A. Lanza, Don Orione e la contessa S., in Messaggi di Don Orione, C (2000), 1, pp. 51-57; C. Gori, Crisalidi. Emancipazioniste liberali in età giolittiana, Milano 2003, ad ind.; F. Taricone, Teoria e prassi dell’associazionismo italiano nel XIX e XX secolo, Cassino 2003, ad ind.; C. Frattini, Il primo congresso delle donne italiane, Roma 1908. Opinione pubblica e femminismo, Roma 2008, ad indicem.