CESANO, Gabriele Maria
Nacque a Pisa da Leonardo, presumibilmente non molto prima del 10 genn. 1490, giorno in cui gli fu impartito il battesimo. Compì studi giuridici e con ogni probabilità si addottorò in diritto civile, ma non trascurò di istruirsi nelle lettere antiche - conosceva egregiamente il latino e il greco - e nella filosofia. In relazione con i Medici e più precisamente con Giovanni dalle Bande Nere almeno dal 1522, il C. fu familiare di Clemente VII, dal quale ottenne il beneficio di S. Lorenzo di Malaventre. Gli furono affidate anche missioni diplomatiche, una in Inghilterra, della quale non si hanno ulteriori notizie, e l'altra, nel 1527, a Venezia, quando Alfonso I d'Este era rientrato in possesso di Modena e la situazione in quella regione era confusa e preoccupante per il pontefice.
Non si sa quando il C. si pose agli ordini di Ippolito de' Medici, ma probabilmente fu assunto quando costui divenne cardinale, nel 1529. Certo era al suo servizio quando il porporato, nell'aprile del 1531, senza avvisare lo zio pontefice, si avviò alla volta di Firenze, di dove era assente Alessandro.
Si suppose che il cardinale si volesse impadronire della città, non soddisfatto di quanto disposto dal papa in favore del cugino. L'arcivescovo di Capua, che rappresentava Alessandro in Firenze, si mise in allarme, come pure fu colto da apprensione il pontefice, ma quando Ippolito arrivò nella città, senza neanche il favore della sorpresa, non manifestò intenzioni aggressive e vi si trattenne, mostrando di occuparsi solo di problemi economici, dal 20 al 27aprile. Pare che il giovane cardinale sia stato indotto a questa azione avventata proprio dal C., che lo raggiunse a Firenze dopo essersi fermato qualche giorno a Pisa. Qui era stato dato ordine al commissario, Luigi Guicciardini, di sorvegliarlo in modo che fosse possibile impadronirsene con tempestività. B. Varchi nell'attribuire al C. questa responsabilità lo dipinge in modo malevolo, sostenendo che "faceva professione di conoscere ognuno e di sapere tutte le cose e quello che è più trovava chi gliele credeva" (B. Varchi, p. 468).
Per incarico del cardinale il C. compì più di una missione diplomatica presso l'imperatore. Vi si recò sicuramente nel 1534. Partì da Genova ai primi di maggio e giunse in Spagna ai primi di giugno, trattenendovisi almeno fino all'ottobre. Nel marzo dell'anno seguente i fuorusciti fiorentini inviarono a Carlo V un'ambasceria per contestare il potere di Alessandro de' Medici e riuscirono a convincere il card. Ippolito a porsi dalla loro parte. Questi, sempre ostile al cugino, inviò presso l'imperatore il C. a perorare la causa degli esuli. La missione non ebbe un esito del tutto sfavorevole; tuttavia l'imperatore era completamente volto all'impresa di Tunisi, che iniziò il 31 maggio. Il card. Ippolito era diretto proprio in Africa per raggiungere Carlo V, quando morì a Itri il 10 ag. 1535, probabilmente di veleno. Il C. ne era sicuro e in una lettera a Veronica Gambara, scritta poco dopo il trapasso del Medici, si rammaricava della morte del giovane con estrema amarezza, per la "scelerata violenza" che gli sarebbe stata fatta e su cui invocava appassionatamente vendetta. Egli si diceva addolorato per il fatto in sé, più che per il danno che gliene era venuto; infatti era stato chiamato al servizio del papa "con favori, commodi et speranza da non farne poco conto".
Nel gennaio del 1537, quando, dopo l'uccisione di Alessandro de' Medici, i cardinali Salviati, N. Ridolfi e N. Gaddi si recarono a Firenze con i fuorusciti fiorentini a sondare e a cercare di influenzare il nuovo duca, il C. si accompagnò a loro, ma, appena arrivato in città, fu imprigionato ed esaminato nella fortezza. La diffidenza di Cosimo verso i cardinali era probabilmente accentuata nei confronti del C., coinvolto negli anni precedenti nei maneggi del card. Ippolito. Tuttavia egli riacquistò subito la libertà e poté tornare a Roma con i tre porporati.
In ogni caso non sembra che il C. fosse molto apprezzato da Paolo III e se ne dovette lamentare con P. Aretino, che aveva conosciuto quando era al seguito del card. Medici. Costui, nel 1538gli scriveva: "Bella lode che ne acquista Roma non sollevando una persona honestissima, di cor sincero, di animo libero, di mente giusta, di prudentia utile, di dottrina chiara, di fede stabile e d'ingegno facile!" (P. Aretino, Il secondo libro de' lettere, s. l. 1547, p. 102).
Almeno dal 1540 il C. passò al servizio del card. Ippolito d'Este. Intorno a quell'epoca infatti B. Cellini, incaricato di realizzare una saliera per il cardinal di Ferrara, venne in contrasto con il C. (che si occupava, della cosa per conto dell'Este insieme con Luigi Alamanni), descrivendolo come "tanto brutto e tanto dispiacevole", e aggiungendo così un'altra testimonianza negativa sul suo carattere.
Nel 1544 il card. Ippolito si recò in Francia e vi si trattenne cinque anni. Con lui, convocato a Bologna, partì il C. e Oltralpe, dopo che ebbe evidentemente abbracciato la carriera ecclesiastica, divenne confessore di Caterina de' Medici, delfina e dal 1547 regina di Francia.
Proprio per interessamento di quest'ultima il C., a cui nel 1550 Giulio III aveva confermato il beneficio di S. Lorenzo di Malaventre e che, dopo essere stato canonico della cattedrale di Pisa lo era di quella di Piacenza, il 16 dic. 1556 fu eletto vescovo di Saluzzo da Paolo IV. Era questa una diocesi eretta appena nel 1511, dove le dottrine eretiche si erano andate diffondendo già nella prima metà del secolo e in cui i rapporti politici con i Savoia e la Francia, sotto il cui effettivo dominio il marchesato era passato nel 1548, erano complicati e difficili. È vago e sporadicamente testimoniato il modo in cui il C. fronteggiò la situazione. Egli prese possesso del vescovato per mezzo di un procuratore il 3 dic. 1557, ma successivamente, forse nel 1558, prese residenza nella sua sede. Da parte dei suoi biografi si sostenne che visitò la diocesi e tenne un sinodo, ma di ciò non si hanno prove.
Agli inizi del suo presulato, nel marzo del 1558, fu messo al rogo a Torino un ministro riformato, che aveva poco prima sostenuto un confronto dialettico a Dronero nel marchesato, ma non sappiamo che parte ebbe il C. in questo episodio. Certo egli si rendeva conto di quanto estesamente operasse la Riforma nel Saluzzese e nel maggio del 1563 si indusse a scrivere al cardinale di Lorena, allora al concilio di Trento, descrivendo la sua diocesi come profondamente inquinata dalle eresie e suscettibile di divenire il rifugio degli eretici. Il cardinale rispose con generiche promesse di aiuto e con l'esortazione a "mantenere il popolo del marchesato nella vera fede con la vigilanza e con l'esempio". Un'altra testimonianza dell'attività del C. come presule fu la sua opposizione al Consiglio comunale di Carmagnola, che nel 1567 voleva assumere come predicatore stabile un tale Cherubino Camisotto. Il vescovo era contrario a tale assunzione non ritenendo il candidato perfettamente ortodosso e resistette anche alla visita di quattro consiglieri, delegati a difendere il predicatore.
Il C. morì a Saluzzo il 27 luglio 1568 e fu sepolto nella cattedrale, di cui aveva fatto restaurare la porta.
Resta ora da accennare ai rapporti che legarono il C., che fece parte dell'Accademia degli Intronati di Siena, ad alcuni letterati del tempo ed alle sue opere filosofiche e letterarie. Di una sua commedia, rappresentata nel 1560 in una festa in onore del card. Ippolito d'Este, è rimasta la sola notizia. L'unica sua opera che ci è stata conservata è l'Ethica secondo la dottrina d'Aristotele, dedicata al card. Ippolito d'Este, manoscritta nella Bibl. Apost. Vaticana (Urb. lat. 1347). È un estratto in italiano dei primi libri (fino ai primi capitoli del quinto libro) dell'opera del filosofo greco. In essa, che si arresta al settimo capitolo del quinto libro, il C. si duole che alcuni traduttori latini non abbiano compreso certi passi di Aristotele e mostra la sua sensibilità linguistica preoccupandosi di trovare il giusto vocabolo italiano per ogni definizione.
Un tale interesse del C. non è certo provato solo da questo particolare, ché il suo nome è soprattutto noto per aver costituito il titolo di un dialogo sulla lingua di C. Tolomei, scritto nel 1525 ed edito per la prima volta nel 1555 (cfr. C. Tolomei, Il Cesano de la lingua toscana, cura di O. Castellani Pollidori, Firenze 1974). Gli interlocutori di esso sono, oltre al C., P. Bembo, G. G. Trissino, B. Castiglione e A. de' Pazzi. Mentre costoro sostengono che la lingua italiana debba chiamarsi volgare, fiorentina, cortigiana o italiana, il C., definito "per gentilezza e dottrina molto raro", sostiene la toscanità della lingua italiana, facendone una analisi approfondita, ed è praticamente il portavoce del Tolomei. L'amicizia del C. con il Tolomei è documentata fino agli anni del suo soggiorno in Francia, e i due si ritrovano accanto anche in un'altra opera, il Ptolomaeus sive de officio principis in obtrectatores di Achille Bocchi, conservata manoscritta nella Bibl. Ap. Vat. (Barb. lat. 2030, cc. 491-538 della numeraz. antica). Anche quest'opera è un dialogo, i cui interlocutori sono il C., C. Tolomei e A. Caro, che l'autore riferisce esser veramente avvenuto a Piacenza nel 1544. Pure con il Caro il C. era in rapporti di amicizia secondo quanto riferisce il letterato marchigiano in una lettera del 1551 a Silvio Antoniano (A. Caro, Lettere familiari a cura di A. Greco, II, Firenze 1959, p. 110). Luca Contile in una lettera a Federico Orlandini dell'ottobre del 1541 (L. Contile, Delle lettere, I, Pavia 1564, p. 45v), difendendo l'uso del volgare, associava il nome del C. a quello del Tolomei, del Molza, del Bembo, definendoli "primi splendori" della sua epoca. Su una questione squisitamente letteraria verte una lettera di G. Muzio al C. ed a Bartolomeo Cavalcanti (G. Muzio, Lettere, Firenze 1590, pp. 135-43). Questi ultimi due avrebbero sostenuto che lo stile del Machiavelli era superiore a quello del Boccaccio, adatto soltanto a scrivere novelle. La lettera confuta questa opinione ed aggiunge osservazioni sulla lingua toscana. G. B. Pigna nei suoi Carminum libri quatuor (Venetiis 1553, p. 91) dedicò al C. un carme, insieme a Bernardino Manetta, mentre un giureconsulto pisano, Benedetto Maschiano, gli indirizzò una delle sue Elegiae (Pisa, Bibl. univ., ms. 180).
Fonti e Bibl.: Della nuova scielta di lettere di diversi..., a cura di B. Pino, I, Venetia 1574, pp. 63 s., 144; C.Tolomei, Delle lettere, Vinegia 1597, pp. 107r, 142v-147v, 150r, 151r-156v, 158rv, 196r, 201v-202r, 217rv, 220r; B.Varchi, Storia fiorentina, Colonia 1721, pp. 115, 468, 529; Lettere di Giovanni de' Medici, in Arch. stor. ital., IX (1859), 2, p. 122; B. Cellini. La vita, a cura di A. Jahn Rusconi-A. Valeri, Roma 1901, pp. 310 s.; Mem. istor. di più uomini illustri pisani, IV, Pisa 1792, pp. 383-403; C.F. Savio, Saluzzo e i suoi vescovi, Saluzzo 1911, pp. 235-45; V. Pacifici, Ippolito II d'Este, Tivoli 1920, pp. 101, 142, 159, 378 s., 381; G. E. Morelli, Il card. Ippolito de' Medici, in Arch. stor. ital., XCVIII(1940), p. 150; Arch. mediceo avanti il principato, a cura di F. Morandini - A. D'Addario, III, Roma 1957, p. 211; IV, ibid. 1963, ad Indicem; A.Pascal, Il marchesato di Saluzzo..., Firenze 1960, pp. 44, 111, 215, 217 s., 268 s., 272, 274; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 290.