DE LAUNAY, Gabriele
Nacque a Duingt nel Genevese, il 6 ott. 1786 da Luigi Filiberto ed Anna de la Balme, secondogenito di cinque figli. La sua famiglia apparteneva all'antica nobiltà savoiarda. Trascorse la giovinezza nel momento di maggiore espansione e splendore dell'Impero napoleonico, ma non accettò mai di mettersi al servizio dell'invasore.
Nel 1814, dopo essere stato per breve tempo arruolato nel corpo dei volontari savoiardi di M. De Sonnaz, entrò nell'esercito austriaco agli ordini del generale Bubna, dove percorse i primi gradi della carriera militare. Nel 1815, dopo la Restaurazione, rientrò in patria e si arruolò nell'esercito sardo allora in corso di ricostituzione, nel corpo delle guardie del re, col grado di maggiore. Il 9 dic. 1816 sposò Camilla Angelica De Caze de Méry da cui ebbe quattro figli. Continuava la carriera nell'esercito; il 28 genn. 1826 fu promosso luogotenente colonnello nel reggimento "Cavalleggieri di Savoia" ed il 6 luglio 1831 ne ottenne il comando col grado di colonnello. Il 3 nov. 1834 raggiunse il grado di maggiore generale al comando della brigata "Casale" e il 2 genn. 1841 divenne comandante generale la brigata "Savoia".
Dopo aver svolto diversi incarichi di fiducia, l'8 apr. 1843 Carlo Alberto lo investì del titolo di viceré, luogotenente e capitano generale della Sardegna. Era un incarico molto delicato, perché l'isola era ancora retta dall'antica costituzione aragonese e proprio allora si stava tentando di estendere ad essa la legislazione degli Stati di terraferma.
Il D., nello svolgere questo compito, si mostrò sempre fedele consigliere del sovrano e zelante esecutore dei suoi ordini. Spesso si trovò a dirimere aspre controversie tra i funzionari o tra gli abitanti dell'isola, non senza dover talvolta intervenire piuttosto duramente. Tutto ciò contribuì probabilmente a farlo descrivere dai biografi contemporanei come uomo "ruvido di modi, dal guardo piuttosto truce e pendente al severo, dagli ispidi baffi e dalla pelle durissima e croia ... Contegnoso talfiata e trasuperbo, usava dire sé essere grado e potere, più che ministro ... Uomo di prima e sinistra impressione, rotto e soprastante, e oltremodo collerico, non badò sempre alla scelta, non alla misura dell'operare, qui partigiano, là persecutore, inconsiderato pressoché sempre" (Siotto Pintor, pp. 491 ss.).
I suoi atteggiamenti autoritari contribuirono spesso a diffondere intorno a lui la fama di reazionario e favorevole al governo assoluto, ma ciò può essere smentito dal fatto che anche dopo la promulgazione dello statuto continuò a servire e ad appoggiare fedelmente la monarchia. Per il suo carattere imperioso ed estremamente osservante delle gerarchie, durante la missione in Sardegna, si scontrò più volte con la Reale Udienza, il supremo organo giudiziario dell'isola.
In alcuni casi fu lo stesso ministro della Guerra, Pes di Villamarina, che cercò di stemperare i contrasti, onde evitare pericolose polemiche e disordini. In seguito, infatti, alle lamentele avanzate dal D., perché un magistrato della Reale Udienza aveva dato esecuzione a delle patenti del console d'Olanda senza previa autorizzazione del viceré - come prescriveva la legge -, il Villamarina il 23 marzo 1846 inviava al D. il seguente dispaccio tentando di minimizzare l'accaduto: "Resta a vedere qual garbo di colpabilità debba pesare sul magistrato ... per avere conceduto l'exequatur a insaputa di V. E. ... L'E.V. sia persuasa che se ho cercato di mettere in vista l'incolpabilità del magistrato della Reale Udienza si fu per l'intima convinzione che mi sono formato della sua innocenza; e se ho soprassieduto dal procurare da S. M. una repressione allo stesso magistrato, ciò fu perché conoscendo la giusta suscettibilità de'i suoi membri, ho preveduto le disgustose conseguenze che potrebbero derivarne ne' frequenti rapporti che ha l'E.V. con quel Corpo, il quale consapevole dell'altezza delle sue attribuzioni non così facilmente si rassegnerebbe ad un immeritato rimprovero..." (Siotto Pintor, p. 589).
Al di là di questi episodi, il D. fu più volte approvato per il suo zelo dallo stesso Carlo Alberto, il quale, scrivendo al Villamarina, usò spesso espressioni di compiacimento. Il 19 luglio 1843 il re scriveva infatti al suo ministro: "Ho veduto con soddisfazione la fermezza del De Launay inverso i pastori. La Sardegna è uno de' paesi dove la fermezza è la qualità più indispensabile ...". Ed ancora nel maggio 1844: "... Piacemi la domanda di un mercato di bestiame in Otzieri ... dell'asilo infantile in Alghero. Buona reputo la proposta di aumentare i mezzi pecuniari mediante la coltivazione delle miniere ... e in verità il De Launay mi par l'uomo adatto a recar a buon termine i vostri disegni" (Siotto Pintor, p. 593).
Durante il periodo della sua reggenza fu estesa alla Sardegna parte della legislazione piemontese: nel 1846 il codice di commercio, nel 1847 vennero istituiti i Consigli di governo e venne abolita la segreteria di Stato per gli affari della Sardegna, la Reale Udienza venne sostituita dal Senato di Cagliari. Durante questo periodo il D. si adoperò affinché la fusione dell'isola con gli Stati di terraferma avvenisse il più velocemente possibile; il 22 marzo 1848 poteva annunciare la convocazione dei collegi elettorali per l'elezione dei deputati, rappresentanti dell'isola, al Parlamento subalpino.
La sua funzione di viceré terminò il 12 ag. 1848, allorché la carica venne abolita per l'avvenuta fusione della Sardegna con gli Stati di terraferma. Il 22 sett. 1848 gli venne affidato il comando della divisione di Genova, incarico, anche questo piuttosto delicato, poiché in seguito all'armistizio Salasco la città era stata travolta da continue rivolte fomentate dai democratici.
Di fronte ai continui disordini mantenne sempre un atteggiamento di estrema fermezza, anche se cercò di evitare uno scontro aperto con i dimostranti, molte volte intervenendo personalmente per mantenere a freno l'esercito che, spesso provocato, si sarebbe abbandonato ad inopportune repressioni.
Nelle lettere ad A. La Marmora, ministro della Guerra dal 27 ott. al 16 dic. 1848, il D. descriveva l'incandescente situazione della città, facendo presente più di una volta che necessitava di rinforzi per poter arginare eventuali gravi disordini. Accusava soprattutto gli emigrati lombardi di essere i fomentatori principali delle rivolte, ed auspicava un governo che stabilisse l'ordine, come dimostra una lettera al La Marmora dell'11 dic. 1848: "Je pense que plus un gouvernement est libéral plus doit être fort, car une liberté désordonnée mène à la licence, la licence à l'anarchie, c'est ce que ne veut pas comprendre notre opposition parlamentaire" (Degli Alberti, p. 135).
Allorché un'ennesima dimostrazione popolare chiese che si consegnassero alla sola guardia nazionale il forte dello Sperone ed il palazzo ducale, ove risiedeva il comando della divisione, il D. diffuse fra la popolazione un manifesto in cui annunciava che per proteggere la piazza di Genova stabiliva il suo quartier generale all'arsenale, ed aggiungeva: "La buona popolazione di Genova ch'è l'immensa maggioranza non s'inquieti per questa determinazione che non ha niente d'ostile contro di essa, anzi è diretta a mantenere l'ordine, proteggere le persone e le proprietà contro pochi perturbatori, la più parte estranei a Genova. Io dichiaro che non intendo secondare qualunque richiesta che si riferisca alla custodia di questa fortezza" (Degli Alberti, p. 138).
La sua ferma linea di condotta era stata fino allora appoggiata dal ministero Perrone Pinelli, ma il 16 dicembre, con l'avvento del ministero Gioberti, la sua azione veniva di colpo sconfessata: il giorno dopo un manifesto dell'intendente generale, G. Ponza di San Martino, annunciava che il mantenimento dell'ordine era esclusivamente affidato alla guardia nazionale.
Il comando del D. terminava alla fine del dicembre 1848; il ministero Gioberti aveva inviato, il 16 dicembre, a Genova, in qualità di regio commissario straordinario D. Buffa, che ordinò alle truppe di lasciare la città, bastando a mantenere l'ordine la sola guardia nazionale. Il 14 gen. del 1849 il D. era collocato a disposizione del ministero di Guerra e Marina. Nel frattempo, il 7 dic. 1848, era stato nominato senatore a riconoscimento dei servigi che aveva reso alla monarchia, ma poté essere ammesso all'esercizio delle funzioni senatoriali solo alla metà del febbraio 1849, allorché, dopo l'insediamento del ministero democratico, fu aperta la nuova legislatura.
Fu sempre molto attivo durante le sedute: promosse interpellanze per la presentazione di alcune leggi riguardanti la carriera e le pensioni militari; votò a favore del sussidio mensile da dare ai Veneziani, poiché, sebbene disapprovasse il loro spirito repubblicano, pensava che ciò fosse necessario nell'allora precaria situazione politica che faceva pensare ad un'imminente ripresa delle ostilità contro l'Austria. Più volte espresse il proprio pensiero contrario alla Costituente italiana ed alle idee repubblicane, da lui considerate "utopie" che minacciavano di condurre il paese alla rovina.
Quando giunsero a Torino le prime confuse notizie sul disastro di Novara e sull'abdicazione di Carlo Alberto, di fronte al ministero che non sapeva fornire ulteriori ragguagli e che dichiarava di non ricevere più ormai da tre giorni notizie dal quartier generale, il D. non esitò, nella seduta del Senato del 25 marzo 1849, ad attaccare duramente il governo accusandolo di non conoscere i suoi doveri. Il 27 marzo 1849 cadeva il ministero Chiodo, ed il D. riceveva da Vittorio Emanuele II la nomina di presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri. Nel suo primo discorso in Senato come capo del governo dichiarò apertamente che la Costituzione sarebbe stata sempre il suo "evangelio, politico", ma ciò non bastò a rafforzare la sua posizione fin dal primo momento piuttosto precaria, in quanto era apertamente osteggiato dai democratici, che lo consideravano un reazionario, era visto con diffidenza dai moderati, ma non godeva neppure dell'appoggio dei più accesi conservatori, i quali non gli perdonavano di accettare il regime costituzionale. Di fronte a questa situazione di debolezza ed alla delicatezza del momento politico, che vedeva in primo piano il problema delle trattative con l'Austria, il 7 maggio 1849 il D. era sostituito da Massimo d'Azeglio.
Morì a Torino il 21 febbr. 1850.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sez. Riunite, Matricole generali 1814-1840, p. 14; Ibid., Indice patenti controllo Finanze, 1814-1831; 1831-1842; 1843-1850, ad nomen. Notizie biografiche in: T. Sarti, Il Parlamento subalpino e naz., Temi 1890, p. 361;A. Anthonioz, Géneraux savoyards, Genève 1912, pp. 137-138; A. Moscati, I ministri del Piemonte dopo Novara, Napoli 1952, pp. 8-14, con bibl.; Diz. del Risorg. naz., II, p. 883; Enc. militare, III, p. 413; Enc. Ital., XII, p. 510. Notizie sull'attività polit. e militare in: Calendario generale dei Regi Stati Sardi, anni 1826-1849; G. Siotto Pintor, Storia civ. dei popoli sardi, Torino 1877, pp. 397 ss., 491 ss., 589, 593; M. Degli Alberti, I prodromi della rivoluz. di Genova del 1849, in Nuova Antologia, 1° genn. 1910, pp. 128-140; Il Regno di Sardegna nel 1848-1849 nei carteggi di D. Buffa, a cura di E. Costa, II, Roma 1968, ad Indicem, Atti del Parlamento subalpino. Senato, aa. 1848-1849, ad Indicem; Elenchi storici e statistici dei senatori del Regno dal 1848 al 1° genn. 1940, Roma 1940, p. 109; Storia del Parlamento subalpino, II, Dal ministero Gioberti all'ingresso di Cavour al governo, a cura di G. Sardo, Palermo 1964, ad Ind.; Il Regno di Sardegna nel 1848-49 nei carteggi di D. Buffa, a cura di E. Costa, Roma 1968, II, ad Ind.; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, Bari 1977, II, pp. 387 ss.