FUNZIONALI
. 1. Definizioni. - Il concetto di "funzionale" (termine dovuto a J. Hadamard, e derivante dalla locuzione più precisa "operatore funzionale") è uno dei più importanti dell'analisi matematica contemporanea. La sua formulazione precisa e molte delle sue applicazioni alle più diverse questioni non solo di matematica, ma anche di meccanica, di fisica, di biologia statistica, ecc. sono dovute al matematico italiano Vito Volterra, principale promotore di quel rigoglioso e promettente ramo dell'analisi matematica, che va appunto sotto il nome di calcolo funzionale.
Con la parola funzionale s'indica una dipendenza analoga a quella espressa dal termine "funzione" (v.). Un numero y si dice infatti funzione di un altro numero variabile x, e si scrive y = y (x), quando a ogni valore di (scelto ad arbitrio in un campo conveniente) corrisponde, secondo una legge qualsiasi, un ben determinato valore di y. Analogamente, si dice che un numero f è un funzionale di una funzione y (t), variabile in un conveniente campo di funzioni, quando a ogni funzione y (t), scelta ad arbitrio in questo campo, corrisponde. secondo una certa legge, un ben determinato valore di f. Una tale dipendenza s'indica con simboli del tipo f = F [y (t)].
Esempî di funzionali si sono presentati già dagl'inizî dell'analisi matematica moderna, col sorgere del calcolo infinitesimale, che studia le due operazioni di derivazione e integrazione nelle sue due branche tradizionali di calcolo differenziale e calcolo integrale (vedi differenziale, calcolo; integrale, calcolo).
L'operazione d' integrazione definita fa infatti corrispondere a ogni funzione y (t), integrabile in un intervallo (a, b), un numero f, e cioè il valore dell'integrale
E si può dire che anche l'operazione di derivazione fa corrispondere a ogni funzione y (t), derivabile in un punto t0, un numero ben determinato, cioè il valore y′ (t0) della derivata di y (t) in quel punto.
L'intero calcolo infinitesimale si può dunque pensare come un primo capitolo del più ampio calcolo funzionale.
Poiché poi una funzione y = y (t) si può in generale rappresentare geometricamente con un grafico (v. funzione), cioè con una linea piana, di cui ciascun punto ha per coordinate cartesiane un valore di t e il corrispondente valore di y, e, viceversa, ogni linea piana si può pensare come grafico di una conveniente funzione (eventualmente a più valori), dire che un numero f dipende da una funzione y (t), equivale a dire che esso dipende dal grafico di y (t), cioè da una linea piana, variabile in un certo insieme. Il concetto di funzionale si può quindi esprimere in forma più geometrica, dicendo che consiste in una corrispondenza fra una linea piana L, variabile, e un numero f, che in questo caso si chiama anche, con termine più antico, dovuto al Volterra, funzione della linea L.
Il concetto di funzionale si estende inoltre in modo naturale anche al caso di numeri dipendenti, non più da una sola funzione variabile indipendente, ma da più funzioni variabili, siano queste alla loro volta funzioni di una sola variabile (come abbiamo finora supposto) o invece funzioni di più variabili. Così, per esempio, se un numero f dipende da due funzioni variabili indipendenti y (t) e z (t), si dirà ancora che f è un funzionale di y (t) e z (t), o anche, considerando la linea L dello spazio ordinario i cui punti hanno per coordinate cartesiane t, v (t), z (t), si dirà che f è una funzione della linea L, variabile ora nello spazio, non più in un piano.
Si possono inoltre considerare dipendenze che hanno un carattere misto, e cioè insieme del funzionale e della funzione. Così, quando un numero f dipende contemporaneamente da una funzione y (t) e da un numero z (e ciò s'indicherà con simboli del tipo f = F [y (t); z]), si dirà che f è un funzionale misto di y (t) e z, in contrapposto ai funzionali precedentemente considerati, dipendenti solo da funzioni, che si dicono anche funzionali puri. Quando in un funzionale misto f = F [y (t); z] si pensi fissato il valore di z, si ottiene un numero f dipendente solo dalla funzione y (t), cioè un funzionale puro; quando invece si pensi fissata la funzione y (t), f resta dipendente solo dal numero z, risulta cioè una funzione ordinaria f (z) della variabile z. Un funzionale misto f = F [y (t); z] fa così corrispondere a ogni funzione y(t) di un certo campo un'altra funzione f(z), o, come anche si dice, stabilisce una trasmutazione tra la funzione y(t) e la funzione f(z).
2. Esempi varî. - Diamo alcuni altri esempî intuitivi di funzionali (funzioni di linee). In un piano, l'area f della superficie limitata da una curva chiusa L dipende evidentemente da questa curva, è cioè una funzione della linea L, o, se si vuole, un funzionale delle funzioni che hanno per grafico i varî tratti di L. Così pure, se prendiamo una lastra metallica piana, e distribuiamo sul suo contorno L delle temperature arbitrarie, costanti nel tempo, nello stato di equilibrio termico si avrà per ogni punto P della lastra una ben determinata temperatura, la quale dipenderà evidentemente dalla distribuzione delle temperature sul contorno L. Per individuare questa distribuzione, basterà dare la temperatura T per ogni punto Q del contorno, che insieme a un altro punto fisso Q0 di L intercetta su L un arco di lunghezza s, cioè basterà dare la temperatura T come funzione di s, T = y (s). La temperatura in un punto interno P della lastra sarà allora un ben determinato funzionale di questa funzione y(s), che individua le temperature sul contorno.
Altri esempî di funzionali si hanno in elettrotecnica. Data infatti la forza elettromotrice V = V (t), per ogni valore del tempo t, agente su un ben determinato circuito comunque complicato, con resistenze, capacità, induttanze, l'intensità di corrente i - i(t), che passa a ogni istante in una certa sezione del circuito, dipende da tutto l'andamento precedente della forza elettromotrice, cioè dalla funzione V(t). Per ogni circuito viene così a stabilirsi una corrispondenza fra la funzione arbitraria V(t) e la funzione i(t) da essa determinata; in altri termini il valore dell'intensità i è un funzionale misto della funzione V(t) e del numero t. Queste particolari corrispondenze s'indicano anche col nome di conduttanze funzionali. Esse sono state estesamente studiate dal fisico inglese Heaviside e da una schiera di suoi continuatori, fra cui in Italia G. Giorgi.
Esempî di funzionali di natura più elevata s'incontrano nella teoria delle equazioni differenziali. Così, data un'equazione differenziale lineare
il valore di un integrale y(x) dipende evidentemente, oltre che dal valore di x e delle costanti iniziali c0, c1,..., c-1, anche dalle funzioni p1(x), p2 (x),..., pn [x), g (x); è cioè un funzionale misto di tutte queste funzioni e dei numeri x, c0, c1,..., cn-1.
L'integrale di un'equazione a derivate parziali dipende pure, oltre che dalle variabili (numeri), dai dati iniziali, cioè da funzioni, ed è quindi ancora un funzionale di queste. La soluzione di un'equazione integrale
dipende dai numeri x, λ, a, b, e dalle funzioni f(x) e k(x, t), quindi è pure un funzionale misto di tutte queste variabili.
Nel cosiddetto calcolo delle variazioni, infine, si tratta il problema dei massimi e minimi di espressioni del tipo
cioè di numeri f che dipendono da una funzione y(t), e sono perciò funzionali, sia pure di tipo particolare, di questa funzione.
3. Indirizzo formale della teoria dei funzionali. Calcolo simbolico. - Poiché, come abbiamo accennato, già nel calcolo infinitesimale si presentano i due operatori funzionali di derivazione e integrazione, non è da meravigliare che fin dai tempi di Leibniz l'attenzione dei matematici si sia rivolta allo studio di alcuni particolari operatori funzionali. Partendo dall'operazione fondamentale del calcolo differenziale e cioè dall'operazione di derivazione, che si può indicare col simbolo D e che fa corrispondere a ogni funzione y (x) la sua funzione derivata Dy (x) = y′ (x), si possono infatti definire immediatamente anche le derivate di ordine più elevato di una stessa funzione, cioè la derivata seconda, terza, ecc., ottenute riapplicando successivamente lo stesso operatore D, y″ (x) = D2 y, y‴ (x) = D3 y, ecc. Questi nuovi operatori D2, D3, ecc., possono quindi considerarsi come le successive potenze dell'operatore D, e per esse valgono ancora leggi simili a quelle delle potenze ordinarie
Inoltre, dato un polinomio
si può associare a questo un nuovo operatore, sostituendo alle potenze di λ le corrispondenti potenze di D, cioè
Questo operatore può indicarsi con p (D); ed è da osservare che, se si hanno due polinomî p (λ) e q (λ) a cui corrispondono i due operatori p (D) e q (D), effettuando successivamente questi due operatori si ottiene un nuovo operatore dello stesso tipo, che si dice il loro prodotto. Se i coefficienti di p(λ) e q(λ), ossia di p (D) e q (D), sono costanti (o, più in generale, indipendenti da x), codesto prodotto è indipendente dall'ordine dei due operatori (che si dicono quindi permutabili) e corrisponde precisamente al prodotto ordinario dei due polinomî p(λ) e q(λ). Da questa osservazione nasce tutto un metodo di calcolo in cui, definiti in qualche modo gli operatori f (D), associati non solo a polinomî in λ., ma anche a funzioni f (λ) quali si vogliano, si opera su questi operatori f (D) con le regole del calcolo algebrico usuale, come se il simbolo D della derivazione fosse il simbolo di una quantità ordinaria.
Non è qui il caso di rendere conto degli sviluppi che, in vario senso, ha ricevuto questo calcolo simbolico, dagl'inizî dell'analisi infinitesimale fino a tutto il secolo scorso. Se ne occuparono, oltre il Leibniz, il Lagrange, L. J. Arbogast, F.-J. Servois, A. Cauchy, G.V. Oltramare e una numerosa serie di matematici inglesi, fra cui ci limiteremo a ricordare G. Boole, Carmichael, W. Spottiswoode, A. Cayley, oltre il Heaviside, già menzionato per le applicazioni all'elettrotecnica. Ci basti rilevare che il calcolo simbolico degli operatori funzionali non è interessante soltanto come una curiosità, per le strette analogie che presenta con il calcolo letterale ordinario, ma può anche avere una applicazione nella risoluzione di equazioni funzionali del tipo
ove y (x) è la funzione incognita e g (x) una funzione nota. Se infatti è possibile definire esattamente, oltre l'operatore f(D) associato alla funzione nota f(λ), anche l'operatore1/f(D), associato alla funzione reciproca 1 f (λ), in modo che siano rispettate le regole del calcolo letterale ordinario, e in particolare sia identicamente
la soluzione y (x) del (3) si ottiene immediatamente con la formula
Ma disgraziatamente non è sempre possibile definire in tal modo gli operatori occorrenti. Così già nel caso semplicissimo che si voglia definire l'operatore inverso della derivazione D con la formula
si ha
e quindi, se y (x0) ≠ 0, la condizione (4) non è verificata.
Nonostante questi inconvenienti, sono state date delle formule, per definire in molti casi operatori funzionali del tipo f(D) y e i loro inversi; e, per quanto la deduzione di tali formule non sia per lo più rigorosa e abbia un valore puramente formale, le formule risolutive del tipo (5), cui così si perviene, conducono spesso a funzioni, che, come si può verificare a posteriori, soddisfano effettivamente all'equazione funzionale proposta.
È da osservare che le proprietà degli operatori f(D) valgono, più in generale, per tutti gli operatori del tipo f (A), dove A denoti un operatore lineare, cioè tale che, comunque si prefissino le due costanti c1, c2 e, almeno in un certo campo, le due funzioni y1(x), y2(x), si abbia
Tali sono, oltre la derivazione D, l'integrazione ordinaria
e la differenza finita (v. differenze, calcolo delle).
e infatti nel calcolo simbolico tradizionale sono stati largamente considerati anche operatori del tipo f (J) ed f (Δ).
Affinché sia lecito trasportare agli operatori f (A) il calcolo algebrico ordinario, basta (ma non è necessario) che l'equazione funzionale
ammetta, per valori generici delle due costanti ρ e a, una soluzione unica e la funzione f (λ), cui si vuole associare l'operatore f (A), soddisfi convenienti condizioni di regolarità. Tale è il caso dell'operatore J d'integrazione; si possono infatti definire e trattare, in modo rigoroso, con le regole del calcolo simbolico, tutti gli operatori f(λ), corrispondenti a funzioni analitiche f(λ), regolari per λ. = 0 (cfr. L. Fantappiè, in Mem. dello R. Acc. d'Italia, I, Mat. n. 2.1930).
Ricordiamo infine che all'indirizzo del calcolo simbolico tradizionale appartengono gl'importanti contributi che alla teoria generale degli operatori funzionali lineari furono recati da S. Pincherle, che li designa col nome di operazioni funzionali distributive.
Per quel che riguarda le proprietà formali e algoritmiche, egli associa a ogni operazione funzionale A, una nuova operazione A′, pur essa distributiva, che chiama derivata funzionale della A per l'analogia formale, che, rispetto alla A, presenta con la derivata ordinaria di una funzione; e, grazie all'introduzione delle derivate dei successivi ordini, perviene a uno sviluppo del Taylor generalizzato in senso operatorio, da cui, in particolare, discende la possibilità di rappresentare molte operazioni distributive come serie di potenze della derivazione D
Nei riguardi concettuali il Pincherle considera le funzioni analitiche di una variabile come "elementi" o "vettori" di uno spazio a infinite dimensioni, talché spetta a lui la prima forma di quel concetto di spazio funzionale, che ha tanta parte nei più recenti sviluppi del calcolo funzionale e dell'analisi generale. Nello spazio delle funzioni analitiche le operazioni distributive si comportano come le affinità (v.) negli spazî lineari a un numero finito di dimensioni e il Pincherle ha messo in luce come tra i due casi del numero di dimensioni finito e infinito si presentino, accanto a ovvie analogie, discordanze essenziali e inaspettate.
4. Indirizzo del Volterra nella teoria dei funzionali. - Risulta da quanto si è detto dianzi che il calcolo simbolico tradizionale, dai suoi primordî fino ai più recenti sviluppi, presenta, col suo carattere prevalentemente algoritmico, un valore e un interesse piuttosto euristico che costruttivo. Il passaggio a una teoria sistematica e positiva dei funzionali, anche non lineari, è avvenuto per opera del Volterra. Il distacco netto dall'indirizzo precedente, in cui l'attenzione è principalmente rivolta alle proprietà formali di certi simboli grafici, mentre si sorvola sull'intrinseca natura delle entità matematiche che essi possono rappresentare, consiste in ciò, che il Volterra si occupa soprattutto delle proprietà sostanziali delle nuove entità matematiche, da lui esattamente definite (funzioni di linea o funzionali) e non introduce simboli se non per rappresentare queste nuove entità, definite precedentemente in modo autonomo.
Data l'orientazione dei suoi studî verso la fisica matematica, egli fu infatti portato, dalle ricerche su certe equazioni a derivate parziali, a considerare gl'integrali di queste come "dipendenti dalle funzioni iniziali assegnabili ad arbitrio" e quindi alla definizione delle funzioni di linea o funzionali come "grandezze che dipendono da tutti i valori assunti da una funzione y (t), di variabile reale, in certo intervallo (a, b)".
Egli studia queste dipendenze f = F [y (t)] di un numero f da una funzione y (t), principalmente nel campo reale e nel caso che esse possano rappresentarsi con integrali definiti sotto la forma
quando il funzionale F è lineare, cioè gode della proprietà (8), oppure con serie d'integrali definiti della forma più generale
quando F non è lineare.
Tanto nella (13) quanto nello sviluppo (14), solo la y va pensata come funzione arbitraria (variabile indipendente), mentre invece le funzioni k (t) e kn(t1, t2,..., tn) vanno considerate come fissate, una volta per sempre, in base alla natura del funzionale F. Il Volterra chiama i funzionali del tipo (13) o (14) col nome di funzìonali regolari e riesce a determinare per questi funzionali una quantità di proprietà perfettamente analoghe a quelle delle funzioni f = f (y1, y2,..., ym) di m variabili reali.
Il principio fondamentale che guida queste ricerche è il cosiddetto principio del passaggio dal finito all'infinito; basandosi su questo si può immaginare un funzionale F [y (t)] come il limite di una funzione ordinaria f = f(y1, y2,..., ym) di m variabili reali, quando il numero m di queste variabili si faccia crescere all'infinito. All'indice discontinuo i (= 1, 2,..., m) che caratterizza le variabili yi in una funzione ordinaria f = f(y1, y2,..., ym) viene allora a corrispondere, al limite, l'indice continuo t, variabile tra a e b, e così a ognuno degl'infiniti valori di t corrisponde uno degli infiniti valori della y, dal cui insieme dipende il valore del funzionale f = F [y (t)].
Prendendo come guida questo principio, si riconosce che la nozione di differenziale totale di una funzione di m variabili
il quale si definisce come la parte principale dell'incremento Δf della funzione (v. differenziale, calcolo), trova la sua naturale estensione nel concetto di variazione δF di un funzionale f = F[y(t)]. Questo concetto di variazione era già stato considerato molto tempo prima, per particolari funzionali di cui si volevano determinare i massimi e minimi, da Eulero, Lagrange, ecc. (v. variazioni, calcolo delle); ma la nozione generale introdotta dal Volterra permette di abbordare il problema dei massimi e minimi anche per funzionali molto più generali, talché il calcolo delle variazioni tradizionale diventa un particolare capitolo (studio dei massimi e minimi dei funzionali) del più ampio calcolo funzionale. È da questo punto di vista che il calcolo delle variazioni viene considerato in alcune recenti trattazioni (di L. Tonelli e J. Hadamard).
Nel caso di un funzionale regolare F [y (t)], il Volterra trova per la variazione δF, corrispondente a un incremento δy della funzione y, variabile indipendente, l'espressione notevole
ove la funzione k (x) si può definire, per ogni valore di x, come limite di un conveniente rapporto incrementale. Questa funzione dipende ancora, in generale (tranne il caso che il funzionale F sia lineare), dalla funzione y (t), e s'indica col nome di derivata funzionale o funzionale derivato primo di F rapporto a y (t), nel punto x, e col simbolo
Questa derivata ha per i funzionali un'importanza del tutto analoga a quella delle derivate parziali ∂f/∂yi, per una funzione ordinaria. Naturalmente nella derivata funzionale (17) abbiamo l'indice x, variabile con continuità attraverso tutti gl'infiniti valori dell'intervallo (a, b), in luogo dell'indice discontinuo i (variabile per soli valori interi), che nelle funzioni ordinarie indica la variabile yi, rispetto a cui è eseguita la derivazione parziale. L'analogia tra la derivata funzionale (17) di un funzionale F e le derivate parziali ∂f/∂yi. di una funzione ordinaria f(y1, y2,...., ym) viene messa in maggior rilievo quando nella (16) si sostituisca al posto di k (x) l'espressione (17); si ha così per la variazione δF del funzionale la espressione
perfettamente simile all'espressione (15) del differenziale totale di una funzione ordinaria. Ai differenziali corrispondono le variazioni, all'indice discontinuo i l'indice continuo x, mentre alla somma rispetto a i viene a corrispondere, nella (18), l'integrazione definita rispetto a x.
Oltre la derivata funzionale prima F′, si può definire, per un funzionale regolare F, anche la derivata funzionale, in un punto x2, del funzionale F′ [y (t); x1], e si perviene alla derivata funzionale seconda di F, che s'indica col simbolo F″ [y (t), x1, x2]. Per le derivate funzionali seconde vale un teorema del tutto simile a quello dell'invertibilità delle derivate seconde ordinarie (∂2 f/∂yi ∂yk = ∂2 f/∂yk ∂yi) essendo infatti F″ [y (t); x1, x2] = F″ [y (t); x2, x1]. Così pure possono definirsi le derivate funzionali successive, di qualsiasi ordine; la derivata funzionale n esima F(n) [y (t); x1, x2..., xn], che risulta in generale ancora un funzionale di y (t), dipendente anche dagli n indici (continui) di derivazione x1, x2,..., xn, è sempre una funzione simmetrica di questi indici.
Impiegando le successive derivate funzionali, si trova, per una classe molto estesa di funzionali, un'espressione analoga alla serie di Taylor per le funzioni ordinarie, che permette di calcolare il valore del funzionale F per una funzione variata y(t) + ϕ(t), quando, per y (t), siano noti il valore di F e di tutte le sue derivate funzionali, e cioè
(sviluppo in serie di Volterra). Questo sviluppo è stato esteso da M. Fréchet a classi di funzionali ancora più generali, sostituendo agl'integrali ordinarî gl'integrali di T.J. Stieltjes.
Le vedute e i metodi dianzi accennati hanno trovato il loro naturaìe campo di applicazione in quell'importantissima branca della matematica moderna, che è costituita dalla teoria delle equazioni integrali (v. equazioni). Le equazioni del tipo
note oramai nell'analisi sotto il nome di equazioni del Volterra, furono da lui risolute (1896) in base al ricordato principio del passaggio dal finito all'infinito e, più precisamente, considerandole come casi limiti di sistemi di m equazioni lineari in m incognite, per m tendente all'infinito (v. determinanti).
Queste equazioni e le loro generalizzazioni (equazioni integro-differenziali, con funzioni incognite di una o più variabili e sistemi di equazioni integrali o integro-differenziali) hanno permesso la descrizione e lo studio di fenomeni, che prima sfuggivano a ogni tentativo d' inquadramento negli schemi dell'analisi tradizionale. Con le sole equazioni differenziali, infatti, si potevano descrivere e studiare soltanto i fenomeni individuati, nel loro svolgersi, dalle condizioni in un dato istante o in istanti infinitamente vicini, come sono per l'appunto i fenomeni meccanici, ma non quelli determinati, nel loro svolgersi, da tutte le condizioni precedenti, in un certo intervallo di tempo (fenomeni ereditarî). Con i metodi del Volterra si riesce invece a inquadrare anche fenomeni di quest'ultimo tipo; tali sono, a esempio, i fenomeni di elasticità susseguente, i fenomeni sociali, e, più generalmente, quelli di biologia statistica (v. ereditarietà meccanica). È recentissima la sistemazione matematica data dal Volterra, anche nel caso generale di condizioni ereditarie, alla teoria darwiniana della selezione naturale o lotta per la vita di varie specie biologiche conviventi.
Interessanti sono poi i metodi generali, che portano in molti casi alla risoluzione effettiva delle equazioni integrali e integro-differenziali del Volterra, metodi che oramai costituiscono un altro ramo autonomo del calcolo funzionale, la cosiddetta teoria della composizione delle funzioni di due variabili (v. la Theorie di Volterra-Pérès citata nella bibl.).
Non possiamo infine terminare questa rapida scorsa in questo vasto campo di ricerche, senza menzionare l'indirizzo sviluppato da M. Fréchet con la sua analisi generale. Partendo dagli esempî offerti dalla teoria dei funzionali, in cui le variabili indipendenti non sono più numeri, come nell'analisi ordinaria, ma nuovi enti, e cioè funzioni, il Fréchet sviluppa una teoria in cui gli enti variabili non sono precisati, potendo essere assolutamente qualunque (numeri, funzioni, enti geometrici, ecc.). Egli riesce a trasportare in un campo così generale molte delle nozioni e delle proprietà che valgono nell'analisi ordinaria, come la nozione di limite, di punto limite, di differenziale, ecc.
5. I funzionali analitici. - Recentemente l'indirizzo dato dal Volterra all'analisi funzionale è stato esteso dal campo reale, ove si svolgevano la massima parte degli studî precedenti, al campo complesso con la cosiddetta teoria dei funzionali analitici. Anche in questo caso, come già molte altre volte nello sviluppo delle teorie matematiche, l'introduzione dell'immaginario permette la coordinazione in un tutto armonico di un insieme di proprietà e di teorie parziali, che nel campo delle funzioni di variabile reale dovevano necessariamente rimanere slegate fra loro. Così, p. es., la derivazione, che, pur essendo uno dei primi operatori funzionali apparsi nell'analisi, non rientra in modo naturale nelle considerazioni del Volterra, in quanto non è un funzionale regolare, trova invece il suo posto, senza alcun artifizio, nella teoria generale dei funzionali analitici.
Questi funzionali sono caratterizzati da due proprietà:1. essi sono definiti in campi di funzioni analitiche. 2. applicati a funzioni y (t, a), le quali, in opportune regioni della sfera complessa, siano analitiche, tanto rispetto alla variabile t, quanto rispetto a uno o più parametri a, dànno luogo (quando nella loro applicazione la y si riguardi come funzione della sola t) a funzioni analitiche dei parametri. È da osservare che queste proprietà essenziali dei funzionali analitici sono possedute per l'appunto, in base a teoremi classici, da tutti i funzionali che finora si sono effettivamente presentati nelle più importanti questioni di analisi, e cioè dai funzionali che nascono nella teoria delle equazioni differenziali, ordinarie e a derivate parziali, nella teoria delle equazioni integrali, nel calcolo delle variazioni, ecc., talché essi rientrano naturalmente tra i funzionali analitici.
Particolamiente notevoli tra i funzionali analitici, sono i funzionali lineari che godono della proprietà distributiva rispetto alla somma
A base della teoria dei funzionali è stato posto (L. Fantappiè) il fatto che qualsiasi funzionale analitico lineare individua una certa funzione analitica v (a), chiamata sua indicatrice mediante la formula
dove la t al piede del simbolo F del funzionale indica che questo va applicato, considerando nella 1/(t - a) come sola variabile la t (e a come parametro costante).
Il funzionale lineare F riesce a sua volta completamente caratrizzato da questa funzione v (a) potendosi ottenere il valore di F per una qualsiasi funzione y (t), del suo campo di definizione, in base alla formula integrale
ove la curva d'integrazione C è una curva chiusa che contiene nell'interno tutti i punti singolari della funzione y (t), variabile indipendente, ma lascia all'esterno tutti i punti singolari della funzione indicatrice v (t), caratteristica del funzionale F.
Con questo risultato, che collega a ogni funzionale analitico lineare F una funzione analitica v (t) (la sua indicatrice) e viceversa, si ha che tutte le proprietà del funzionale lineare si vengono a rispecchiare nelle proprietà della funzione indicatrice, e inversamente; cosicché la determinazione e lo studio di tutti i funzionali lineari si riduce allo studio delle varie funzioni analitiche, già ampiamente sviluppato, per classi di funzioni importanti, nell'analisi ordinaria.
Le precedenti considerazioni si estendono poi facilmente al caso dei funzionali lineari misti f (z) = F [y (t); z], che a ogni funzione analitica y (t) di un certo campo fanno corrispondere un'altra funzione f(z) (che si suppone pure analitica). L'indicatrice di un funzionale lineare misto è data infatti da
e risulta quindi una funzione analitica di due variabili (a, che si chiama l'indice dell'indicatrice, e il parametro z), mentre il valore del funzionale, è dato dalla formula (23), che in questo caso diventa
dove però, in generale, per ciascun valore di z bisogna scegliere un'appropriata curva d'integrazione, nel modo già indicato per la (23). Come conseguenza della formula (25) si ottiene poi un teorema assolutamente generale che permette di conoscere immediatamente i valori ÿ di z, che possono essere singolari per la funzione f (z), quando si conoscano i valori t1, t2,... singolari per la funzione y (t), da cui la funzione f (z) dipende per il tramite dell'operatore lineare F. Questi valori ÿ non sono infatti altro che i valori singolari per le funzioni di z, che si ottengono sostituendo nell'indicatrice i valori t1, t2,... . al posto dell'indice, cioè i valori singolari per le funzioni v (z, t1), v (z, t2),.... Come casi particolarissimi di questo teorema generale si ritrovano un ben noto teorema di J. Hadamard sulla composizione delle singolarità nelle serie di potenze, e un altro teorema analogo dato da A. Hurwitz.
Dalla formula generale (25), che rappresenta la funzione f(z), corrispondente alla y(t) per l'operatore lineare F, si può facilmente passare a un'espressione del tipo (12), data dal Pincherle, che vale però solo per i valori di z per cui la serie converge; è proprio dalla formula (25) che si riesce anzi a determinare in ogni caso il campo di convergenza di una serie di Pincherle del tipo (12).
Per i funzionali analitici non lineari si può poi costruire una teoria in tutto analoga alla classica teoria di Weierstrass per le ordinarie funzioni analitiche (v. funzione). Infatti, per un tale funzionale F [y (t)] si può sempre definire quello che si chiama il funzionale derivato primo F′ [y (t), a] in un punto a, mediante la formula
mentre la variazione δF del funzionale si può sempre ottenere da questo funzionale derivato primo con una formula analoga alla (18), data dal Volterra per i soli funzionali regolari (i quali sono un caso molto particolare di funzionali analitici), dove però compare un integrale esteso a una curva chiusa, del tipo (23). Così pure si possono sempre successivamente definire i funzionali derivati dei diversi ordini, e si ha ancora che il funzionale derivato nesimo F(n) [y (t), a1, a2,..., an] è una funzione simmetrica (analitica) degli n indici di derivazione a1, a2,..., an. Per qualunque funzionale analitico vale poi sempre uno sviluppo in serie d'integrali (serie di Volterra generalizzata) analogo allo sviluppo (19), gl'integrali essendo però estesi a opportune curve chiuse del piano complesso.
È da osservare che, a differenza di ciò che accade nel campo delle funzioni analitiche, già tra i funzionali lineari si presenta il fatto curioso dei funzionali polidromi; l'esempio più semplice è dato dall'integrale definito
che ha in generale valori diversi per due diversi cammini d'integrazione, congiungenti i due punti a e b, quando la curva chiusa, costituita dall'insieme di quegli due cammini, contenga punti singolari della funzione y (t). I funzionali lineari polidromi di funzioni di una sola variabile si riconoscono però facilmente dal fatto che hanno per indicatrice v (a) una funzione polidroma; nell'esempio precedente si ha, in effetti,
Proprietà sostanzialmente diverse dalle precedenti si hanno invece nella teoria dei funzionali analitici delle funzioni (analitiche) di due o più variabili. Così, p. es., per un funzionale lineare misto F[y (t1, t2): z1, z2] = f(z1, z2), che a ogni funzione analitica y(t1, t2) di un certo campo fa corrispondere un'altra funzione analitica f(z1, z2), si può ancora definire la funzione indicatrice v (z1, z2; a1, a2) con la formula
e il valore di F si può pure ottenere con la formula integrale
(dove Γ è un'opportuna superficie chiusa d'integrazione); ma si ha il fatto sorprendente che questi funzionali sono quasi sempre polidromi, anche quando l'indicatrice è una funzione monodroma.
Per questi funzionali lineari misti si riesce però ancora a dare un teorema generale sulla posizione delle singolarità della funzione f, corrispondente alla y, quando siano note le singolarità di questa; da esso si può anzi dedurre, come caso particolare, un teorema sulla composizione delle singolarità delle serie doppie di potenze, analogo a quello dato da J. Hadamard per le sole serie semplici.
È da ricordare, infine, che, potendosi sostituire a una matrice infinita di elementi ars (r, s = 0, 1, 2,.. .) una funzione analitica di due variabili (data da
il calcolo delle matrici infinite, che ha avuto così larghe applicazioni nella teoria dei quanti (vedi Quanti) si può svolgere coi mezzi offerti dalla teoria dei funzionali analitici delle funzioni di due variabili. In queste teorie fisiche interessa inoltre calcolare gli autovalori e le corrispondenti autofunzioni di certe equazioni funzionali note, caratterizzanti il sistema fisico. Specialmente la teoria delle perturbazioni, in cui interessa calcolare le variazioni degli autovalori e delle autofunzioni, corrispondenti a date variazioni (perturbazioni) delle funzioni note, può trar vantaggio dagli sviluppi generali del calcolo funzionale.
Bibl.: S. Pincherle, Funktionaloperationen und Gleichungen, in Encykl. der Math. Wiss., II, i, Lipsia 1904-1916, p. 2 (vi si trova una vasta bibliografia specialmente sul calcolo simbolico); S. Pincherle e U. Amaldi, Le operazioni distributive, Bologna 1901; V. Volterra, Leåons sur les fonctions de lignes, Parigi 1913; V. Volterra e J. Pérès, Théorie de la composition, Parigi 1924; V. Volterra e L. Fantappiè, Theory of functionals, Londra-Glasgow 1931 (contiene oltre 500 indicazioni bibliografiche sulla teoria dei funzionali); L. Fantappiè, I funzionali analitici, in Mem. della R. Acc. dei Lincei, s. 6ª, III, 1928-30; id., La giustificazione del calcolo simbolico e le sue applicaz. all'integraz. delle equaz. a derivate parziali, in Mem. della R. Acc. d'Italia, I, Matem., n. 2, 1930.