FUCILE (da focile "acciarino"; fr. fusil; sp. fusil; ted. Flinte, Gewehr; ingl. gun, firelock)
Arma da fuoco portatile, costituita di una canna di ferro vuota, fermata a un fusto di legno (cassa). Deriva dalla forma di archibugio detta archibugio a focile (v. archibugio, IV, p. 41 e fig. 4), adottata nel sec. XVI. Fu conservato in seguito il nome di fucile alle armi portatili lunghe, qualunque fosse il sistema d'innescamento; e lo si distingue ancora oggi dalla carabina, dal moschetto e dalla pistola, cioè dalle armi corte.
Storia. - L'evoluzione dei fucile fu assai lenta sino a tutto il sec. XVIII. Nel Seicento furono arrecati perfezionamenti di qualche importanza, così quelli della bacchetta, allogata abitualmente in una scanalatura della cassa, da infilarsi nella canna per caricare l'arma, della baionetta, prima semplice puntale, poi perfezionatasi sul finire del secolo, e della cartuccia, che si vuole inventata (o adottata su vasta scala) da Gustavo Adolfo (1644) e che permise d'introdurre nell'arma contemporaneamente la polvere, la pallottola e lo stoppaccio, rendendo assai più celere la manovra di caricamento.
Dopo il 1650 il fucile, generalizzatosi; divenne l'arma pressoché esclusiva delle fanterie (fig. 1); da quest'epoca e per tutto il '700 i sistemi di caricamento e sparo appartengono sempre ai tre tipi ben noti (v. archibugio), sono cioè a serpentino, a ruota, a martellina, mentre variano peraltro le forme esteriori. Solo nel 1670 un'ordinanza francese prescrisse un tipo unico di fucile per le soldatesche; in Piemonte una simile disposizione si ha molto più tardi, cioè nel 1752, allorché venne adottato un tipo di fucile a martellina, poi modificato nel 1782 per opera del maggiore De Butet. In questo secolo il nome di archibugio fu lasciato alle armi antiquate e a quelle da caccia e da collezione.
Ma il trapasso dal fucile ancora imperfetto del sec. XVIII all'arma moderna di precisione è dovuto a tre sostanziali modifiche intervenute in epoche assai vicine l'una all'altra: l'introduzione dei sistemi a percussione, quella della rigatura e del forzamento della palla nella canna, e quella della retrocarica. Tali modifiche verranno qui esaminate separatamente, per opportunità di trattazione.
Fucile a percussione. - Ad esso si giunse partendo dal sistema d'innescamento dell'arma con fulminato di mercurio. Le proprietà di questo furono scoperte da C.-L. Berthollet nel 1788; l'idea di usufruirne per l'innescamento del bossolo da fucili portatili appartiene, secondo alcuni, allo scozzese A. J. Forsyth (brevetto inglese 1807), secondo altri al capitano inglese Fergusson (fine del sec. XVIII). Nel 1808 e nel 1812 il francese Pauly ottenne due brevetti per acciarini a percussione, sempre con l'impiego del fulminato di mercurio. Nei primi tentativi la materia fulminante si poneva entro pallottole di cera mischiata con zolfo polverizzato; più tardi essa venne incollata su di un nastro che si collocava in un serbatoio vicino al cane; nel movimento di alzata del cane il nastro si svolgeva automaticamente, presentando a ogni colpo la materia fulminante all'azione del cane. Solo nel 1814 l'inglese J. Egg inventò la capsula fulminante, e il fucile acquistò la forma che ha ancora nelle armi dette a cane (fig. 2), con l'acciarino a luminello o a capsula, recante cioè avvitato un cannellino d'acciaio veniva collocata la capsula (v. appresso). Prima di essere applicato alle armi da guerra l'acciarino a luminello fu introdotto nelle armi da caccia e da bersaglio.
I vantaggi del sistema a percussione furono presto riconosciuti: maggior regolarità e precisione di tiro, miglior sfruttamento della carica e quindi minor consumo di polvere, maggior rapidità di tiro, grande diminuzione dei colpi mancati.
In Piemonte gli studî per l'adozione dei nuovi tipi di fucile cominciarono nel 1825 per opera del capitano De Negro della R. Accademia militare; proseguirono nel 1827-28 e venne adottato un fucile della R. Manifattura d'armi; poi nel 1829 un fucile Charroy e nel 1831 un fucile A. La Marmora. Nella guerra 1848-49 i Piemontesi avevano fucili a pietra e fucili a percussione, ma questi presero presto il predominio su quelli. Nel regno di Napoli i primi fucili di tal genere furono detti di modello 1845 e perfezionati nel 1850-1854. In Inghilterra apparvero regolamentari, nell'esercito, nel 1832; ma fu del 1853 il fucile Enfield, la cui introduzione nell'armamento delle truppe indiane cagionò la terribile rivolta dei sepoys nel 1857. In Francia il primo modello di fucile a percussione risale al 1834; nel 1838 furono armati con fucili di tal fatta, ma più leggieri, i soldati d'Africa; dopo il 1839 esso divenne comune. In Austria data dal 1842 e ve ne fu un modello regolamentare nel 1854.
La parte principale nel sistema a percussione è rappresentata dal cappellozzo o capsula (fr. amorce fulminante; sp. pistón; ted. Zündhütchen; ingl. percussion-cap). La sostanza deflagrante è composta di fulminato di mercurio mescolato con altri ingredienti (nitrato di potassio, o polverino finissimo, o salnitro e zolfo) per diminuirne gli effetti frangenti e la rapidità di decomposizione, ed è compressa nel fondo del cappellozzo, che è ordinariamente di rame.
L'acciarino a luminello consta essenzialmente delle seguenti parti (fig. 3): cane (C); luminello (L); acciarino propriamente detto, o cartella con l'apparecchio di scatto (A). Infine vi è il grilletto, che agisce sullo scatto per far abbattere il cane e dar fuoco alla carica. Il cane (C) è un martello girevole, destinato ad agire sulla capsula; ha un corpo a, una testa b e una cresta c, di solito striata. Nel corpo ha un foro per il passaggio dell'albero della noce che fa da perno. Il luminello (fr. cheminée; sp. chimenea; ted. Zundstift; ingl. nipple) è un tubetto (L) di acciaio fissato lateralmente e saldamente alla canna, che spunta dall'incassatura con una parte sottile sulla quale s'infila la capsula e sulla quale batte la testa del cane; il vano del tubetto è prolungato nell'interno della canna stessa fino alla camera, per portarvi la vampa del fulminato, e dare fuoco alla carica. Alla cartella (A) sono applicati gli ordigni dello scatto, che sono: il mollone m a due branche, fisso nel gomito alla cartella e che agisce da una parte sotto una tavola t, che fa contrasto con un intaglio del cane, dall'altra sopra un'appendice della noce; la noce n, cilindretto montato sullo stesso albero del cane con un'appendice di forma pressoché triangolare, la quale è premuta da una parte dal mollone m, e appoggia dall'altra o fa contrasto contro lo scatto s. Il contorno della noce da questa parte ha la tacca di scatto e talvolta una tacca di sicurezza; lo scatto s leva a fulcro centrale (in x); una delle estremità a becco è premuta contro il contorno con la tacca o con le tacche della noce, per azione di una molla y (molla dello scatto) e l'altra estremità è disposta al disopra del grilletto (indicato schematicamente in figura con la freccia y).
Per armare il cane si preme sulla cresta finché il becco dello scatto entra nella tacca della noce; per far scattare l'arma basta premere sul grilletto, il quale agendo nel senso della freccia y sull'estremità destra dello scatto, disimpegna l'altra estremità dalla tacca della noce, e questa, sollecitata dalla forza del mollone, è obbligata a girare e trascina seco il cane, che batte sul luminello innescato. Quando la noce, oltre alla tacca di scatto ha anche quella di sicurezza, questa ha profondità e tracciato tali, che il dente di scatto, una volta penetratovi, non può uscirne per effetto di pressione sul grilletto; e se la noce, accidentalmente, restasse libera, il cane è insufficientemente armato per colpire l'innesco con forza bastevole per determinare la deflagrazione. Il sistema descritto si dice ad acciarino francese o a pugnello; fu altresì assai diffuso un tipo di fucile ad acciarino inglese, nel quale il mollone, invece di essere disposto davanti all'asse di rotazione del cane, come nel sistema francese, era disposto dietro; ma le parti e il loro funzionamento sono poco dissimili.
Rigatura. - I primitivi fucili a canna liscia ad avancarica con proiettile sferico avevano, tra gli altri, tre grandi difetti: lentezza di caricamento, grande irregolarità di tiro a causa del cosiddetto vento (dovuto alla differenza fra calibro e diametro del proiettile) e gittate cortissime. Per attenuare questi inconvenienti si ricorse prima alla rigatura dritta (ideata, a quanto si dice, dal viennese Kaspar Zöllner nel secolo XV, ma che sembra risalga al secolo XIV) e poi a quella a elica, suggerita da Agostino Kotter nel sec. XVII.
Alla voce archibugio si fa cenno della rigatura delle armi portatili tentata fino dal 1400 in Italia. Si diffusero armi rigate in Assia nel 1631, in Baviera nel 1641. Federico il Grande ebbe alcune compagnie di scelti cacciatori armati di fucile con rigatura a elica poco maggiore dell'imboccatura della canna, che si spingeva a forza nella canna stessa con una bacchetta e a colpi di mazzuolo. Ma il caricamento riusciva lentissimo, sicchè al principio del sec. XIX le armi rigate erano quasi abbandonate.
Le prime proposte per nuove soluzioni risalgono al 1827 e furono fatte da G. Delvigne. Egli praticò nel fondo della canna una camera di diametro minore di quello della canna (o calibro dell'arma) e di capacità un poco maggiore del volume della polvere, e fece il diametro della palla dì poco minore del calibro, cosicché andava in fondo alla canna senza sforzo; laggiù essa si appoggiava al risalto che divideva la camera della polvere dall'anima (fig. 4, 1) e bastavano pochi colpi di bacchetta per forzarla nelle righe.
Nel 1836 Pontcharra unì al proiettile un tacco sagomato. Nel 1844 il colonnello d'artiglieria francese Thouvenin ricorse, per ottenere la dilatazione del proiettile, allo stelo. Era questo un piccolo fusto (fig. 4, 2), avvitato verticalmente nel fondo della camera; era investito dalla polvere e la oltrepassava; sopra la polvere era spinta e battuta fortemente con la bacchetta la palla di piombo di forma speciale a ogiva; lo stelo, penetrando in essa, la faceva allargare, ed essa era poi, dall'esplosione della carica, spinta a forzamento lungo la canna rigata. Successivamente lo stesso effetto fu ottenuto col proiettile Minié, col quale la penetrazione del proiettile nelle righe fu effetto dell'azione dei gas prodotti dalla stessa carica esplodente. C.-E. Minié propose un proiettile cilindro-ogivale, che aveva nella parte posteriore un incavo di forma tronco-conica, in cui era introdotto un piccolo tacco, pure tronco-conico, di ferro (fig. 4, 3). All'atto dello sparo il tacco era spinto dalla forza dei gas nell'interno della cavità e faceva dilatare la palla, come appunto si voleva ottenere. Questo fucile fu adottato dall'esercito russo; poco dopo il belga Peeters modificò leggermente la pallottola Minié in modo che si potesse dilatare sotto l'effetto dei gas, senza bisogno del tacco di ferro (fig. 4, 4); e un fucile di tale specie fu adottato dal Piemonte nel 1856 per i bersaglieri.
Altri proiettili con cavità posteriore (a espansione) furono ideati da Lorenz e da Nessler (palla cilindro-sferica, deformabile automaticamente, v. fig. 4, 5); mentre tipi di proiettili oblunghi con scanalature periferiche si dovettero a Thamisier, Charrin. Frattanto i fucili subivano perfezionamenti nella fabbricazione. In Italia, verso il 1856, si ridusse il calibro da 17-18 mm. a 11 mm. e si adottò la palla tipo Nessler anche per il fucile a canna liscia. Questo armamento fu conservato in servizio nell'esercito piemontese sino all'adozione dei fucili a retrocarica.
Retrocarica. - La retrocarica delle armi da fuoco, portatili e non portatili, fu il più notevole progresso nella costituzione delle armi dei tempi moderni. Con l'adozione dei proiettili a espansione, il tiro, pur lasciando ancora desiderare in precisione, radenza e gittata, riusciva soddisfacente per quei tempi ma eccessivamente lento per le numerose operazioni richieste dal caricamento per la bocca della canna. È da notare che le prime armi da fuoco erano caricate dalla culatta, e che poi venne adottata l'avancarica specialmente per le armi portatili. Tentativi di ripristinare la retrocarica si continuarono a fare per tutto il sec. XVI non solo per rendere più sbrigativo il caricamento, ma anche per dare il necessario complemento alla rigatura, ottenendo un più completo e regolare forzamento del proiettile, il suo esatto centramento, e una riduzione ulteriore dei calibri. Tra i precursori si ricordano G. Bossi, romano (1606), il maresciallo d'Arcy (1777), Moser e David (1831). Nel 1832 Lefancheux costruì un fucile a retrocarica con due cani, più adatto peraltro per la caccia che per la guerra, in quanto poco robusto. Invece N. Dreyse, nel 1836, riuscì a collegare l'innesco per l'accensione della carica con la cartuccia, realizzando il fucile ad ago.
Il meccanismo di scatto del fucile Dreyse (fig. 5) è disposto in prolungamento della canna e consta essenzialmente di tre cilindri cavi, compenetranti l'uno nell'altro, e dei quali l'esteriore (detto culatta mobile) è avvitato alla parte posteriore della canna e presenta speciali aperture che servono di guida allo scorrimento delle altre parti del meccanismo. I due cilindri interni si chiamano otturatore b e tubetto c; e scorrono lungo la culatta. L'otturatore è un tubo aperto alle due estremità, di cui la parte anteriore termina a superficie tronco-conica, destinata a calettarsi alla corrispondente superficie della canna. Il tubetto entra nell'otturatore e contiene a sua volta lo stelo con l'ago e la molla a spirale. Trovandosi l'otturatore con l'ago (o spillo) disarmato, per caricare e armare l'arma si tira indietro il tubetto (agendo col pollice sul nasello e premendo su apposita molla) fino a corsa completa retrograda (limitata da risalti); si rialza il manubrio e si tira indietro l'otturatore; s'introduce la cartuccia; si spinge avanti l'otturatore e si abbatte con forza il manubrio a destra, per ottenere il contatto perfetto con la canna; si arma la molla a spirale spingendo avanti il tubetto; si punta e si preme sul grilletto. L'infiammazione della carica avviene per mezzo dell'ago fissato allo stelo, che, spinto fuori dalla molla a spirale, attraversa la polvere e perfora o percuote l'innesco d, assicurato a un tacco di cartapesta compressa, che avvolge e afferra la parte posteriore della pallottola ogivale.
Il fucile ad ago Dreyse, in dotazione all'esercito prussiano dal 1841, fece la prima prova nella campagna di Danimarca e di Boemia e il felice esito di quest'arma indusse gli stati europei, dopo Sadowa, ad adottare la retrocarica trasformando in genere i fucili già in distribuzione e applicandovi otturatori a blocco o a cilindro. Questi ultimi si dimostrarono migliori dei primi, di modo che oggi, perfezionati, sono universalmente in uso. Erano fucili con otturatore a blocco, lo Snider detto a tabacchiera, il Wanzl e l'Albini detti a rovesciamento; il Werndl a barile, il Remington a rotazione retrograda, il Martini a bilancia; a questi seguirono gli otturatori a cilindro scorrevoli o scorrevoli e girevoli, tipo Drais, Chassepot, Carcano, Mannlicher, Vetterli, Rubin, Schmidt, Mosin, Lebel, Murata, Lee-Metford, ecc.
Dati i calibri dei fucili, i proiettili cilindro-ogivali avevano un peso eccessivo (in media gr. 40) perciò, allo scopo di non diminuire di troppo la velocità iniziale, si dovette aumentare la carica di proiezione, ma siccome la forza di rinculo (r) sta in ragione diretta del peso (p) e della velocità (v) del proiettile (r = pv), l'urto prodotto dal rinculo risultò troppo forte. Il rimedio più adatto doveva essere quello della riduzione dei calibri che consentendo di diminuire il peso della cartuccia dava modo anche di soddisfare gli oppositori della retrocarica, preoccupati del consumo delle munizioni.
Giova ora distinguere i più importanti tipi di fucili moderni, e la più recente evoluzione delle principali loro specie. Essi possono dividersi in tre gruppi: fucili da guerra, fucili da caccia, fucili speciali.
Fucili da guerra. - Per la prima volta nel 1844 si videro fucili di piccolo calibro al tiro federale di Basilea. Essi avevano il calibro di mm. 10.4 e i proiettili pesavano 20 grammi. Il dubbio però che dette armi fossero troppo delicate e producessero ferite leggiere fu per qualche tempo di ostacolo alla riduzione dei calibri; e via via, nel corso degli anni, le successive più ardite riduzioni trovarono forti oppositori. Dal 1853 al 1870 quasi tutti gli eserciti europei furono armati con fucili di calibro compreso tra i mm. 15 e 10,35. Contemporaneamente a questa, un'altra innovazione non meno importante subirono le cartucce e cioè la sostituzione dell'involucro di carta con un bossolo metallico che favorì la perfetta chiusura della culatta e l'uso d'innesco posteriore tipo Flobert.
La retrocarica aveva risolto in modo soddisfacente il problema relativo alla celerità di tiro (che gli antichi tentarono di ottenere con le armi a più canne, di cui s'intuiscono i difetti e gl'inconvenienti) ma la crescente importanza del fuoco nel combattimento, facendo sentire il bisogno di maggiore rapidità di tiro, indusse il colonnello Colt, nel 1837, a munire le armi portatili di serbatoi in forma di cilindri rotanti, i quali però non risultarono pratici per i fucili e trovarono invece adatta applicazione alle pistole (pistole a rotazione o revolver). Più tardi, coltivando l'idea dei serbatoi, Henry applicò sotto la canna, nel fusto della cassa, un serbatoio tubolare e Spencer ricavò un alloggiamento per cartucce nel calcio.
La rigatura, i proiettili oblunghi, il loro forzamento nelle righe, la riduzione dei calibri, la retrocarica con otturatori cilindrici e le cartucce a bossolo metallico avevano migliorato notevolmente le qualità meccaniche e aumentati i pregi balistici dei fucili; ma l'adozione della ripetizione procedette con molta titubanza sia perché la soluzione tecnica non dava garanzia di regolare funzionamento, sia per le preoccupazioni relative al munizionamento e alla disciplina del fuoco. Dopo la guerra russo-turca (1877-78) dove, nella difesa di Plewna, la carabina a ripetizione Winchester con serbatoio nel fusto, adoperata dai Turchi, aveva dimostrata una grande superiorità sul fucile russo a un colpo, la ripetizione ebbe un notevole impulso e si affermò coi serbatoi centrali. Questi serbatoi furono dapprima a caricamento successivo e in un secondo tempo a caricamento multiplo mediante appositi caricatori, ideati dagli Americani, che consentirono un tiro a ripetizione prolungato con brevissime interruzioni per il ricaricamento dei serbatoi. La possibilità del tiro prolungato fu agevolata con l'adozione delle polveri senza fumo, mentre la vecchia polvere nera, col fumo denso e persistente, impediva in un tiro celere di scorgere il bersaglio. La ripetizione è stata altresì favorita da una ulteriore riduzione dei calibri la quale determinando un alleggerimento delle cartucce consentì di accrescerne la dotazione individuale. Questa nuova e - come già si disse, - ardita diminuzione dei calibri, trovò forte ostacolo perché si contestò l'efficacia dei proiettili di piccolo diametro, proiettili che ebbero perfino l'appellativo di umanitarî. I calibri si stabilizzarono negli ultimi anni del secolo scorso, tra i mm. 8 e i mm. 6,5. Tentativi di maggior riduzione s'infransero e per la difficoltà di lavorazione delle canne e per quelle inerenti alla risoluzione del problema balistico (velocità, peso del proiettile, sua stabilità, sua deformazione. ecc.). Gli Stati Uniti adottarono però una carabina per la marina, con un calibro di mm. 6, che lancia una pallottola del peso di gr. 7,26.
Nella corsa al progresso delle armi, sospinti dal bisogno di soverchiare il nemico col fuoco sul campo di battaglia per rendere possibile l'avvicinamento, l'attacco e l'assalto, anche le armi a ripetizione ordinaria (fig. 6), che pur consentono una buona celerità di tiro, non si ritennero più sufficienti. Ed ecco i tecnici rivolgere la loro attenzione allo sfruttamento dei gas che si sprigionano con l'accensione dell'esplosivo di lancio, per far compiere automaticamente i movimenti dei congegni di caricamento, scatto, percussione, estrazione ed espulsione del bossolo, così da avere un tiro rapido e ininterrotto per una serie di diversi colpi secondo la capacità dei serbatoi o dei caricatori (vedi IV, p. 510). Su questa via si misero H. Maxim, M. Falta, G. Freddi, il Cei, il Mondragon e altri verso la fine del secolo scorso, ma i primi fucili automatici, e anche quelli studiati poco prima della guerra mondiale, risultarono sensibilmente complicati e di funzionamento non sicuro; perciò non furono adottati, ben prevedendosi gl'inconvenienti che sarebbero derivati dal loro uso su vasta scala in guerra coi conseguenti danni d'ordine materiale e morale. I fucili automatici (fig. 8), in quest'ultimo decennio, hanno subito notevoli miglioramenti così da ottenere semplificazioni nei congegni e garanzia di regolarità di funzionamento anche nelle condizioni meno favorevoli, quali sono quelle del combattimento per l'inevitabile minor cura dell'arma e per l'orgasmo di chi la usa. I fucili automatici sono già adottati per l'armamento di taluni corpi speciali o di soldati specialisti. Non è improbabile che, superato qualche dubbio tuttora esistente circa il loro effettivo rendimento e trovato il modo di assicurare il rifornimento delle munizioni anche nella guerra di movimento, dette armi - e più probabilmente i moschetti automatici dato che il minor peso consentirebbe l'aumento della dotazione individuale di cartucce - vengano distribuiti a tutti i fanti. Le principali nazioni hanno ormai definito il fucile o moschetto automatico da adottare e distribuire non appena se ne presenterà la necessità o l'opportunità. Su queste armi si mantiene una certa riservatezza e continuano studî ed esperimenti intesi a conseguire una maggiore perfezione.
Fucile mitragliatore (detto anche fucile mitragliere). - È così denominato perché ha in parte le caratteristiche dei fucili e in parte quelle delle mitragliatrici; comparve quando le mitragliatrici erano tutte del tipo pesante e i fucili automatici troppo imperfetti e rappresentò un compromesso tra le prime e i secondi. Viene annoverato tra le armi collettive o di reparto; dovrebbe essere l'arma tipica della cellula del combattimento, cioè del gruppo. In definitiva si può considerare come un pesante fucile automatico che consente il tiro a mitragliera e che viene adoperato da un solo uomo con l'ausilio di un sostegno anteriore comunemente rappresentato da una leggiera forcella. Uno dei primi fucili mitragliatori maggiormente apprezzato in Europa, fu il Madsen (fig. 9, 2) detto anche Rexer, e che venne adottato da diversi stati. Il suo peso variava tra kg. 7.500 e 8.500 secondo il calibro. Altri, pure buoni, furono il fucile mitragliatore degli Stati Uniti Benet-Mercié mod. 1909 e il fucile mitragliatore Lewis. Poco prima che scoppiasse la conflagrazione europea, la Francia aveva sperimentato un fucile mitragliatore ideato dal colonnello Chauchat (fig. 9, 1), di 8 mm. di calibro e del peso di kg. 9, e poiché durante la cruentissima lotta s'impose la rarefazione dei reparti e l'aumento del volume di fuoco, non solo i Francesi, ma quasi tutti gli alleati, in attesa dell'allestimento delle mitragliatrici leggiere o ad integrazione delle medesime, adoperarono anche il fucile mitragliatore Chauchat che diede risultati soddisfacenti. Assai dibattuta è tuttora la questione relativa alla preferenza da darsi al fucile mitragliatore o alla mitragliatrice leggiera, ma è da prevedersi che in una futura guerra molto probabilmente troveranno posto l'uno e l'altra. Per i fucili mitragliatori non si richiede una lunga gittata ma peso limitato, discreta celerità di fuoco, possibilità del tiro colpo per colpo e continuo, sufficiente precisione e attitudine all'esecuzione di raffiche di fuoco senza che ne derivi un'usura valutabile. La Francia nel 1924 ha sperimentato il fucile mitragliatore ideato dal colonnello Reibel della fabbrica d'armi di Châtellerault. Pesa circa 9 kg., ha il calibro di mm. 7.5 e il caricatore della capacità di 25 cartucce. La Svizzera nel 1925 ha adottato il fucile mitragliatore Furrer del peso di quasi 10 kg. compreso il serbatoio carico di 30 cartucce; ha il calibro di mm. 7.5. La Russia ha già distribuito alle compagnie cacciatori il fucile mitragliatore Federov, molto leggiero, di calibro 6.5 e con caricatore capace di 25 cartucce.
Fucile antitanks. - La comparsa sul campo di battaglia dei carri d'assalto (tanks) ha reso necessario l'impiego di mezzi speciali per neutralizzare la loro azione, tra questi vi è il fucile antitanks ideato e adoperato dalla Germania. Ha una potenzialità di molto superiore agli altri fucili perché lancia una grossa pallottola perforante o perforante esplodente, capace di attraversare la corazzatura dei carri. Il fucile pesa kg. 16, il calibro è di mm. 13 ed ha un alzo graduato sino a 5 ettometri.
Fucili da caccia. - Si classificano in fucili da caccia comune e in fucili da caccia grossa. I primi differiscono sensibilmente dai secondi i quali hanno le stesse caratteristiche dei fucili da guerra. Parallelamente a questi i fucili da caccia si sono trasformati dal tipo ad avancarica in quello a retrocarica, non solo per la maggiore celerità e praticità del caricamento, ma principalmente per conseguire effetti più regolari, maggior sicurezza d'impiego, facilità di conservazione delle canne, perché più agevole ne è la pulitura, e anche maggior potenza balistica per la possibilitȧ di usare gli esplosivi chimici nitro-composti. Il primo fucile da caccia a retrocarica può ritenersi sia quello ideato dal francese Lefaucheux.
I fucili da caccia comune hanno generalmente due canne non rigate e di spessore limitato ma resistenti perché di ottimo acciaio (per lo più al nichelio). L'anima non è totalmente cilindrica; in prossimità della bocca va restringendosi (strozzatura) allo scopo di avere una rosa di tiro più piccola. I calibri principali sono: 12, 14, 16, 20, 24, 28, 32, 36. Queste indicazioni non corrispondono a quelle dei fucili da guerra per i quali il numero si riferisce alla lunghezza in mm. del diametro dell'anima, bensì al numero delle pallottole sferiche che si potrebbero ricavare per quel dato fucile da una libbra di piombo. Il calibro più comune è il 12, quelli dal 20 in poi servono solo per la caccia agli uccelletti. I fucili di calibro 4-8-10 prendono più propriamente il nome di spingarde. Il peso del fucile da caccia varia in relazione ai calibri e al materiale; in genere il fucile di calibro 12 pesa poco più di 3 kg. e il calibro 16 circa kg. 2.800. Le canne hanno una lunghezza che va dai cm. 65 ai cm. 75. Con le canne corte si ottiene una rosa di tiro più grande, quindi meno compatta, e i pallini hanno minor velocità iniziale. Il primo inconveniente viene però ridotto mercé una strozzatura più accentuata, il secondo è in pratica trascurabile ma può comunque essere corretto variando il dosamento della cartuccia (maggior quantità di esplosivo; diminuzione dei pallini).
I fucili a retrocarica erano dapprima a percussione verticale e le relative cartucce avevano uno spillo sporgente (percuotitoio) perciò di scarsa sicurezza specialmente nei trasporti; oggi sono a percussione centrale. Importanti per la praticità d'impiego, la sicurezza dei tiratori e la durata dell'arma, sono i congegni di chiusura. Il vecchio sistema inglese (a catenaccio) è ormai abbandonato; presentemente i sistemi di chiusura più in uso sono: il sistema Greener con perno quadro (fig. 10, 3), e quello Purdey, più moderno e maggiormente preferito; entrambi sono automatici e provvisti altresì di estrattore pure a funzionamento automatico. I congegni di percussione sono di due specie: con cani esterni o con cani interni. Questi ultimi (detti hammerless) alla loro volta sono di due tipi: a mezza piastra, tipo Anson e Deeley; a piastra intera, tipo Holland-Holland. Per il puntamento, i fucili da caccia comune hanno generalmente il solo mirino situato in volata e la mira è facilitata da quella specie di doccia (bindella) che risulta tra le due canne; nei fucili da caccia grossa, oltre al mirino, vi è una tacca di mira.
I fucili moderni hanno pure un congegno di sicurezza per evitare gli spari fortuiti.
Si fabbricano anche fucili a tre canne, a doppio uso; le due canne superiori, che sono affiancate, per la caccia comune; la canna inferiore rigata, per la caccia grossa; sono però poco usati e invece, specie dai cacciatori di Africa, sono preferiti i fucili a due canne disposte una sotto l'altra, una rigata e l'altra liscia. Vi sono fucili a 4 canne ma sono poco pratici. L'unione delle canne alle casse è fatta generalmente a snodo nei fucili da caccia comune i quali sono anche più o meno decorati esternamente con rabescature.
Oltre ai fucili a caricamento ordinario vi sono quelli a ripetizione, con serbatoio per le cartucce e quelli automatici, e sono più adatti per la caccia grossa che per la caccia comune. È buona regola, nei fucili da caccia comune, usare cartucce i cui pallini non superino complessivamente la millesima parte del peso dell'arma e ciò per evitare a questa un eccessivo tormento e mantenere la forza di rinculo in limiti tali da non stancare il tiratore.
Fucili speciali. - La genialità dei fabbricanti di armi si è sbizzarrita nell'ideare e costruire fucili con speciali caratteristiche tra cui quelli ad aria compressa, a gas, ad accensione elettrica, ecc.; armi in genere più adatte per il tiro al bersaglio che per il tiro di guerra e dette per questo armi da sala o da giardino. Ricordiamo il fucile ad aria costruito da Guter di Norimberga nel 1560, che ha un serbatoio ove viene compressa l'aria mediante congegno pneumatico. La rapida dilatazione dell'aria dà la forza di proiezione alla pallottola. Questo fucile, migliorato nel sec. XVII, fu per qualche tempo adoperato in guerra dall'Austria; ora il fucile ad aria serve solo per il tiro a segno. Nel 1915 la Svezia adottò per gli esercizî di tiro dei fanti un fucile che utilizza come elemento propulsore l'acido carbonico immagazzinato in apposito serbatoio. Il fucile ad accensione elettrica riuscendo troppo complicato non ebbe successo. Taluni fucili sono muniti di particolari congegni per renderli adatti al lancio delle bombe sino a 200-300 m.; altri portano in luogo dell'alzo la mira a cannocchiale per ottenere un puntamento molto esatto e furono adoperati anche nella guerra mondiale montati su speciali sostegni per battere, con la certezza di colpire nel segno, punti di obbligato passaggio, osservatorî, ecc. Vi sono fucili o carabine per tiro a segno, provvisti di piccola diottra per il puntamento di precisione.
Cenni sulla fabbricazione. - Grande importanza hanno nella fabbricazione delle armi: la qualità delle materie prime impiegate e particolarmente dell'acciaio, gli speciali trattamenti termici e meccanici, i collaudi. Le canne si ottengono con la trapanazione e tornitura delle sbarre di acciaio (acciai binarî o ternarî al nichelio, al wolframio, al vanadio, ecc.). Dopo la trapanatura si pratica la rigatura. Le parti più importanti dei congegni di otturazione si abbozzano per lo più a stampo, poi si riducono e si completano con apposite macchine, indi si temprano a pacchetto o a cartoccio se di ferro, con doppia cementazione (carburazione) là dove occorre un maggiore indurimento. Le parti di acciaio generalmente si temprano alla volata. Le molle sono fatte con acciai speciali al silicio o al tungsteno poi temprate e rinvenute di tempra. Le operazioni inerenti alla tempra sono particolarmente importanti.
Per preservare dalla ruggine le parti metalliche esterne e per togliere la lucentezza che rifrangendo i raggi solari renderebbe più difficile l'occultamento delle truppe in combattimento, si ricorre all'abbrunatura delle canne, culatte mobili, serbatoi e alla coloritura dei fornimenti. Per l'abbrunatura vi sono due sistemi: a) sistema chimico; b) sistema elettrolitico. L'abbrunatura col sistema chimico si ottiene adoperando miscele varie. Gli stabilimenti militari dànno la preferenza a vernici ossidanti composte di spirito di vino, acido nitrico, acido solforico, cloruro di ferro, solfato di rame, acqua distillata. Le parti da abbrunare vengono diligentemente digrassate facendole bollire in acqua e soda e strofinandole poi con stracci e calce; si spalmano quindi con la vernice e si mettono in apposite casse metalliche di riscaldamento (temperatura da 40 a 45 gradi) dove si inietta del vapore acqueo che favorisce l'ossidazione in forma di lanugine e che viene poi asportata strigliando con speciali spazzole (cardi metallici). Questa operazione si ripete varie volte a seconda del grado di finitura che si vuole ottenere. Ultimata l'abbrunatura s'immergono le parti nell'olio per circa mezz'ora. Il sistema elettrolitico consiste nel digrassare le parti da abbrunare e immergerle poi, disposte su apposito telaio, in una vasca contenente una soluzione satura di soda caustica bollente e facendo passare una corrente elettrica continua con un polo applicato alla vasca e uno al telaio. Dopo tre minuti s'inverte la corrente per 10 minuti e si ripete questo per due o tre volte. Ottenuta così l'abbrunatura, le parti si sciacquano e quando sono asciutte s'immergono per mezz'ora nell'olio, alla temperatura di 180°. La coloritura si ottiene col mettere le parti, convenientemente digrassate, nella carbonella accesa fino a che hanno acquistato il colore violetto (circa 30 minuti), quindi s'immergono nell'olio.
Le casse dei fucili si ricavano, con le macchine cosiddette a copiare, dalle aste di legno duro (preferibilmente noce o frassino) che abbiano subito il trattamento della liscivazione e siano convenientemente essiccate e stagionate, operazioni queste che servono a preservare il legno dal tarlo e a conferire alle casse una più lunga resistenza. La liscivazione consiste nel sottoporre il legno, per alcune ore, all'azione del vapore entro speciali autoclavi, e l'essiccazione si ottiene lasciandolo per più di un mese in camere a temperatura alquanto elevata (circa 35°).
Collaudi. - Sono indispensabili e vengono eseguiti da scelte maestranze alle singole parti e poi ai fucili dopo il montaggio, impiegando determinati strumenti verificatori che rivelano se si è nei limiti di tolleranza necessarî per un buon funzionamento. Operazione importante è pure quella della livellatura delle canne. I fucili prima dell'uso vengono sottoposti alla prova di resistenza adoperando cartucce con carica superiore alla normale. Sebbene i segni di mira subiscano un particolare collaudo, per le armi da guerra si suole eseguire anche una prova di tiro di esattezza con un certo numero d'armi per ogni partita e sulle quali viene quindi inciso uno speciale contrassegno. Le parti d'armi debbono essere permutabili; ciò esige una maggiore accuratezza nella lavorazione e limiti di tolleranza molto piccoli.