FREGIO (dal lat. [opus] phrygium "lavoro frigio, ricamo"; fr. frise; sp. friso; ted. Fries; ingl. frieze)
In architettura si chiama fregio in generale qualunque zona decorativa avente andamento prevalentemente orizzontale; in particolare, nella trabeazione degli ordini classici (v.), la parte compresa fra l'architrave e la cornice, e per analogia, in porte, finestre, camini e simili sormontati da una cornice di coronamento, la fascia interposta fra questa e la riquadratura. Si dà lo stesso nome a quella fascia anulare, spesso decorata, compresa fra il collarino e l'echino del capitello dorico romano e il giro d'ovoli dello ionico.
Nel primo significato generico il fregio è un elemento comune all'arte di tutti i tempi, poiché presso tutti i popoli, fin dalle civiltà più antiche, fu di uso corrente il disporre composizioni decorative lungo le pareti degli edifici. Per quanto riguarda i procedimenti, i principî e le forme, comuni naturalmente anche ad altri tipi di decorazione, vedi questa voce. Il principale carattere per il quale il fregio si distingue da altre composizioni decorative è, come si è detto, lo sviluppo allungato, in genere, orizzontalmente; questo fa sì che esso risulti particolarmente adatto allo svolgersi di composizioni ritmiche di elementi ripetuti (geometrici o comunque inanimati) e figurativi (scene, cicli narrativi). Ricordiamo come esempî delle prime i fregi a motivi geometrici cari ai popoli orientali, specialmente ai musulmani, i motivi vegetali ellenistico-romani e quelli caratteristici dei cosmateschi; fra le composizioni figurative, i bassorilievi greci e romani (fregio del Partenone, dell'ara di Pergamo, dell'Ara Pacis), i mosaici e gli affreschi delle chiese cristiane di tutte le epoche, i moderni fregi usati a decorare interni di carattere monumentale (fregio di A. Sartorio nell'aula del nuovo palazzo del Parlamento a Roma).
Come parte di trabeazione il fregio presenta forme e proporzioni varie secondo l'ordine a cui appartiene. La sua struttura fu pure diversa a seconda dell'importanza decorativa e della funzione costruttiva a cui era riservato. Così, ad es., quando si trattò di fregi scolpiti, si usarono a preferenza lastre di rivestimento collegate mediante grappe metalliche al resto della costruzione. Nell'architettura romana (tempio dei Dioscuri al Foro Romano), e poi in quella medievale (portico di S. Lorenzo in Lucina a Roma) si diede talora al fregio una speciale struttura a piattabande impostate su pulvini in corrispondenza delle colonne, in modo da liberare l'architrave sottostante dal peso della restante copertura (v. architrave).
Il fregio dorico, detto anche triglifo, è la parte più caratteristica dell'ordine, del quale riprodurrebbe secondo Vitruvio (IV, 2) le forme lignee originarie. Esso consta di una serie di spazi rettangolari, d'ordinario presso che quadrati, metope (v.), separate da elementi più stretti e sporgenti, scanalati verticalmente, triglifi (v.). I triglifi rappresenterebbero le testate delle travi appoggiate all'epistilio, o meglio il loro rivestimento decorativo, le metope gli spazî compresi tra di esse. Però nei fregi di pietra la struttura non corrispondeva, anche nei monumenti più antichi, alle forme decorative; infatti metope e triglifi, invece di mantenersi elementi distinti, furono spesso ricavati dal medesimo blocco (metroon di Olimpia) e i triglifi si ridussero anche a semplici lastre incastrate nei blocchi delle metope (tempio di Cerere a Pesto). Sotto il coronamento dell'epistilio, in corrispondenza a ogni triglifo, vi erano sei gocce (guttae) di forma conica, oppure cilindrica (tempio C di Selinunte) pendenti da uno stretto listello (regula). Quando le metope avevano una decorazione, questa poteva essere limitata alle due facciate principali dei templi (templi C ed S di Selinunte), oppure estendersi anche ai fianchi, sia completamente (Partenone), sia limitandosi alle metope più vicine al prospetto (Theseion ad Atene), ma in molti edifici religiosi e in genere negli edifici civili le metope restarono lisce. In alcune di esse furono notate tracce di una colorazione rossa, o anche azzurra, che forse serviva di fondo a una decorazione dipinta. Le metope di terracotta recavano anch'esse una decorazione dipinta (Thermos) o a rilievo (Megara Iblea). Secondo Vitruvio (IV, 3) il fregio dorico era alto un modulo e mezzo, le metope erano quadrate, i triglifi larghi un modulo. In realtà l'altezza del fregio dipendeva da quella dell'intera trabeazione, e, in relazione alle colonne, nei templi più antichi era molto maggiore che nei recenti.
La distribuzione dei triglifi variò dagli esempî più arcaici, ove si ha un triglifo in corrispondenza di ciascuna colonna, a quelli dell'età ellenistica, ove si hanno varî triglifi per ciascun intercolunnio. Speciali criterî si adottarono per gli angoli degli edifici (v. ordini architettonici). Il triglifo si trovava abitualmente solo all'esterno delle trabeazioni; all'interno era sostituito da una membratura liscia terminante per lo più con una modanatura a becco di civetta, che si ripeteva intorno alla cella dei templi peripteri, sostituita talvolta su uno o ambedue i vestiboli dal fregio a metope e triglifi. Nei colonnati interni della cella il fregio mancava. Quando un edificio non era completamente circondato da colonnati il fregio poteva continuare come coronamento alle pareti di esso (tesoro degli Ateniesi a Delfi). Nel tesoro di Megara, a Olimpia, al fregio dorico delle fronti faceva seguito sui lati un fregio ionico continuo.
Il fregio architettonico a metope e triglifi fu noto agli Etruschi, come dimostrano le facciate delle tombe rupestri di Norchia; fu usato del resto spesso come decorazione, alterato, avendo per esempio le gocce anche al disopra dei triglifi. Probabilmente esso diede origine alla caratteristica decorazione a pilastrini scanalati intramezzati da patere, rosoni o scudi, frequente sui sarcofagi e che si trova anche nelle architetture (Porta d'Augusto a Perugia).
I Romani impiegarono poco il fregio dorico e lo modificarono con molta libertà: nei piccoli propilei a Eleusi, p. es., fasci di spighe e ciste sacre erano sovrapposte ai triglifi. Nel teatro di Arles triglifi e metope decoravano un'architrave su pilastri toscani, a cui era sovrapposto un fregio continuo con volute vegetali.
Il triglifo venne anche usato a decorare parapetti di fontane (Corinto), altari (Siracusa), sarcofagi (sarcofago di Scipione Barbato, a Roma), podî (tempio della Fortuna Prenestina); inoltre in età ellenistica e romana venne adoperato anche su colonne ioniche (portico di Eumene II a Pergamo) e corinzie (arco d'Aosta), il che viene ammesso da Vitruvio (IV, 1).
Negli altri ordini il fregio non è suddiviso: nello ionico si estende in una fascia continua fra l'architrave e la cornice. Esso non era come il dorico un elemento essenziale della trabeazione, e infatti negli edifici ionici dell'Asia Minore, fino al sec. IV a. C., una serie di dentelli (γεισήποδες) faceva immediatamente seguito all'architrave, in evidente analogia coi monumenti funerarî della Licia, che avevano conservato le forme della primitiva tecnica del legno. I dentelli, in modo simile ai triglifi, raffiguravano l'estremità dei travicelli di copertura; del resto Vitruvio (III, 6) dà anche il nome di μετόπη all'intervallo tra di essi. In Grecia invece, già nel sec. VI a. C., i tesori dei Sifnî, degli Cnidí. dei Massalioti, a Delfi, presentano al posto dei dentelli il fregio; quando poi lo stile ionico cominciò a sostituire il dorico, il fregio divenne un elemento quasi costante della trabeazione (colonnato interno del tempio di Apollo a Basse, Eretteo e tempietto di Nike Aptera sull'Acropoli) e comparve in seguito anche in Asia Minore, talvolta in unione coi dentelli (Artemisio di Magnesia, Didimeo presso Mileto), i quali passarono a far parte della cornice, separati dal fregio dalla modanatura (cymatium zophori) che lo terminava superiormente. L'origine del fregio ionico si deve forse ricercare nelle decorazioni che coronavano i muri del megaron miceneo; documenterebbe questa derivazione il fregio che si svolgeva sull'epistilio del tempio arcaico A a Priniàs (Creta). In ogni caso non deve esser stata estranea l'influenza dell'Oriente, che sempre predilesse la decorazione a fasce orizzontali, tanto che un prototipo del fregio ionico si trova nel tempio dorico di Asso, nella Troade, che aveva, con disposizione eccezionale, l'architrave adorno di un fregio continuo, figurato. L'altezza del fregio ionico, secondoVitruvio (III, 6), doveva essere di 1/7 (o 1/4, come alcuni interpretano) minore di quella dell'architrave, ma, se vi era una decorazione figurata, maggiore di 1/7, di questa. La decorazione era molto varia: fino all'etȧ classica prevalsero le scene figurate; nel periodo alessandrino si preferirono ornati vegetali (volute, festoni, ecc.) e ornati simbolici appropriati al carattere del monumento (attributi e oggetti sacri, emblemi di divinità, ecc.). Il fregio ionico fu detto cosmoforo (κοσμοϕόρος) quando portava una decorazione puramente ornamentale, zoforo (ζοῳϕόρος, zophorus) quando recava figure. Questo nome si estese anche al fregio liscio.
L'ordine corinzio, derivazione dello ionico (raramente usato dai Greci e preferito invece dai Romani), adottò fin da principio il fregio senza mutarne forme e proporzioni. In esso più frequenti delle figure erano gli ornati di tipo vegetale o motivi suggeriti dalla destinazione dell'edificio (nei templi, oggetti rituali). Molto spesso il fregio corinzio si mantenne liscio, specialmente in buona epoca, quando l'architrave era decorato. Su di esso potevano essere scolpite scritte dedicatorie, che talvolta trovavano posto su targhe invadenti anche l'architrave (portico d'Ottavia).
L'ordine toscano si presenta presso i Romani privo di fregio (Albano) o con un fregio liscio continuo (ordine inferiore del Colosseo).
Un tipo che si diffuse nell'architettura romana degli ultimi secoli, e più ancora in quella del Rinascimento e del Barocco, è il fregio a profilo curvilineo; lo si trova per la prima volta nella tholos di Epidauro (secondo alcuni si tratta di un rifacimento); mentre il primo esempio a Roma è del sec. II d. C., nell'Adrianeo (ora Borsa). Il profilo poteva avere la forma di una gola schiacciata o di un largo toro, ed essere liscio o decorato con foglie erette (Salonicco), volute (arco degli Argentari, a Roma) o foglie imbricate che gli davano l'aspetto di un lungo festone (Spalato). Nell'ultimo ordine del Colosseo il fregio è occupato da mensole che reggono la cornice con una disposizione usata poi nei cornicioni del Rinascimento (v. cornice).
Le architetture medievali abbandonarono in genere le forme classiche; solo nel periodo romanico, per opera dei marmorarî romani, si usarono trabeazioni accostantisi più o meno ai tipi antichi, tanto negli ordini architravati all'interno o nei portici delle chiese, quanto nei chiostri, al di sopra delle arcate. La decorazione era a motivi vegetali, a mosaico (interno di S. Maria Maggiore), o geometrici, a mosaici e lastre policrome di marmi antichi (chiostro di S. Paolo fuori le Mura). Il Rinascimento riprese gli ordini classici con le loro antiche forme e proporzioni. Al fregio a metope e triglifi, non molto frequente, si sostituì volentieri un fregio liscio e continuo. Anche nell'ordine ionico e nel corinzio il fregio rimase per lo più senza decorazioni, mentre recò sovente delle scritte. Per le speciali forme che esso ebbe allora e nei secoli seguenti nei cornicioni degli edifici monumentali v. cornice. Durante il sec. XIX e ai nostri giorni il fregio ha seguito le sorti degli altri elementi dell'architettura classica. (V. tavv. XIII-XVIII).
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