PIZARRO, Francisco
Famosissimo conquistador spagnolo della prima metà del sec. XVI, il cui nome è indissolubilmente legato al ricordo di una delle imprese più temerarie delle conquiste spagnole in America. F. P. nacque a Trujillo in Estremadura circa il 1475. Poco si sa della sua infanzia e gioventù: figlio naturale di Gonzalo Pizarro, che combatté in Italia agli ordini del Gran Capitano raggiungendo il grado di colonnello di fanteria, ebbe un'adolescenza triste e fu costretto a fare il guardiano di porci. Fuggito a Siviglia, poté imbarcarsi e attraversare l'Oceano, e nel 1509 si trovava a San Domingo, dove prese parte alla spedizione fatta da Alonso de Hojéda nel Golfo di Darien, e dallo Hojeda fu nominato capitano e luogotenente della colonia di Urabá, allora fondata. Fallita quell'impresa, il P. ritornò a San Domingo, ma quattro anni dopo era al seguito di Vasco Núñez de Balboa e con lui raggiunse le coste del Mare del Sud e sotto il successore di Balboa, Pedrarias Dávila, si stabilì in Panamá, dove ebbe casa e fattoria e fu considerato, a quanto sembra, uno dei notabili del luogo. La spedizione che Pascual de Andagoya fece nel 1522 lungo le coste occidentali dell'America Meridionale e le fantastiche notizie da lui riportate intorno a un ricco paese chiamato Birù o Pirù, eccitarono la fantasia e l'ambizione del P., che assunse, si può dire, l'eredità dell'Andagoya e con grande energia si diede a preparare la spedizione per la conquista di quel paese lontano e misterioso, di cui parevano ben accertate le immense ricchezze. Egli si accordò per la preparazione e condotta dell'impresa con Diego de Almagro (v.), e con Fernando de Luque, prete e maestro di scuola, a cui spettò in particolare il finanziamento della spedizione e la preparazione diplomatica nei rapporti col poco malleabile Davila. Armate due navi e reclutati 114 soldati e alcuni Indiani, la prima nave partì da Panamȧ il 14 novembre 1524 al comando del P.: dopo aver toccato le isole delle Perle e raggiunto la foce del Río Birú, il P. navigò verso sud in condizioni assai difficili tanto che perdette 34 uomini durante il viaggio. Sbarcato in una località non bene precisata della costa, che fu dagli Spagnoli battezzata col nome di Puerto de la Hambre (della Fame), e mandata indietro la nave per cercare rinforzi, il P. dovette attenderne il ritorno per ben 47 giorni, mentre mancava di tutto e con i suoi soffriva la fame. Giunta la nave con viveri, la spedizione avanzò ancora verso sud e venne in contatto con gl'indigeni del Pueblo Quemado, con i quali dovette sostenere una vera battaglia, che gli costò 5 morti e 18 feriti. Raccolse però ulteriori notizie sul grande impero al di là dei monti, dove regnava il Figlio del Sole. Vista la difficoltà dell'impresa, il P. decideva di ritornare a Panamá, mentre l'Almagro, partito dopo di lui, raggiungeva a sua volta Pueblo Quemado senza incontrarsi col collega, e combatteva con gli stessi Indiani. Riuniti ancora a Panamá, i tre rinnovarono più solennemente il patto e, ottenuta nuovamente l'accondiscendenza del governatore con la promessa di dargli una parte dei futuri guadagni, nella primavera del 1526 l'Almagro e il P. in compagnia del pilota Bartolomeo Ruiz riprendevano la strada del sud. Giunti alla foce del Río San Juan e impadronitisi d'una piccola quantità d'oro, l'Almagro venne rimandato a Panamá con l'incarico di riunire nuovi mezzi e altri uomini, mentre il Ruiz con l'altra nave si spingeva verso il sud e raggiungeva il golfo di Guayaquil, dove aveva più precise notizie sulle ricchezze del Perù. Ritornato il Ruiz dal P., la spedizione proseguì verso sud rafforzata anche da 50 uomini e da nuovi mezzi che l'Almagro accompagnava da Panamá. Venne raggiunta così la Baia di San Matteo e il porto di Tacámez, dove però il grande numero d'Indiani bene armati fece desistere gli avventurieri dal proposito d'attaccare la città, e mentre il P. si fermava con gli uomini nell'isola del Gallo, l'Almagro ritornava a Panamá per sollecitare nuovi rinforzi. Ma poiché alcuni dei soldati erano riusciti a mandare un messaggio al governatore di Panamá denunciando le tristissime condizioni in cui si trovavano, non solo l'Almagro non poté ottenere nulla, ma furono mandate due navi a riprendere tutto il corpo di spedizione. In quell'occasione il P. audacemente rifiutò d'imbarcarsi e invitò a rimanere con lui tutti quelli che, in luogo di ritornare all'oscura e misera vita di Panamá, preferissero la via aspra ma gloriosa della conquista e della ricchezza. Solo 13 uomini rimasero col P. e con essi egli attese nella vicina isola della Gorgona il ritorno di Almagro, che giunse soltanto sette mesi dopo con un piccolo gruppo d'armati. Ripresa la navigazione, raggiunsero l'isola di Santa Clara davanti a Túmbez, visitarono quest'ultima città e quindi, doppiato il Capo Bianco e visitata Payta, sempre bene accolti dagl'indigeni, si spinsero fino al porto di Santa a circa 9° di lat. S., donde rientrarono a Panamá dopo 18 mesi di assenza. Le scoperte fatte e le notizie raccolte sulla potenza e sulla ricchezza del regno degl'Inca fecero comprendere ai tre soci che, per portare a termine la conquista, era indispensabile ottenere l'autorizzazione e l'aiuto diretto della corona di Spagna. Si decise pertanto che il P. ritornasse in Spagna per trattare con la corte. Il 25 luglio 1529 fu firmata la capitolazione con la quale il P. fu nominato capitano generale e governatore della Nuova Castiglia, nome questo dato ufficialmente al Perù, nonché adelantado e alguagil mayor di quelle terre, dignità queste che erano state promesse all'Almagro, a cui veniva concesso soltanto il titolo di comandante della fortezza di Túmbez, mentre il Ruiz veniva nominato regio piloto mayor del Mare del Sud. Il P. ritornava quindi a Panamá portando seco uomini, armi e cannoni e i suoi quattro fratelli Fernando, Gonzalo, Juan e Francisco Martín. Le condizioni della convenzione firmata dal re provocarono la giusta ira dell'Almagro, che si ritenne tradito dal compagno, e da allora si iniziò quell'insanabile dissidio che doveva portare alla rovina di tutti i capi della spedizione.
Intanto, rappacificato almeno in apparenza l'Almagro con la promessa di nominarlo adelantado della prima provincia di cui si fossero impadroniti dopo il Perù e rafforzato con avventurieri di Panamá il gruppo portato dalla Spagna, il P. nel gennaio del 1531 partì con 3 navi, 180 uomini e 37 cavalli diretto a Túmbez. I venti contrarî ostacolarono la navigazione, cosicché la spedizione dovette fermarsi nella Baia di San Matteo, dove sbarcò una parte dell'esercito che col P. proseguì il viaggio per terra, mentre le navi seguivano la costa. La conquista della città di Coaqui incontrata durante la marcia e il considerevole bottino d'oro, d'argento e di smeraldi ivi fatto rianimarono la spedizione che giungeva nell'isola di Puna nel golfo di Guayaquil e quindi a Túmbez, meta prefissata. Intanto l'esercito si accresceva di 30 individui guidati da Sebastiano Benalcázar e di 100 condotti da Fernando de Soto. A Túmbez il P. veniva a conoscere le condizioni interne del regno degl'Inca e in particolare seppe della guerra fratricida combattuta tra l'Inca di Quito e quello di Cuzco e della sconfitta di quest'ultimo; ebbe anche notizia della presenza dell'Inca vittorioso. Atahualpa, nella città di Cajamarca a 60 miglia da Túmbez, onde decise di avanzare verso quella località. Sbarcate tutte le truppe e proclamata la sovranità del re di Spagna, raggiunse la valle del Río de Piura dove fondò la colonia di San Miguel e quindi, il 24 settembre 1532, risalendo la vallata, si diresse alla volta del campo dell'Inca. Erano con lui 168 uomini e si accingeva a conquistare un impero. Sull'alto della Cordigliera trovò la grande strada imperiale e dopo una marcia di 7 giorni la spedizione giungeva nella magnifica vallata di Cajamarca e penetrava nella città sgomberata dagli abitanti, mentre sul pendio dietro ad essa si trovava il campo dei peruviani forte di 40.000 guerrieri. Dopo una visita fatta al campo del re da Femando P. e dal De Soto, Atahualpa la sera successiva entrò in Cajamarca per restituire la visita e accamparsi nella città. Ma il P., con freddo tradimento, s'impadronì dell'Inca e lo tenne prigioniero col proposito di estorcergli una grande somma come prezzo del riscatto. Intanto gli Spagnoli percorrevano il paese e visitavano i templi spogliandoli dei loro tesori, abbattevano gl'idoli per sostituirvi la croce, e il P. ricevuti rinforzi guidati dall'Almagro, decise di sbarazzarsi dell'Inca prigioniero, onde, nonostante questi avesse fatta consegnare la quantità d'oro chiestagli, in luogo della promessa libertà, fu accusato di tradimento e condannato a morte. Non valsero a salvare il re le proteste del De Soto e di altri membri della spedizione; il P. valle che la sentenza fosse eseguita e fece strangolare l'Inca il 19 agosto del 1533. Le sollevazioni di protesta dei Peruviani furono soffocate nel sangue e nel settembre del 1533 il P. fece il suo ingresso a Cuzco, che fu spogliata di tutte le ricchezze, tanto che furono depredate perfino le mummie degl'Inca. Il giorno dell'Epifania del 1535 fu fondata dal P. la nuova capitale, detta ufficialmente Ciudad de los Reyes, ma ben presto chiamata Lima, storpiatura del nome del fiume Rimac sulle cui rive fu costruita.
Mentre il P., creato marchese, attendeva al governo della Nuova Castiglia, l'Almagro, creato maresciallo e adelantado delle terre poste a mezzodì della detta provincia, intraprendeva la famosa spedizione nella Bolivia e nel Chile; ma al ritorno egli, ritenendo che nella nuova provincia a lui spettante fosse compresa anche la città di Cuzco, l'assaliva e riusciva a penetrarvi l'8 aprile del 1537 facendo prigionieri i due fratelli Gonzalo e Fernando P. che vi si trovavano a difesa della piazza. Stava per scoppiare un conflitto tra i due capi, ma in seguito a trattative essi s'incontravano in un convegno presso Lima, e l'Almagro s'inducem a porre in libertà Fernando (Gonzalo era riuscito a liberarsi), purché Cuzco fosse lasciata a lui, almeno in attesa della definitiva decisione del governo spagnolo. Ma i patti non furono mantenuti e appena Fernando fu libero, i P. assalirono l'Almagro, lo vinsero, lo fecero prigioniero, e lo condannarono a morte l'8 luglio del 1538. Gli amici dell'Almagro si riunirono attorno al figlio di lui, Diego, e lo eccitarono a ripetere l'eredità del padre, mentre i P. pretendevano di tenere per loro anche la parte dell'ucciso. A patrocinare la loro causa fu mandato nella Spagna Fernando P., il quale però non ebbe buona accoglienza e incolpato d'aver fatto uccidere arbitrariamente un governatore nominato dal re, fu imprigionato nella fortezza di Medina del Campo, dove rimase fino al 1560, superstite ai fratelli e alla propria fortuna. Intanto gli amíci dell'Almagro, impazienti di raggiungere il loro scopo, facevano una congiura per sopprimere Francisco P., il quale infatti veniva assalito nel suo palazzo in Lima il 26 giugno 1541 e cadeva sotto i colpi dei congiurati in età di 63 anni.
Bibl.: Oltre ai cronisti coetanei, fra cui specialmente A. de Zarate, Historia del descubrimiento y conquista del Perú, in Bibl. de Autores Españoles, XXVI, v. W. H. Prescott, History of the conquest of Peru, voll. 2, Londra 1847; S. Lorenti, Historia de la conquista del Perù, Lima 1861; R. Cappa, La conquista del Perù, 3ª ed., Madrid 1890; J. H. Campe, F. P., New York 1911; A. Schurig, F. P. der Eroberer von Peru, Dresda 1922; C. Pereyra, F. P. y el tesoro Atahuallpa, Madrid s. a.