PRISCIANESE, Francesco
PRISCIANESE, Francesco. – Nacque nel 1494, presumibilmente a Pieve di Presciano (Arezzo), da cui derivò il cognome umanistico, evocante il grammatico latino Prisciano.
Benché di probabili umili origini, ricevette una solida formazione, in parte ad Arezzo. Qui cominciò a insegnare le lettere latine, prima di spostarsi, nella metà degli anni Dieci, a Firenze, dove prese ad agire come precettore presso illustri famiglie del patriziato cittadino, come i Dini, gli Strozzi e i Pazzi. Il fatto che nel 1526 venisse indicato come «al presente maestro di scuola a Figline [Valdarno]» (Ridolfi, 1947, p. 74) non deve trarre in inganno: a quella data il suo era già un profilo tutt’altro che provinciale. Come i suoi due principali mecenati di quegli anni, Agostino Dini e Matteo Strozzi, prese parte attiva alla Repubblica del 1527, poiché nel 1530, durante l’assedio di Firenze, risultava, oltre che detentore del beneficio di Pieve di Santo Stefano, commissario in Mugello, area di rilevanza strategica.
Contrariamente a quanto ipotizzato finora, sembra che, caduta la città nelle mani dei Medici, non sia riparato immediatamente a Roma. Arrivò nell’Urbe solo nel marzo del 1535, forse chiamatovi da Amerigo Antinori, che lì fu suo allievo e probabilmente principale protettore (Firenze, Biblioteca nazionale, Autografi Palatini, Varchi, I, n. 96). Entrò presto a far parte dell’influente comunità fiorentino-repubblicana che animava, ancora agli albori del pontificato di Paolo III, tanta parte della scena culturale romana. Il suo nome compare in relazione ai circoli accademici della Virtù e della Nuova poesia, insieme con quelli di Varchi, Benedetto Busini, Luigi Sostegni, Mattia Franzesi, Niccolò Ardinghelli, Benvenuto Cellini, Claudio Tolomei, Pietro Paolo Gualteri, Paolo Del Rosso, Dionigi Atanagi e Antonio Petrei. Un ruolo determinante in questa ascesa intellettuale giocò senz’altro l’affiliazione alla famiglia del cardinale Roberto Ridolfi, già ufficiale, a quanto pare, nel 1537. Oltre a una ricchissima biblioteca per i suoi studi linguistici, ritrovò qui il segretario repubblicano Donato Giannotti, il quale, memore della comune militanza passata, lo ebbe in grande stima e simpatia, patrocinandolo caldamente soprattutto presso Piero Vettori.
Fu in questo contesto, sulla scia di Pietro Bembo e Tolomei, che presero nuova e più definita forma le sue convinzioni sull’origine latina e sul legittimo uso letterario del volgare toscano. A metà del 1540 soggiornò a Venezia per seguire la pubblicazione presso Bartolomeo Zanetti di due celebri manuali didattici per lo studio del latino, pionieristicamente redatti in volgare (Della lingua romana e De primi principii della lingua romana).
Entrambi i frontespizi delle opere mostrano un pregevole ritratto xilografico dell’autore, attribuito all’incisore Johannes Breit, forse su disegno di Tiziano. Fu proprio durante questo interludio veneziano, infatti, che Priscianese ebbe occasione di cenare a casa del celebre pittore (Padoan, 1980, pp. 360-364); entrò inoltre in contatto con Pietro Aretino.
Tornato a Roma, Priscianese fu coinvolto, con il beneplacito di Ridolfi, nei progetti editoriali del neoeletto cardinale Marcello Cervini. Toccò a lui la direzione della stamperia latina che Cervini andava fondando di pari passo con una tipografia dedicata alle pubblicazioni in greco, con il proposito di diffondere, sotto l’egida del pontefice, opere inedite specialmente di autori sacri e gettare così le basi per una risposta culturale controriformistica. Nonostante la poca familiarità con l’arte della stampa, Priscianese fu scelto per le comprovate doti di latinista, utili alla supervisione dei lavori. Dopo avere personalmente disegnato un eccellente carattere tondo, tra il 1542 e il 1543 egli pubblicò, e in parte editò, quattro principes (le lettere di papa Niccolò I e le decretali di Innocenzo III; gli Adversus nationes di Arnobio di Sicca, comprendenti, ancora a questa data, anche l’Octavius di Minucio Felice; le nuove Costituzioni egidiane, appena ampliate dal cardinale Rodolfo Pio) e tre eleganti ristampe (le orazioni antiturche di Bessarione e gli opuscoli di Enrico VIII diretti contro Martino Lutero). Forse per Cervini uscirono dai suoi torchi anche una traduzione latina di un saggio medico di Oribasio e una raccolta di orazioni del perugino Ludovico Sensi. Venuto meno il supporto finanziario del cardinale, l’impresa di Priscianese naufragò velocemente nel giro di un anno.
Sfumato il sogno di rimpatrio come stampatore ducale di Cosimo I, Priscianese ebbe il tempo per impostare una nuova linea editoriale più congeniale alle proprie aspirazioni, ruotante intorno al volgare e alle traduzioni classiche. Andarono a vuoto i tentativi di aggiudicarsi qualche opera di Vettori, Paolo Giovio, Antonio Agustín, Varchi e forse persino Michelangelo. Pubblicò, tuttavia, nel 1544 la Vita di Dante composta da Giovanni Boccaccio, le trasposizioni vernacolari del Fedro e del Convivio platonico e, per i tipi di Antonio Blado, la traduzione delle Vite dei Cesari di Svetonio, insieme con una rarissima placchetta descrittiva di Napoli e dintorni (Ridolfi, 1947, p. 73 n. 2) e l’importante trattatello Del governo della corte di un signore in Roma, erroneamente confuso nella ristampa anastatica del 1883 per una sua opera (forse mai scritta e comunque ancora irreperita), ma attribuito fin dalle edizioni coeve a Cola di Benvenuto (Vanhaelen, 2012, n. 8).
La stamperia potrebbe essere stata annessa alla sua casa, ubicata nei dintorni di porta del Popolo, se si considera attendibile la menzione letteraria dei Dialogi de’ giorni giannottiani coinvolgente il vecchio Michelangelo.
Malato e gravemente indebitato, Priscianese vagheggiò un trasferimento dell’attività a Napoli, mentre neppure l’aiuto degli amici e la proposta di vendita dell’attrezzatura tipografica riuscirono a evitare l’alienazione del suo beneficio ecclesiastico ai creditori e, presumibilmente, la fuga da Roma dopo il 1546 in quanto insolvente. Pur mancando un riscontro documentario, il suo approdo fu certamente Venezia, dove nel 1549 pubblicò presso Paolo Manuzio le Argumentorum observationes in omnes Ciceronis epistolas con dedica a Ridolfi. Il cardinale, che ancora lo sostentava con una pensione, sarebbe tuttavia clamorosamente morto avvelenato durante il conclave apertosi a fine anno.
Nel 1550, Priscianese curò, a credere ai frontespizi, la prima delle molteplici ristampe congiunte delle sue due influenti grammatiche latine, la più basilare delle quali pensò argutamente di ribattezzare Priscianello.
Si perdono, a questo punto, le sue tracce; la sua morte potrebbe essere collocata intorno al 1575.
Verosimilmente postumi, infatti, uscirono nel 1579, presso Giovanni Antonio Bertano, il fortunatissimo Dictionarium Ciceronianum, con oltre cinquanta ristampe e ampliamenti fino al 1744, e le Explanationes volgari alle Familiares di Cicerone. Tre sue opere giovanili rimangono inedite: In Hymnos secundum Romanam Curiam castigationes cum metrorum reformatione (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 3641), trattato erudito del 1517 sulla riforma metrico-testuale dell’innario del Breviario da camera; l’immediatamente successivo Exemplorum syllabarum refugium (Vat. lat. 5142); De Romanis fastigiis, et linguae tuscae vel de pronunciatione (Parma, Biblioteca Palatina, Parm. 2331), interessante dialogo sull’accentazione e sulla dizione latina a confronto con i volgari toscani, databile intorno al periodo tra il 1517 e il 1520.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Autografi Palatini, Varchi, I, n. 96 (solo parzialmente edita in Raccolta di prose fiorentine, Parte quarta, I, Firenze 1734, pp. 47-51); Versi e regole della nuova poesia toscana, Roma 1539, passim; Raccolta di prose fiorentine. Parte quarta, II, Firenze 1734, p. 217; B. Varchi, Opere, II, Trieste 1859, p. 886; D. Giannotti, Lettere a Piero Vettori pubblicate sopra gli originali del British Museum, a cura di R. Ridolfi - C. Roth, Firenze 1932, ad ind.; D. Redig de Campos, F. P., stampatore e umanista fiorentino del secolo XVI, in La Bibliofilia, XL (1938), pp. 161-183; D. Giannotti, Dialogi de’ giorni che Dante consumò nel cercare l’inferno e ’l purgatorio, a cura di D. Redig de Campos, Firenze 1939, pp. 65 s.; R. Ridolfi, Note sul P. stampatore e umanista fiorentino, in La Bibliofilia, XLIII (1941), pp. 291-295: Id., Un’edizione del P. sconosciuta ai bibliografi e alcune notizie biografiche intorno al medesimo, ibid., XLIX (1947), pp. 71-75; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I, Firenze 1957, pp. 72 s.; P. Paschini, Un cardinale editore: Marcello Cervini, in Id., Cinquecento romano e riforma cattolica: scritti raccolti in occasione dell’ottantesimo compleanno dell’autore, Roma 1958, pp. 192-198; Donato Giannotti and his Epistolae: Biblioteca Universitaria Alessandrina, Rome, Ms. 107, a cura di R. Starn, Ginevra 1968, ad ind., pp. 3 s., n. 5, 123; L. Vignali, Nuove testimonianze sulla vita e le opere di F. P., in Studi e problemi di critica testuale, 1979, n. 18, pp. 121-134; Id., Postilla per la vita e le opere di F. P., ibid., 1979, n. 19, pp. 125-126; G. Padoan, A casa di Tiziano, una sera d’agosto, in Tiziano e Venezia: convegno internazionale di studi, Vicenza 1980, pp. 357-367; T. Pignatti, Tiziano e le figure della “Lingua Romana” del P., ibid., pp. 369 s.; L. Vignali, Un grammatico latino del Cinquecento e il volgare: studi su F. P., in Lingua nostra, XLI (1980), pp. 21-24, 42-55, 116-120; L.M.C. Byatt, Aspetti giuridici e finanziari di una «familia» cardinalizia del XVI secolo. Un progetto di ricerca, in «Familia» del principe e famiglia aristocratica, II, a cura di C. Mozzarelli, Roma 1988, pp. 620 s.; J.L. Ferrary, Les travaux d’Antonio Agustín à travers la lumière de lettres inédites à Lelio Torelli, in Faventia, XIV (1992), pp. 79 s.; P. Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, Roma 1997-2002, ad indices; G. Fragnito, Le corti cardinalizie nella prima metà del Cinquecento: da Paolo Cortesi a F. P., in Miscellanea storica della Valdelsa, CVIII (2002), pp. 49-62; Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, Roma 2003-2004, ad indices; R. Mouren, La lecture assidue des classiques: Marcello Cervini et Piero Vettori, in Humanisme et Église en Italie et en France méridionale (XV siècle - milieu du XVI siècle), a cura di P. Gilli, Roma 2004, pp. 433-463, passim; G. Costa, Michelangelo e la stampa: la mancata pubblicazione delle Rime, in ACME, LX (2007), pp. 234-237;B. Varchi, Lettere (1535-1565), a cura di V. Bramanti, Roma 2008, pp. 47, 57, 92; D. Muratore, La biblioteca del cardinale Niccolò Ridolfi, I, Alessandria 2009, pp. 77 s., 461-464, 484-488; F. Minonzio, «Non so se ci accorderemo»: una edizione mancata delle Historiae di Giovio in una lettera (Di Roma, alli 5 di Luglio 1544) di F. P. a Pier Vettori, in Quaderno di italianistica 2010, a cura della Sezione di italiano dell’Università di Losanna, Pisa 2010, pp. 45-76; C. Quaranta, Marcello II Cervini (1501-1555): Riforma della Chiesa, Concilio, Inquisizione, Bologna 2010, pp. 71, 432, 437, 441; M. Vanhaelen, «Cose di Platone fatte Toscane». Two vernacular translations of Plato printed by F. P., in Modern language Review, CVII (2012), pp. 1102-1120.