FRANCESCO ORAZIO della Penna (al secolo Luzio Olivieri)
Nacque a Pennabilli, nel Montefeltro, nel novembre del 1680, ultimo figlio del conte Orazio Olivieri e di una Francesca (di cui si ignora il casato), nel castello che apparteneva alla famiglia fin dal 1483.
Entrò nell'Ordine dei cappuccini l'8 nov. 1700 nel convento di Pietrarubbia dopo avere trascorso l'anno di noviziato a Cingoli.
Nel 1712 fu scelto per partecipare alla terza spedizione in Tibet, dove era stata fondata nel 1707 una missione per iniziativa del padre François-Marie de Tours (nel 1703 la congregazione di Propaganda Fide aveva affidato tale compito ai cappuccini della provincia delle Marche).
Imbarcatosi a Lorient, in Bretagna, il 15 ag. 1712, F. giunse a Chandernagore, nel Bengala, il 1° sett. 1713 proseguendo subito per Patna, che lasciò il 27 dic. 1714 alla volta del Nepal. Qui giunto funse da superiore a Katmandu per quasi un anno. Il 4 sett. 1716, insieme con il prefetto della missione Domenico da Fano e con Giovanni Francesco da Fossombrone, partì alla volta di Lhasa, dove arrivò il 1° ottobre successivo.
Insieme con il gesuita Ippolito Desideri, a Lhasa dal 18 marzo precedente, intraprese lo studio della lingua tibetana nel monastero lamaista di Se-ra, situato a circa 4 km a nord di Lhasa. Egli fu tra i suoi confratelli cappuccini l'unico tibetologo degno di questo nome ed è da considerare un grave danno la perdita totale delle sue opere di traduzione dal tibetano.
Frutto di tanto studio e lavoro furono una ricca relazione sulla storia, la geografia e le istituzioni del Tibet e un dizionario tibetano-italiano in 35.000 vocaboli, ultimato prima del 1732 (la prima parte di questo manoscritto forma la base del Tibetan-English Dictionary pubblicato da F.Ch. Schroeter a Serampore nel 1826).
I missionari, chiamati dai Tibetani "dottori dalle teste bianche" (mgo dkar emci), furono ben accolti da Lajang Khan, capo dei Mongoli Khosot, che in quel periodo era il reggente del Tibet. Lo scenario storico del momento e degli anni che seguirono durante la permanenza dei cappuccini fu denso di avvenimenti: all'invasione degli Dzungari che saccheggiarono Lhasa, seguì la morte di Lajang Khan (3 dic. 1717), l'intronizzazione del settimo Dalai Lama bsKal bzang rgya, l'arrivo dell'esercito cinese, che scacciò definitivamente gli Dzungari nel 1720. Nel 1721 il governo fu affidato a quattro nobili tibetani, presieduto da uno di loro, Khang chen nas, al quale si aggiunse due anni dopo Pho lha nas. Quando nel 1727 Khang chen nas fu ucciso, si scatenò una sanguinosa guerra civile, finita nel luglio 1728 con la vittoria di Pho lha nas, al quale furono affidati dall'imperatore cinese Yung chen tutti i poteri. I cappuccini conobbero Pho lha nas anche con il nome di Mi dbang (principe).
In questo contesto F., che intanto era stato da Propaganda Fide nominato prefetto della missione il 13 ag. 1719 (anche se la notizia della nomina lo raggiungerà solo il 15 sett. 1725), e i suoi confratelli, sebbene con l'invasione dzungara avessero perso molti dei loro beni, furono successivamente sempre protetti. Nel periodo che seguì, per il credito di cui godevano come medici, ebbero anche la possibilità, grazie al favore di Khang chen nas, di acquistare un piccolo terreno nel Dvags po, dove costruirono l'ospizio e una chiesetta dedicata all'Assunta. L'attività missionaria dei cappuccini però non ebbe molto successo, poiché si limitò alla conversione di pochi stranieri quali i Newari, ossia i commercianti nepalesi residenti a Lhasa, e al battesimo di quasi 2.600 bambini moribondi, nell'arco di sette anni. Resosi conto delle risorse troppo limitate per il proseguimento della missione, F. partì per il Nepal il 25 ag. 1732.
Ma le tribolazioni non erano finite: alla fatica del viaggio si aggiunse la prigionia a Katmandu durata quasi cinque mesi. Tornato in libertà F. fu raggiunto da Gioacchino da S. Anatolia, l'ultimo cappuccino rimasto a Lhasa, il quale al momento della partenza aveva affidato a Pho lha nas le chiavi dell'ospizio. La situazione spinse F. a tornare a Roma per perorare la causa della missione. Nel dicembre del 1735 si imbarcava a Chandernagore per l'Italia.
Nel 1736, ricevuto a Roma dal papa Clemente XII, riuscì a ottenere l'interessamento del cardinale L.A. Belluga y Moncada, che gli assicurò, oltre ai 300 scudi per sei anni concessigli dal pontefice, anche un aiuto regolare dal Messico. Questi sussidi però si rivelarono più tardi inferiori rispetto al previsto. In qualità di prefetto F. chiese e ottenne i fondi per una stamperia, la prima a caratteri mobili del Tibet. I caratteri tibetani intagliati da A. Fantauzzi (Fantautio) furono preparati in due serie: una rimase a Propaganda Fide e l'altra, portata in Tibet, fu utilizzata, sia pur brevemente, nella tipografia inaugurata a Lhasa a opera del fratello laico Antonio da Firenze. Prima di ripartire per la nona missione cappuccina in Tibet, F. si recò nel suo paese natale.
Nel marzo del 1739 riprese la via per il Tibet, imbarcandosi a Lorient. Da Chandernagore e Patna arrivò a Katmandu, dove trovò una situazione molto più favorevole della precedente. Lasciato il Nepal nell'ottobre 1740, F. giunse a Lhasa il 6 genn. 1741 accolto cordialmente da Pho lha nas che, in cambio dei ricchi doni del papa e del cardinal Belluga, concesse ai missionari libertà di culto e di proselitismo.
Con questi buoni auspici F. e i suoi confratelli svolsero una fervida attività pastorale, che finalmente diede i suoi frutti nella conversione e battesimo di circa sessanta persone, delle quali venti erano tibetane. La cerimonia, effettuata nel giorno di Pentecoste il 13 maggio 1742, segnò però l'inizio della fine. Il clero tibetano si oppose decisamente alla prosecuzione dell'attività dei cappuccini e il re, sebbene gradualmente, ritirò il suo appoggio. Il 20 apr. 1745 il prefetto e i suoi confratelli lasciarono Lhasa per non ritornarvi più e quando a Patan, nel Nepal, giunse la notizia della distruzione dell'ospizio, F., vecchio e malato di idropisia, ebbe un collasso che ne causò la morte il 20 luglio 1745.
La produzione letteraria di F. si può dividere in tre gruppi: lettere, relazioni, opere. Tutti i suoi scritti superstiti sono stati riediti e mirabilmente organizzati e commentati da L. Petech in I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, II, 1 e 3, Roma 1952-1957 (con ampia bibliografia).
Fonti e Bibl.: E.R. Hambye, François-Horace della Penna di Billi [sic], in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XVIII, Paris 1977, coll. 802-805; C. Urbanelli, Storia dei cappuccini delle Marche, I, Ancona 1978, ad Indicem; Enc. Italiana, XV, s.v.