LUCANI, Francesco
Figlio di Bartolomeo, nacque verosimilmente a Parma nel primo quarto del XV secolo. Il L. risiedette a Milano dal 1462 circa, a Porta Romana, parrocchia S. Michele "ad Murum ruptum". Giureconsulto, fu vicario del podestà e poi del capitano di Giustizia di Milano dal 1468 al 1470; maestro delle Entrate straordinarie a partire dal 2 apr. 1472, divenne, nel 1473 circa, vicario e sindacatore generale, sostituendo il fiorentino Smiraldo Biffoli, defunto.
La sua figura e le sue vicende si inseriscono in pieno nel clima di importanti riforme e di profonde modifiche nell'assetto delle magistrature del Ducato di Milano, imposte da Galeazzo Maria Sforza al fine di un maggiore accentramento e un più stretto controllo delle entrate di un dominio ormai sull'orlo del collasso economico. La nomina di personale nuovo, tanto nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, quanto all'interno delle magistrature economico-finanziarie, conseguiva naturalmente da questo progetto, e il L. fu uno degli esperti di diritto chiamati a far parte di una delle principali magistrature finanziarie del Ducato, quella dei maestri delle Entrate straordinarie, ufficio che nel 1471 aveva subito una modifica di strategica e fondamentale importanza per la gestione degli introiti: ne era stata eliminata la Tesoreria, facendone confluire le entrate nella Tesoreria generale del Ducato, che da ufficio puramente contabile divenne il centro di affluenza e di deposito di tutto il denaro. In questo modo la Camera straordinaria mantenne soltanto il compito di amministrare la giustizia nel settore finanziario, con un progressivo esautoramento, pure da questa funzione, a favore della Cancelleria ducale.
Anche la carica di vicario e sindacatore generale, ottenuta dal L. nel 1473, lo qualifica come personaggio di fiducia del duca, che elevava a quell'incarico giureconsulti di notevolissima professionalità, ai quali affidava processi molto importanti e delicati: giudicavano infatti l'operato di podestà e funzionari, dirimevano controversie tra personaggi di spicco e avevano il compito di redigere gli estimi.
La sua familiarità con Galeazzo Maria Sforza era tale che Niccolò Machiavelli, narrando la vicenda dell'assassinio del duca di Milano, cita il L., accanto a Cicco Simonetta e Giovanni Botta, tra i principali esponenti governativi di cui i congiurati "disegnavano" dare al popolo "la casa [(] in preda".
Tra le incombenze più delicate affidategli dal duca vi fu la piena reintegrazione della giurisdizione del Comune di Borgo San Donnino (ora Fidenza), nella diocesi di Parma, contro i soprusi continui dei magnati delle terre limitrofe.
Nonostante la stima e la fiducia di Galeazzo Maria nei suoi confronti, il L., come la maggior parte dei funzionari sforzeschi, aveva difficoltà nella riscossione dello stipendio e dei rimborsi delle spese di viaggio connesse al suo mandato: recatosi a Genova e in Riviera con un seguito di cinque persone, aveva dovuto anticipare 41 ducati, pur non avendo ancora percepito il compenso di 30 ducati che gli spettava. Fu perciò costretto a supplicare il duca per avere la somma.
Per la sua equità, perizia ed esperienza nel diritto e per il fatto che abitava in città da più di 12 anni, sempre impegnato nelle magistrature ducali, il 15 genn. 1474 fu concessa al L., figli e discendenti, la cittadinanza milanese, ma senza il privilegio di esenzione dai dazi, che talora veniva unito al decreto di cittadinanza.
Il 1( luglio 1476 il L. sposò Caterina "de Milio", figlia di Battista e nipote del legum doctor Giacomo, che gli portò in dote 1000 fiorini in contanti e 1300 lire in proprietà (due edifici, due vigne, due campi, un bosco e un prato a Gorgonzola).
All'inizio degli anni Ottanta del XV secolo era forse tornato a Parma, dal momento che il 2 genn. 1483 entrò a far parte del Consiglio generale del Comune parmense eletto dagli Anziani.
Il L. si distinse anche come autore di opere giuridiche (Leverotti, p. 65): il De privilegio fisci (stampato a Venezia, Rinaldo da Nimega, 1496); il De crimine lesae maiestatis; il De regimine principum (del 1472, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., SP.30 [già H.33 sup.]), dedicato a Galeazzo Maria Sforza. In occasione delle nozze del duca di Milano, il L. scrisse un'operetta sugli usi e le solennità del matrimonio, il De iusticia et quo pacto subditi gubernari debent, di cui si conserva un codice del XV secolo (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 4685), composto da 13 fogli e con la prima pagina miniata.
Nel margine destro e nel sinistro sono rappresentate le imprese viscontee, con la colomba e il motto "à bon droit"; nel margine superiore un leone con l'elmo e il motto "ich hof" e un tizzone ardente con i secchielli appesi, sormontato dalle iniziali "Gal. Ma."; nel margine inferiore sono effigiati due putti che suonano la tromba sostenendo lo stemma ducale (una biscia azzurra in campo d'argento e un'aquila coronata in campo d'oro), sormontato dalla corona.
Non sono noti il luogo e la data della morte del Lucani.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, Notaio Pietro Brenna, cart. 1012, doc. n. 5487 (1( luglio 1476); Fondo famiglie, cart. 101; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Id., Opere, a cura di A. Montevecchi, II, Torino 1971, p. 685; G. Mazzatinti, Alcuni codici latini visconteo-sforzeschi della Biblioteca nazionale di Parigi, in Arch. stor. lombardo, XIII (1886), pp. 25 s.; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, 1450-1500, Milano 1948, p. 76; A. Pezzana, Storia della città di Parma, Bologna 1971, III, p. XIII; IV, p. 9; V, p. 101; F. Leverotti, "Governare a modo e stillo de' signori(". Osservazioni in margine all'amministrazione della giustizia al tempo di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano (1466-76), Firenze 1994, pp. 64 s., 121, 377 nota.