LAMPERTI, Francesco
Nacque a Savona l'11 marzo 1813. A sei anni entrò alla scuola di P. Rizzi a Lodi; terminati gli studi musicali divenne condirettore del locale teatro Filodrammatico, insieme con un non meglio identificato Masini.
Questa notizia, riportata in tutte le scarne note biografiche sul L., non trova riscontro nella Storia musicale di Lodi di G. Oldrini (Lodi 1883), dove non compare né il nome del L. né quello del suo collega. La sua permanenza lodigiana è tuttavia molto probabile; qui dovette entrare in contatto con la locale famiglia Strepponi: i compositori Francesco e Feliciano, rispettivamente zio e padre di Giuseppina; allo stesso tempo dovette collaborare con il primo violino-direttore F. Riva e con i più eminenti strumentisti locali quali A. Cavinati e A. Migliavacca, tutti musicisti che avevano rapporti diretti con la cerchia milanese del teatro alla Scala.
Questi molteplici contatti favorirono lo spostamento del L. nella capitale lombarda, dove riprese gli studi presso il conservatorio sotto la guida di S. D'Appiano e P. Ray. Non si ha notizia certa di quando avvenne questo trasferimento, ma la nascita a Milano del primo figlio nel 1834 indica che a questa data la residenza doveva essere già fissata. Pochi anni dopo il L. era già tanto noto nel campo professionale da lasciare traccia nelle lettere di G. Donizetti; quest'ultimo scriveva infatti a G. Ricordi il 15 sett. 1842: "M.le Löwe va a debuttare con la Norma, e vorria a pronto corriere risposta all'acclusa, nella quale Lamperti deve scrivere certi ornamenti musicali ed inviarli alla med.a in Napoli. Ti sia perciò sommamente a cuore il farla avere a Lamperti al momento" (Zavadini, p. 629, lettera n. 444).
Ciò indica che il L. era già attivo nell'orbita milanese di Ricordi e che la sua fama come maestro al cembalo gli aveva guadagnato la fiducia di cantanti di primissimo piano: Sofia Löwe, soprano fra i più celebri dell'Ottocento e fra i primi ad affermare il tipo "di forza", fu la prima interprete di Maria Padilla nell'omonima opera di Donizetti (Milano 1841), di Elvira in Ernani (Venezia 1844) e Odabella nell'Attila di G. Verdi (ibid. 1846).
La prima notizia certa della sua attività a Milano è l'affidamento della classe di canto conferitogli dal conservatorio, allora diretto da L. Rossi. Anche qui, tuttavia, le notizie biografiche non sono concordi: le note ottocentesche indicano che il L. tenne quel posto fino al 1875, e così riportano le biografie più recenti. Ma F. Mompellio fa terminare la collaborazione del L. con il conservatorio già nel 1859. È probabile infatti che dopo questa data proseguisse l'attività in qualità di maestro privato, rappresentando l'autorità di riferimento per cantanti selezionati. In questo periodo il L. seguì le carriere di grandi nomi come Sofia Cruvelli, Teresa Stolz, Maria Waldmann. Nel 1861-62 il conservatorio milanese varò un progetto di riforma degli studi che prevedeva numerosi ampliamenti d'organico; in quell'occasione il L. venne reintegrato nel suo incarico, confermatogli più tardi dallo statuto approvato nel 1864.
Nello stesso anno pubblicò presso Ricordi il trattato Guida teorico-pratica-elementare per lo studio del canto (Milano 1864; poi ristampato numerose volte fino al Novecento).
Il metodo è preceduto da una lettera del direttore del conservatorio, Rossi, che riassume i fondamenti didattici del L.: "forse il suo sistema non riuscirà soddisfacente a quelli che fino dai primordi dello studio vogliono avvezzarsi al genere di canto energumeno e gridatorio. Le donne che non vi vedranno esercizi sulle note estreme delle loro voci ne saranno meravigliate. I tenori che non potranno straziarsi la gola con i La e i Si b acuti non si degneranno neanche di leggerlo, e così i baritoni per i Fa ed i Sol, e di bassi con i Mi ed i Fa".
La Prefazione sulle cause della decadenza del canto che il L. appose alla Guida, in cui l'autore si richiamava agli insegnamenti di G.B. Mancini, G. Pacchierotti, G. Crescentini, G.B. Velluti e soprattutto M. García, suscitò a Milano non poche polemiche. Ne troviamo un'eco anche nell'epistolario di Verdi; il 23 settembre F.M. Piave gli scriveva indignato per alcune presunte insinuazioni in essa contenute circa il fatto che le opere verdiane rovinassero le voci educate alle "soavissime melodie", ossia al belcanto rossiniano.
Piave si riferiva a passi come questo: "La musica vocale per assumere un carattere più drammatico si è pressoché spogliata di tutta l'agilità, a tal punto […] che impone l'esclusione di qualsiasi cantilena. […] Non parmi conforme ai precetti naturali del melodramma l'abbandonarsi ad un metodo che condurrà all'esclusione del canto, mentre è pel canto stesso che la forma melodrammatica fu creata". E pur senza fare nomi di viventi il L. prosegue più esplicito: "Bellini fu il primo a scrivere alcune tessiture eccezionali, e, ciò che più stanca, a far sillabare su parecchie note prive di agilità, obbligando una sillaba ad ogni nota; i suoi successori non fecero sotto questo rapporto che esagerare il suo genere tanto in tessitura che in sillabazione, e fu di tal guisa, unitamente a quanto abbiamo premesso, che avvenne lo spostamento delle chiavi [ossia l'estensione a note estreme e l'elevazione della tessitura media], tanto dannoso in specie alle donne" (Prefazione, pp. VI-VIII).
Il trattato si inserisce in un momento di radicale cambiamento nello stile di canto e in una polemica assai vivace fra sostenitori del vecchio stile rossiniano e la nuova vocalità verdiana, soprattutto nel Simon Boccanegra (1857, versione originale): il partito rossiniano, dalle colonne di parecchi giornali, fra cui la Gazzetta musicale di Milano, riferiva a Verdi esattamente le accuse della Prefazione sopra riportate. Queste circostanze permettono di ricostruire la posizione autorevole che il L. dovette acquisire nell'ambiente artistico milanese: i suoi principî rispecchiavano le opinioni di una cospicua parte di pubblico e professionisti apertamente dissenzienti rispetto allo stile "declamato" del melodramma verdiano. Il L. avversava a chiare lettere la cosiddetta "voix sombrée", la voce scura e pesante affermatasi con l'avvento di tenori di forza: "i così detti tenori serii d'un tempo ora cantano il baritono" (Prefazione, p. VIII).
In realtà, il L. non indica mai direttamente Verdi come responsabile della corruzione del gusto e dello stile di canto, sebbene molti, come Piave, considerarono queste affermazioni come accuse al melodramma verdiano. A mitigare l'opposizione troviamo nell'epistolario dello stesso Verdi parole non troppo lontane dai principî del L.: "declamare non vuol dire strillare. Se nella mia musica non vi sono molti vocalizzi, non vi è per questo bisogno di mettersi le mani nei capelli, e smaniarsi come furibondi" (lettera di Verdi al baritono L. Giraldoni, 6 dic. 1857, in A. Rostagno, Eseguire le opere di Verdi…, in Verdi 2001. Atti del Convegno, Parma-NewYork-New Haven… 2001, a cura di F. Della Seta - R. Montemorra Marvin - M. Marica, Firenze 2003, p. 781), affermazione che testimonia un'idea dell'esecuzione vocale-drammatica assai vicina all'equilibrio e alla sobrietà prescritti dal Lamperti.
Non stupisce, a questo punto, che dalla sua scuola siano usciti alcuni dei cantanti che imposero lo stile di canto di forza, come la citata Stolz, né la considerazione in cui il suo giudizio era tenuto anche nella cerchia verdiana. Nel settembre 1877 F. Hiller, apostolo della musica italiana in Germania, chiedendo a Verdi un maestro per allievi di canto tedeschi, menziona la "grande reputazione di Lamperti" anche nei paesi germanici (Abbiati, IV, p. 42). Nei primi mesi del 1885 E. Muzio, scambiando con Verdi alcune opinioni su Le Villi di G. Puccini, scriveva: "Lamperti mi scrive che la musica è fatta con la birra, non c'è una gocciola di vino" (Vetro, p. 220). Verdi non doveva essere del tutto d'accordo con questo giudizio su Puccini, tuttavia questa lettera chiarisce l'autorità che l'opinione del L. esercitava anche ai massimi livelli. Fra i suoi allievi si ricordano ancora: Emma Albani, G. Aldighieri, E. Barbacini, I. Campanini, Anne Caroline de Lagrange, S. Marchesi, Désirée Artôt e, forse, F. Collini.
Il L. pubblicò inoltre: Studi di bravura in chiave di sol, I-III, Milano s.d. (circa 1870); Esercizi del trillo, ibid. s.d. (circa 1875); Prime lezioni di canto per lo studio degli intervalli secondo lo stile moderno, ibid. s.d.; L'arte del canto in ordine alle tradizioni classiche… Norme tecniche consigli agli allievi ed agli artisti, ibid. s.d. (ma 1882); Otto solfeggi secondo lo stile moderno (ed. per soprano e, un tono sotto, per mezzosoprano), ibid. s.d.
Il L. morì a Cernobbio il 1° maggio 1892.
Giuseppe (Milano 1834 - Roma 1899), figlio primogenito del L., fu impresario teatrale di un certo rilievo, arrivando a gestire la Scala nel 1887-88, poi l'Apollo di Roma, e infine il S. Carlo di Napoli. Scrisse il trattatello Sulla legge dei diritti d'autore (Roma 1898).
Il figlio più giovane del L., Giovanni Battista, nacque a Milano il 24 giugno 1839. Seguì la professione paterna e, compiuti gli studi di canto al conservatorio di Milano, insegnò nella stessa città, poi a Parigi, Dresda e Berlino. Il suo trattato Die Technik des Belcanto, un volumetto di sole 36 pagine, fu pubblicato a Berlino nel 1905 in tedesco (in collaborazione con M. Heidrich), e immediatamente tradotto in inglese (New York 1905); si tratta di una sintesi dei principî didattici e del metodo paterni. Data la concisione e la chiarezza di esposizione, corredata da tavole per gli esercizi quotidiani della voce, sia pur non immuni da errori, il trattato fu per decenni uno fra i più diffusi in tutto il mondo. La sua scuola creò una serie di grandi cantanti, non tutti esponenti dello stile belcantistico, come potrebbe far supporre il tenore dei suoi scritti didattici: fra essi ricordiamo Marcela Sembrich, Ernestine Schumann-Heink, R. Stagno. Pubblicò inoltre La scuola del canto, Milano s.d., in 4 volumi ognuno comprendente 6 solfeggi e 6 vocalizzi; Vocalizzi preparatorii per la scuola del canto, per soprano, Milano s.d., in 5 volumi, nell'ordine: per soprano, contralto, tenore, baritono, basso.
Giovanni Battista morì a Berlino il 19 marzo 1910. Aveva sposato Hedwig Werner (1847-1937), soprano che raggiunse una certa notorietà, allieva di Matilde Marchesi e del L. a Milano.
Fonti e Bibl.: B. Roosevelt [M. Tucker], Stage struck, or She would be an opera singer, I-II, London 1884, passim; W.J. Henderson, The art of the singer. Practical hints about vocal technics and style, London-New York s.d. (circa 1906); W.E. Brown, Vocal wisdom. Maxims of Giovanni Battista Lamperti, New York 1931; F. Mompellio, Il R. conservatorio di musica "G. Verdi" di Milano, Firenze 1941, p. 102; G. Zavadini, Donizetti. Vita - Musiche - Epistolario, Bergamo 1948, p. 629; F. Abbiati, Giuseppe Verdi, Milano 1959, III, pp. 56-58; IV, p. 42; B.J. Monahan, The art of singing. A compendium of thoughts on singing published between 1777 and 1927, Metuchen, N.J.-London 1978, pp. 262 e passim; G.N. Vetro, L'allievo di VerdiEmanuele Muzio, Parma 1993, pp. 137, 220; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 805; Enc. dello spettacolo, VI, coll. 1183 s., s.v. Lamperti; K.J. Kutsch - L. Riemens, Grosses Sängerlexikon, I, coll. 1626 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, p. 261, s.v. Lamperti; The New Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XIV, p. 203.